“Nuove prove che in Cina i chirurghi sono diventati carnefici“. È stato pubblicato dal Wall Street Journal il 31 maggio scorso un articolo in cui viene raccontato come, grazie a una metanalisi di oltre 124mila pubblicazioni scientifiche e lo studio di oltre 2800 documenti, siano emersi casi di trapianti d’organo avvenuti prima che per il “donatore” fosse dichiarata legittimamente la morte cerebrale. L’ipotesi è che quei donatori fossero detenuti condannati a morte: “I rapporti clinici raccontano decine di casi in cui i donatori di organi erano vivi quando sono iniziate le operazioni” scrivono i medici Jacob Lavee e Matthew P. Robertson che hanno firmato l’articolo apparso nella sezione commenti del quotidiano economico finanziario. Questa pratica, ufficialmente interrotta nel 2015 e la cui reale entità è sconosciuta, è stata riproposta in uno studio pubblicato il 4 aprile scorso sulla rivista scientifica American Journal of Transplantation.
Nel corso degli anni, a partire dal 1988 quando un giornale di Hong Kong South China Morning Post per la prima volta parlò di casi di espianti avvenuti nell’ospedale di Canton, sono stati diversi gli studi e le inchieste giornaliste (Abc, Bbc e altre testate) che hanno raccolto storie e documenti su una pratica che prima è stata ammessa con grande difficoltà e poi ufficialmente bandita da Pechino nel 2015. In un rapporto di una ong asiatica nel 1994 un poliziotto rivelò che se c’era “da prelevare gli occhi i condannati” venivano “uccisi con un proiettile al cuore se, invece, si vuole prelevare il cuore il detenuto riceve una pallottola in testa”. Nel corso del tempo è poi emerso che i detenuti messi a morte fornivano circa il 65% degli organi usati. Un fenomeno spingeva molti stranieri a cercare in Cina un organo da comprare per un impianto.
LO STUDIO – I ricercatori, premettendo che la regola per un espianto è che il donatore sia morto e che è fondamentale per l’etica dei trapianti, ricordano come il prelievo di organi non debba causarne il decesso: per il donatore, prima, deve essere dichiarata la morte cerebrale. Gli scienziati hanno quindi programmato e organizzato una revisione forense di 2838 documenti tratti da set di dati presenti in 124.770 pubblicazioni su operazioni e trapianti in lingua cinese. L’algoritmo ha scovato in 71 di questi rapporti, diffusi a livello nazionale, che la morte cerebrale non avrebbe potuto essere dichiarata correttamente. “In questi casi, l’asportazione del cuore durante il prelievo degli organi deve essere stata la causa della morte del donatore” cioè è stato l’espianto a causare la morte. “Poiché questi donatori di organi avrebbero potuto essere solo prigionieri, i nostri risultati suggeriscono fortemente che i medici della Repubblica popolare cinese abbiano partecipato alle esecuzioni mediante prelievo di organi”.
LA METODOLOGIA – Sono state documentate quindi 71 dichiarazioni di morte cerebrale “problematiche” prima del prelievo di cuore e polmone. Secondo i medici che hanno redatto lo studio quei “donatori non potevano essere cerebralmente morti prima del prelievo degli organi, la dichiarazione di morte cerebrale non poteva essere valida dal punto di vista medico. Ne consegue che in questi casi la morte deve essere stata causata dai chirurghi” che hanno procurato “l’organo”. A chi si chiede come mai i medici cinesi abbiano pubblicato articoli in cui di fatto denunciavano un abuso, i ricercatori rispondono che gli articoli sono scritti in cinese e prodotti per un piccolo pubblico di colleghi. “Raccogliere, organizzare, scoprire e spiegare il significato di questi dati richiede una combinazione di esperienza in lingua cinese, competenza tecnica e conoscenza della chirurgia del trapianto di cuore e polmone. È improbabile che gli autori abbiano previsto che questi resoconti sarebbero stati compilati e analizzati quando li hanno scritti oltre un decennio fa”.
IL DUBBIO – Un altro punto molto importante riguarda il timore che questi non siano stati i soli casi perché non è possibile stabilire quanti articoli siano stati esclusi dalla metanalisi per una serie di motivazioni che attengono alla lingua cinese e alla “scelta di concentrarci solo su corrispondenze di stringhe molto strette e quindi limitare il numero di articoli da esaminare da vicino a poche centinaia”. In più non è possibile stabilire “quanti interventi chirurgici di trapianto totale di cuore e polmone si traducano effettivamente in pubblicazioni… Di questi, un numero ancora più piccolo descrive in dettaglio le modalità di approvvigionamento dei donatori; e di questi, solo una parte descrive le procedure che abbiamo scoperto”. I medici ricordano anche che il documento medico più recente trovato risale al 2015. Tra le ipotesi è “che il programma di riforma” abbia “effettivamente cessato l’uso dei prigionieri, e quindi questi abusi”, l’alternativa meno è che “attivisti e ricercatori per i diritti umani hanno denunciato le violazioni nel settembre 2014 e i funzionari cinesi attenti alle percezioni internazionali abbiano potuto ordinare di interrompere la pubblicazione” degli studi.
LA TESTIMONIANZA – Una prima testimonianza diretta sull’asportazione di organi dai condannati a morte giustiziati fu resa da un medico cinese che chiese asilo politico negli stati uniti nel 2001. Nella domanda per la concessione dell’asilo il medico, un dermatologo, raccontò come avesse le cornee e prelevato la pelle da oltre 100 detenuti messi a morte, compreso uno che ”non era ancora deceduto al momento dell”intervento”. Il medico parlò dell’asportazione di organi da parte di altri medici dell’ospedale per il quale lavorava che poi vendeva gli organi a prezzi esorbitanti. L’ospedale, secondo il suo racconto, pagava 37 dollari alle guardie carcerarie per ogni segnalazione di esecuzione. Gli organi prelevati erano poi venduti a pazienti ricchi: un rene poteva fruttare oltre 15mila dollari. E vale la pena ricordare come nel corso degli anni la Repubblica popolare cinese abbia eseguito più condanne a morte di qualsiasi altro paese nel mondo.