Sale ancora l’inflazione in Turchia che a maggio ha toccato il 73,5% contro il 70% di aprile. È il valore più alto da 23 anni, tuttavia il dato è leggermente inferiore alle stime degli economisti che si attendevano un carovita al 74,7%. Il rialzo mensile dei prezzi al consumo è stato del 3%. Come ovunque a spingere l’inflazione sono soprattutto i beni energetici e il costo degli alimentari. Il costo medio del cibo è salito del 91% rispetto ad un anno fa. L’indice depurato da queste due voci segna comunque il 56%. La situazione turca è esacerbata dalla debolezza della valuta locale, la lira, che nell’ultimo anno ha dimezzato il suo valore rispetto al dollaro rendendo sensibilmente più caro tutto ciò che viene importato dall’estero. Inoltre, nonostante le condizioni lo suggerirebbero, il governo turco si oppone ad un rialzo dei tassi da parte della banca centrale poiché ne teme l’effetto frenante sulla crescita economica.

Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha a lungo sostenuto la teoria secondo cui gli alti tassi di interesse causano l’inflazione piuttosto che frenarla, facendo pressioni sulla banca centrale affinché mantenga bassi i costi dei prestiti di fronte ai rischi per la lira e i prezzi. Attualmente i tassi turchi sono al 14%: se si tiene conto dell’inflazione, fortemente negativi in termini reali. Di recente Erdogan ha affermato che chiunque parli di un legame tra tassi di interesse ed inflazione è “un traditore”. Nel primo trimestre del 2022 il Prodotto interno lordo della Turchia è cresciuto del 7,3% rispetto allo stesso periodo nel 2021. Il dato rappresenta una contrazione rispetto agli ultimi tre mesi del 2021 quando era stato registrato un +9,1% rispetto all’anno precedente. La prossima riunione del board della banca centrale turca è in agenda per il prossimo 23 giugno.

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