Le utopie più luminose scoppiano all’improvviso come bolle di sapone. I grandi sogni no. Si erodono giorno dopo giorno, spargendo tutto intorno la loro polvere di stelle. È una patina sottile e viscosa, fertilizzante buono per far germogliare altre fantasticherie. O almeno così ha raccontato la storia recente. Perché la disgregazione del Milan di Berlusconi ha soffiato una polverina magica su tutta la Pianura Padana. È il cronosisma descritto da Kurt Vonnegut. Con quello che è stato che diventa quasi indistinguibile da quello che è. Sono cambiati i colori delle maglie. Sono cambiate le città di riferimento. Sono cambiati gli stadi e i tifosi. Solo i protagonisti sono rimasti identici. Così come le loro ambizioni, pingui e formidabili.
Nei giorni scorsi Cremonese e Monza si sono arrampicate fino al paradiso relativo della Serie A. È un risultato strabiliante per tutti, tranne che per chi tiene bene in mente i nomi di chi lo ha reso possibile. Ariedo Braida da una parte. Silvio Berlusconi e Adriano Galliani dall’altra. Gli uomini che hanno trasformato il Milan in leggenda sono tornati per scrivere un altro capitolo del loro personalissimo poema omerico. L’effetto revival è dirompente. Soprattutto per un campionato che riceve sempre e solo la visita del fantasma del Natale passato. Il vecchio che avanza fino a diventare nuovamente modernità. Anche ora che gli elicotteri non atterrano più sul campo di allenamento, che le note della Cavalcata delle Valchirie sono state silenziate dai colpi di sonno in tribuna, che gli ottantamila posti di San Siro sono stati sovrascritti dai diciottomila seggiolini del Brianteo. Il Monza come lucida follia. Un colpo di testa di due vecchi amici che vogliono mettere in scena l’ultimo gioco di prestigio, scrivere il proprio manifesto sportivo da tramandare ai posteri.
Sembra il rinnovamento di un giuramento fatto nella notte di Ognissanti del 1979. La nebbia che occulta la strada verso Villa San Martino è così fitta che assomiglia a un presagio. Adriano Galliani avanza lentamente, affilando con la lingua le parole che vuole ripetere a Silvio Berlusconi. Non deve convincerlo, deve farlo sognare. E anche in grande. Nella sua testa si è formata qualcosa che assomiglia più a una visione che a un’idea. Tutti gli ripetono che è interessante, ma nessuno vuole tirare fuori i soldi per realizzarla. Nel 1975 Galliani aveva ipotecato la casa e aveva acquistato, a prezzo molto contenuto, la Elettronica Industriale, una ditta che produceva antenne televisive. Il passo successivo era facile da intuire. Bisognava disseminarle su tutto il territorio nazionale per creare un sistema di trasmissione alternativo alla Rai. Ed è esattamente il concetto che ripete durante quella cena con Berlusconi e Fedele Confalonieri. Silvio è estasiato. Sente che quello è esattamente il tipo di impresa che fa per lui. D’altra parte da anni aveva finito per cucire su di sé quella battuta che Leo Longanesi aveva coniato per Malaparte: “È così egocentrico che se va a un matrimonio vorrebbe essere la sposa, a un funerale il morto”.
Fra la prima e la seconda portata Berlusconi guarda Galliani e gli dice di fare il prezzo. Avrebbe comprato la metà della Elettronica Industriale. “Ci stringemmo la mano, lasciai la villa e così cominciò la mia avventura – racconterà Adriano – Poco dopo creammo la prima televisione commerciale nazionale, Canale 5″. È l’alba di una grandeur che trasformerà Silvio in Sua Emittenza. Ma che cambierà anche la storia sportiva di un Paese. Berlusconi e Galliani diventano uno la fortuna dell’altro. Sono legati da un mandato imperativo. Adriano deve realizzare i sogni del Cavaliere. Ma spesso si prende il lusso di levigarli, di ammorbidirli, di lasciarli sospesi. Durante la sua carriera gli vengono appiccicati addosso infiniti nomignoli. Il Geometra. Zio Fester. L’Antennista. Cravatta Gialla. Lo Squalo. Il Condor. Faccia di Triglia. Hanno tutti una chiara venatura canzonatoria. Anche per questo qualcuno preferisce chiamarlo il Dottore, in modo da sottolineare il fatto che non è laureato. In Francia lo apostrofano come “Monsieur Lumiére”, a causa della notte grottesca al Vélodrome, quando si spense l’illuminazione nella sfida di Coppa dei Campioni contro l’Olympique Marsiglia.
È il Diavolo di Berlusconi e Galliani. Ma con loro c’è anche un ex centravanti che ha vinto la classifica dei cannonieri di B con la maglia del Varese. Si chiama Ariedo Braida e dopo il ritiro ha iniziato una carriera da direttore sportivo più che interessante. Prima con il Monza, poi con l’Udinese. Galliani non ha dubbi. È l’uomo che fa al caso suo. Silvio all’inizio non ne vuole sapere. Ha già ricevuto due volte ad Arcore Italo Allodi. E vuole puntare tutto su di lui. Adriano media, smussa, persuade, sfianca. E alla fine impone il suo candidato. Il triumvirato plasma una creatura sovradimensionata rispetto alle altre squadre. In Italia. Ma anche in Europa. Quel Milan inaugura un calcio nuovo, fatto di spese così ingenti da venire considerate oscene, di vittorie scintillanti. Non domina il calcio, lo cambia. Una volta per tutte. Almeno fino alla dismissione del 2017. È lì che tutto finisce. È lì che tutto inizia di nuovo. Un anno più tardi Adriano va a pranzo ad Arcore. Prima di sedersi a tavola prende da parte Silvio e lo guarda dritto negli occhi. C’è una possibilità interessante, dice. La famiglia Colombo vuole cedere il Monza. Berlusconi ci pensa una frazione di secondo e si mette a sorridere. Poi dice: “Adriano, vai e fai”. Per chiudere la faccenda ci vogliono due ore scarse.
Il costo dell’operazione è di due milioni di euro. Una cifra molto contenuta per il significato che ha per i nuovi acquirenti. Monza e il Monza sono due entità totemiche per Galliani. E non solo perché in quella cittadina ci è nato. A sei anni Adriano tifa già per la squadra locale. Ad accendere la fiammella del tifo è stata sua madre, che negli anni Cinquanta lo accompagnava allo stadio per veder giocare i biancorossi. A vent’anni entra nell’ufficio di edilizia pubblica del Comune. Poi si candida addirittura a sindaco di Monza nelle liste della Democrazia Cristiana. Non sarà eletto, ma non fa niente. Resterà una delle poche sconfitte della sua vita. Ora l’acquisto del Monza è la chiusura di un cerchio, un’avventura romantica ma anche pratica. Insegue sogni, ottiene risultati. L’approdo in Serie A è un traguardo storico. Racconta che Berlusconi è ancora il Capofortuna di Rino Gaetano, quell’entità che “sembra immortale ma è come noi”, che riesce a trasformare in centro ogni periferia che gli capita fra le mani. Il suo Milan non è dissolto, continua a vivere sotto altre forme.
Nella Cremonese di Ariedo Braida. Nel Monza suo e di Galliani. Una ballata folk che richiama il titolo di un disco dei Modena City Ramblers, “Riportando tutto a casa”. La vittoria sul Pisa ha avuto contorni mistici. Per una volta Galliani è restato immobile. Un mare calmo esteriormente che dentro veniva mosso dai cavalloni dell’emozione. “Sembrerà paradossale – ha detto al Corriere – dopo che le mie esultanze smodate in tribuna hanno fatto il giro del mondo in questi anni. Ma a Pisa, quando l’arbitro Mariani ha fischiato la fine dopo 120 minuti, il presidente Berlusconi che, in genere è composto, festeggiava e io invece non ho neanche alzato le braccia. Sono rimasto immobile e semplicemente ho pianto”. E ancora: “Dedico la vittoria alla mia mamma, Annamaria, che mi ha trasmesso la passione per questa squadra, portandomi al vecchio Sada da bambino e che ho perso quando avevo quindici anni. A lei ho pensato quando la partita è finita: la promozione in A è un modo per onorare la sua memoria. E poi ovviamente non posso che dare merito a Silvio Berlusconi”.
Uscito dallo stadio il Cavaliere è stato più pragmatico: “Obiettivi? Adesso voglio vincere lo scudetto e poi la Champions con il Monza. Io nella mia vita sono abituato a vincere, vediamo”. Ambizioni che sembrano troppo grandi anche per Silvio. Ma d’altra parte lui e Adriano sono come Don Chisciotte e Sancho Panza che galoppano al tramonto in cerca della prossima avventura. Con un piccolo particolare: loro i mulini a vento li hanno sconfitti davvero. La doppia promozione sembra un risarcimento al Diavolo che fu. Perché arriva proprio pochi giorno dopo il primo scudetto del Milan post Berlusconi. Ora la Serie A metterà i rossoneri di fronte al loro passato vittorioso, quello firmato da Silvio, da Ariedo, da Adriano. Il sogno è quello di uno sgambetto, magari a San Siro. D’altra parte lo diceva Andrea Pazienza: “Amore è tutto ciò che si può ancora tradire”.