La mattina del 2 giugno ho portato mia figlia in piazza, risuonavano le note della banda
che celebrava la festa della Repubblica. Un brulicare di sindaci, assessori, politicanti in giro per la città a stringere mani, prodighi di sorrisi e pacche sulle spalle. Avvertivo qualcosa di familiare in quelle facce, in quelle espressioni sorridenti e fintamente amichevoli: un déjà vu nel loro modo di fare, in quell’avvicinarsi piacione ai cittadini prendendoli sottobraccio e chinando la testa a volerne raccogliere le confidenze, quasi fossero amici da tempo. Quel brigare ruffiano che saluta Tizio mentre con la coda dell’occhio fa un cenno a Caio e ammicca a Sempronio quasi a voler dire ‘sì, mi ricordo di te, eccomi, sarò presto lì’.
Non erano facce nuove, dove le avevo già viste? Mentre cerco di recuperare il ricordo, spiego a mia figlia la bellezza della nostra Carta Costituzionale. Ricca, solida, complessa, colma di pesi e contrappesi, frutto di voci plurime provenienti da mondi diversi, opera di uomini e donne di orientamenti spesso opposti che seppero sedersi attorno ad un tavolo per dare forma a questa pietra delle democrazia, mentre la casa regnante sceglieva l’esilio carica di onta.
Ora il ricordo riaffiora. Era il 2016, faceva un freddo cane. Io e mia figlia prendemmo un banchetto improvvisato, alcune biro strappate al mio studio, e ci fiondammo in piazza. Era il giorno del referendum di Renzi, “basta un Sì”.
Quel movimento oggi ormai scomparso conosciuto come renzismo, allora convinto di poter prendere in mano l’Italia e ricacciato nel mondo virtuale la notte del 4 dicembre, rifilava agli italiani un referendum che avrebbe stravolto la Carta, ne avrebbe tranciato brutalmente la complessità, la ricchezza, in nome di un desiderio padronale di un manipolo di politici che oggi vale il due per cento, azzerandone le magnifiche differenze, le sfumature, i contrappesi in essa contenute. Con sciame di quotidiani, intellettuali, operosi scriba a lodare l’operazione.
Ecco dove avevo già visto quelle facce, una per una! Erano loro, dall’altra parte della strada sotto la Chiesa, vicino al chiostro in quel freddo inverno del 2016 . Erano i medesimi sindaci, assessori, politicanti e guitti che si muovevano con ben altro incedere. Come formiche rosse assatanate e fameliche intente a distribuire i volantini del loro dominus con scritto “basta un Sì”, tutti in fregola a convincere i concittadini che la Costituzione era brutta, vecchia, scassata. Era da ‘rottamare’.
Nella loro predace e volgare idea padronale di sbarazzarsi di quel corposo libro noioso e per giunta senza figure, erano impazienti di manomettere qualcosa che manco campassero mille vite riuscirebbero solo ad intuire. Erano forti, sfacciati, salaci. Ci prendevano in giro, a noi del No, in un turbinio di strette di mano, cappuccini offerti, a braccetto con chiunque passasse, chini come le faine a bisbigliare alle orecchie degli anziani, raccattati a gruppi di sei o sette, le indubitabili ragioni della loro battaglia tesa a svecchiare, demolire, rinnovare, rottamare. Ci sghignazzavano nelle piazze.
“Siete vecchi!”
“La Costituzione è vecchia!”
“Largo al renzismo largo a noi!”
“Libereremo l’Italia!”
Brusio dei denti affilati di predatori liberi per strade colme di cibo. Fare untuoso, spiccio, veloce, confidenziale, parole sussurrate nell’orecchio dei passanti affinché le riferissero a casa, corse per la città a raggiungere gli indecisi, sfacciatamente gridando “ehi voi, laggiù! Cambiamo l’Italia!“.
Certi della vittoria, tanto sguaiati allora quanto compassati oggi.
Quei seriosi amministratori che oggi ho visto sfilare li ho riconosciuti, uno ad uno. Erano gli stessi di quell’inverno del 2016. Chi col tricolore, chi reggendo un libro, chi in cerca della solita visibilità.
Sindaci, assessori, umanità varia, tutti all’unisono a decantare con fare solenne, scandendo le parole, “la bellezza della nostra Costituzione, la sua forza, la sua durevolezza”. Uno di questi, tra i più attivi rottamatori nell’inverno del 2016, raccomandava alle famiglie di “insegnare il rispetto per la differenze, come i padri costituenti hanno tramandato”. L’altro invece, quello che correva di casa in casa, di campanello in campanello a gridare “sveglia! basta un Sì!”, oggi raccolto in silenzio – assorto in uno stato di finto raccoglimento – con la mano si sorregge il capo immerso in profonde riflessioni, ancora incredulo del perché gli italiani mandarono a stendere il suo capo e stracciarono il suo referendum.
E poi via, in un interminabile bla bla, un cianfrusaglaire di parole senza senso, tutti a biascicare qualcosa su quella stessa Costituzione che, a suo tempo, volevano stracciare, e sulla quale stavano per aprirsi la patta dei pantaloni. Bello essere, anche oggi, dall’altra parte della strada, vicino al chiostro.