Il Tesoro aveva proposto sei misure per ridurre l'evasione fiscale da omessa fatturazione come previsto nel Pnrr: dalla raccolta di informazioni sul web sul modello francese alla lotteria degli scontrini con estrazione istantanea. Nel decreto Recovery bis ne sono state recepite solo due. Sempre che escano indenni dal passaggio in commissione al Senato, dove maggioranza e opposizione le hanno bersagliate con 100 emendamenti
Con la legislatura ormai agli sgoccioli e la campagna elettorale di fatto già iniziata, sta tramontando la speranza di arrivare al 2023 con un arsenale di misure anti evasione rafforzato come sperava il dipartimento Finanze del Tesoro. E come previsto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, in base al quale entro fine giugno non basta mandare in porto il decreto attuativo che apre la strada all’incrocio delle banche dati ma occorre anche adottare “efficaci azioni aggiuntive per ridurre l’evasione fiscale da omessa fatturazione”. Di “azioni” il ministero dell’Economia ne aveva proposte sei, tra cui la raccolta massiva di informazioni sul web come in Francia. Il governo Draghi, nel decreto Recovery bis varato in aprile, ne ha recepite soltanto due ed è tutto da vedere se usciranno indenni dal passaggio parlamentare: in commissione al Senato maggioranza e opposizione hanno bersagliato quelle norme con ben 100 emendamenti. Quelli del centrodestra puntano a eliminarle o, per ovvi motivi, rinviare tutto a dopo le elezioni politiche del 2023.
Partiamo da quel che aveva chiesto via XX Settembre nella Relazione per orientare le azioni del governo volte a ridurre l’evasione fiscale da omessa fatturazione, pubblicata lo scorso dicembre e inviata anche a Bruxelles. Alla voce “Incentivi ai consumatori” si chiedeva di semplificare la partecipazione alla lotteria degli scontrini introdotta dal governo Conte introducendo le estrazioni istantanee, che sono il modo più efficace per incentivare i consumatori a chiedere lo scontrino. Per potenziare le analisi del rischio evasione si auspicavano da un lato il riordino della normativa e chiari paletti al diritto alla privacy dei contribuenti, dall’altro il via libera alla raccolta di dati su internet e sui social utilizzando “algoritmi appositamente addestrati e soluzioni di intelligenza artificiale”. Per stanare chi nemmeno risponde alle lettere del Fisco si proponeva di trasformare una parte delle comunicazioni “cambia verso” che dovrebbero incentivare l’adempimento spontaneo in titoli subito idonei alla riscossione degli importi evasi. Per recuperare altro gettito Iva si raccomandava poi di estendere la fatturazione elettronica agli 1,8 milioni di partite Iva in regime forfettario (quelle che godono di aliquote agevolate), considerato che nell’anno in cui per le altre è scattato l’obbligo sono stati versati 3,5 miliardi in più. Infine, si puntava a potenziare la trasmissione dei dati dei pagamenti elettronici.
Di tutto questo, ben poco è stato tradotto in pratica o ha chance di essere ripescato in tempo per la scadenza di fine mese. La lotteria istantanea, che sembrava in dirittura d’arrivo – il sottosegretario leghista all’Economia Federico Freni ha detto qualche settimana fa che la norma era pronta – non si è vista. Il decreto attuativo ora in mano al Garante privacy limita temporaneamente il diritto di chiedere informazioni sul trattamento dei propri dati ma si applica solo a quelli contenuti nell’Anagrafe dei rapporti finanziari. Le ipotesi di raccogliere informazioni sul web e rendere più efficaci le comunicazioni cambia verso sono cadute nel vuoto. Nel decreto Recovery bis, atteso in Aula il 20 giugno, sono entrati solo l’estensione della fatturazione elettronica alle partite Iva in regime forfettario – da luglio sarà obbligatoria per quelle con ricavi oltre 25mila euro annui, dal 2024 anche per tutte le altre – e l’obbligo di inviare ogni giorno alle Entrate non solo i dati sulle transazioni elettroniche con i clienti finali ma anche su quelle con altri operatori economici. In più l’entrata in vigore delle sanzioni per chi non accetta pagamenti con carta viene anticipata da gennaio 2023 al 30 giugno 2022: uno sforzo relativo, considerato che l’obbligo del pos è in vigore dal 2014.
Il governo si è insomma limitato al minimo indispensabile, sperando che alla Commissione Ue basti per giudicare raggiunto il punto 5 del “traguardo” di fine giugno sulla riforma dell’amministrazione fiscale. A una parte del Parlamento, però, anche il minimo sembra troppo. Nel passaggio in commissione Davide Faraone e Daniela Sbrollini di Iv hanno proposto di rinviare le multe per mancata accettazione dei pagamenti elettronici a settembre. Ma Dieter Steger, Meinhard Durnwalder e Albert Laniece (Autonomie), come l’ex forzista Paolo Romani ora nel Misto e – passando all’opposizione – i senatori Malan, La Russa e Iannone di Fratelli d’Italia, preferirebbero risolvere il problema alla radice sopprimendo il comma sulle sanzioni o cancellando un articolo del decreto legge del 2012 che ha introdotto l’obbligo di accettare pagamenti con carte. In subordine, chiedono di far scattare le multe solo nel giugno 2023. Leggi: dopo le elezioni. La Lega, con Bagnai, Borghesi e Siri, si accontenterebbe di togliere l’obbligo sotto i 10 euro (anche se alcune banche e circuiti di pagamento hanno azzerato le commissioni dovute per quegli importi). Piace poco anche l’allargamento della fatturazione elettronica: Massimo Mallegni e Dario Damiani di Forza Italia, esattamente come FdI, chiedono di rinviarlo a gennaio 2023 – soluzione su cui concorda la Lega in un emendamento firmato tra gli altri da Roberto Calderoli – o ancora meglio eliminare tout court quei commi.