di Andrea Civitillo*

“La più grave sparatoria in una scuola americana degli ultimi dieci anni”. Così titolava l’articolo di un importante quotidiano italiano. Quel “degli ultimi dieci anni” è la parte più dura di questo titolo. Ci ricorda che questi massacri non sono un’eccezione. Il nostro sconcerto per una simile barbarie è forse mitigato dal sapere che Uvalde si trova dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, e che da noi per fortuna non puoi comprare un fucile d’assalto al supermercato. D’altronde, anche Obama diceva qualche anno fa “succede solo da noi”, commentando l’ennesima strage.

Qual è la cosa che succede solo da loro? Obama si riferiva probabilmente al fatto che una persona disturbata decidesse di aprire il fuoco contro cittadini inermi, in luoghi che frequentemente, nel ricco panorama di “mass shootings”, sono scuole. Tutti noi forse abbiamo cercato le prove del fatto che dietro le foto del diciottenne texano che si è preso la vita di 19 alunni e 2 insegnanti vi fosse una storia di malattia mentale curata in modo inadeguato, che vi fosse una storia di violenza e maltrattamenti, con genitori sbandati che hanno creato un mostro. Un tipo strano e inquietante, dicevano i suoi colleghi di lavoro del fast food, con una storia di grandi sofferenze, parlava poco. Un giorno si presenta in una scuola con i fucili d’assalto che si è potuto procurare al ferramenta sotto casa.

Tutto ciò potrebbe avere un fondamento e un peso determinante in questa tragedia. Tuttavia la ricerca delle prove che dimostrino la distanza di quei mondi da casa nostra rischia di non farci vedere altri aspetti degni della nostra attenzione. Per esempio, perché queste stragi si consumano nelle scuole? Proviamo a pensare che la scelta del bersaglio non sia casuale. Dobbiamo domandarci: la scuola è un luogo non violento che di tanto in tanto viene investito da violenza proveniente dall’esterno? E se la scuola fosse a sua volta un luogo che propone e alimenta relazioni violente? Spinta alla competizione, medicalizzazione dei problemi relazionali, disuguaglianze sociali, disuguaglianze nell’accesso al mondo del lavoro sono aspetti che permeano pericolosamente anche le scuole italiane.

Il pericolo consiste innanzitutto nel non riconoscere questi aspetti come generatori di violenza. Qualche esempio? Pensiamo a come nelle scuole (anche quelle italiane) siano diffuse pratiche come l’elezione del migliore e del peggiore della classe. La logica del migliore e del peggiore è la logica dell’altro visto come un potenziale avversario, è la logica della risorsa limitata (il primo posto) da conquistare prima che lo faccia qualcun altro. Volendo fare un breve accenno alla medicalizzazione, ci riferiamo al modo predatorio con cui la scuola si appropria di modelli medici senza tuttavia usare il rigore della medicina, promuovendo un assetto nel quale le difficoltà emozionali, le difficoltà nei rapporti sono trattate frettolosamente come forme patologiche. Un esempio? La somministrazione di psicofarmaci ai bambini di scuole primarie è in crescita esponenziale negli ultimi anni. All’aumentare della diffusione di diagnosi e di terapie farmacologiche non corrisponde un aumento del benessere nella popolazione scolastica.

Il singolo deviato, che sia l’autore delle stragi o la lobby delle armi, è insufficiente a spiegare e prevenire la violenza nella scuola. Nel nostro Paese non è possibile acquistare un fucile dal tabaccaio, ma da molti anni assistiamo ad una crescita vigorosa di modelli che mettono a carico degli individui problemi che andrebbero compresi nelle relazioni nei contesti di convivenza. Pensiamo che i modelli che interpretano le emozioni dell’individuo come espressioni patologiche alimentano dinamiche violente nei rapporti. Un altro aspetto importante da sottolineare è come spesso l’esclusione sociale sia spesso connessa a forme di violenza a volte riconoscibile, altre volte ben mimetizzate tra le mura scolastiche.

In Italia, ma non solo, abbiamo modelli di inclusione sociale fragili, basati sulla pretesa rivolta agli inclusi di accogliere gli esclusi. Mancano metodi, strategie per promuovere l’integrazione nelle scuole. La promozione e lo studio dell’integrazione sociale, così come la rinuncia alla seduzione delle logiche medicalizzanti, potrebbero aiutarci a bonificare i nostri istituti da dinamiche violente che, se sottovalutate, potrebbero presto diventare strutturali.

*Psicologo e psicoterapeuta – Coordinatore GDL Scuola e Psicologia Ordine degli Psicologi del Lazio

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