Non sono una musicologa, né voglio spacciarmi per tale. Mi piace però ascoltare la musica classica, oltre che quella rock, dal vivo e non, e trovo che, come scriveva il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, la musica sia una fonte, pur se passeggera, di conforto dal dolore. E di questi tempi di conforto ce n’è gran bisogno. “Dove le parole non arrivano… la musica parla”, scriveva Beethoven.

Se penso alla musica capace di parlare, credo di non esagerare né di essere l’unica a considerare l’“adagetto” nella Quinta sinfonia di Gustav Mahler uno dei brani di musica classica più struggenti, più catturanti, avvolgenti, davvero in grado di parlare a tutti. Oltre ad essere una delle composizioni più universalmente conosciute, in parte grazie anche a Luchino Visconti che lo scelse come empatica e malinconica colonna sonora di una delle scene più strazianti del suo immortale “Morte a Venezia”.
Eppure anche Mahler, oggi tra i compositori più eseguiti ed amati, in vita non si sottrasse al destino di molti grandi: non essere sempre capito dalla, evidentemente incompetente, critica contemporanea.

Alla sua vita di compositore e di uomo è dedicata la monumentale biografia in quattro volumi per oltre 5000 pagine di Henry-Louis de La Grange, un “must” per gli appassionati e studiosi mahleriani. Di questa biografia, di recente, è uscita l’altrettanto monumentale revisione completa, attesa da anni, del primo volume intitolato “The arduous road to Vienna”, curato da Sybille Werner, formatasi come direttrice di orchestra quando le donne che tentavano questa carriera si contavano sulle dita di una mano, musicologa e stretta collaboratrice di La Grange. Nata in Alto Adige-Sud Tirol, dopo aver vissuto a New York e diretto in tutto il mondo, Sybille Weber da un paio di anni è ritornata in Italia, stabilendosi a Dobbiaco, la località dove soggiornò Mahler che oggi ospita un Centro Culturale e una sala concerti a lui dedicati.

Le oltre 700 pagine del volume “The arduous road to Vienna”, pubblicato dalla casa editrice belga Brepols, ricostruiscono il percorso musicale ed umano di Mahler dal 1860, l’anno della sua nascita in un villaggio della Boemia, fino al 1897, quando – quattordici anni prima della morte avvenuta nel 1911 – toccò l’apice della carriera di direttore d’orchestra con l’assunzione all’Hofoper di Vienna, a quel tempo il più prestigioso teatro d’opera al mondo.

“The arduous road to Vienna” descrive il background familiare del compositore austriaco, l’infanzia, gli anni in cui frequentò il conservatorio di Vienna e l’università, aspetti della vita privata, comprese le delusioni in amore, la cerchia degli amici (tra i quali Wagner, Brahms and Bruckner), dolori e lutti familiari, il fiorire progressivo della sua carriera di compositore e direttore di orchestra. Prima dell’importante incarico a Vienna, il suo percorso si snodò a partire da un modesto teatro estivo a Bad Hall, cui seguirono i primi incarichi retribuiti come direttore di orchestra a Laibach (oggi Ljubljana), Olmütz (Olomouc) Kassel, Praga, Lipsia, fino ai prestigiosi incarichi negli altrettanto prestigiosi teatri d’opera di Budapest e Amburgo (1891). Alcuni dei suoi più celebri Lieder risalgono a questi ultimi anni, così come le prime tre sinfonie, accolte alternativamente da successi e stroncature a Berlino.

Ovviamente si tratta di una lettura impegnativa. Ma per chi ama Mahler, come la sottoscritta, ed è come me un’appassionata del genere biografico, tanto più se si tratta di personaggi che per diverse ragioni, come nel caso di Mahler, mi interessano, vale la pena leggere il volume. E per chi studia il compositore austriaco, va da sé, è più che una lettura imprescindibile: è una lettura obbligata. Dimenticavo: come si può intuire dal titolo, il libro è in inglese.

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