Non sono un filosofo, sono laureato in Filosofia, è una cosa diversa. Ci ho messo 10 anni per fare 19 esami e finalmente sono diventato dottore, dottore in filosofia, abilitato a camminare con uno stetoscopio al collo da applicare sull’anima delle persone. Mi sono laureato alla Statale di Milano. Che anni meravigliosi, passati a cazzeggiare con Ibrahim, Moussa e Mamadou, i miei amici africani che sostavano in via Festa del Perdono, carichi di collanine, braccialetti e colori sgargianti.

Che personaggi, quanti aneddoti. Ricordo un ragazzo altissimo, con un mantello nero, era uno che veniva da fuori per suonare l’organo della cappella universitaria, nessuno ha mai saputo chi fosse veramente: un mistero. Ricordo un incontro con Alda Merini, era appena stato dato il Nobel a Dario Fo, una studentessa le chiese “Signora Merini, qual è la molla che la spinge a scrivere poesie?” “La molla del letto” rispose la poetessa. E un’altra ragazza pose questa domanda “Che rapporti ci sono tra la sua poesia e la follia?” e la Merini rispose “Signorina, la poesia è solo questione di buon senso“.

Ricordo il mio esame più imbarazzante e divertente, stavo parlando di Seneca e non ricordavo il passato remoto di assistere, ero indeciso tra assisté e assistette, e quindi me ne venni fuori con “Seneca… Seneca prese parte… da un punto di vista… prettamente oculare”, ci fu silenzio attorno a me, l’assistente mi guardò perplesso, gli studenti alle spalle muti, e poi scoppiò una fragorosa risata che in fondo mi salvò da una figuraccia colossale, “lo dica” disse l’assistente e io “assisté” e lui “no, assistette”, ma credo che si possa dire in tutti e due i modi, a dire la verità.

Ricordo le indimenticabili lezioni di Fergnani sul nulla e la deiezione, la mattina prendevo il tram affollatissimo e pensavo “stanno andando tutti al lavoro, mentre io sto andando a seguire una lezione sul nulla, non è splendido?”. Ricordo un incontro in aula magna con il poeta Majorino, non ricordo le parole esatte ma sosteneva che i poeti dovessero essere messaggeri di pace e d’amore, e tra il pubblico un signore con la faccia intelligente lo interruppe con questa frase “La poesia è sempre stata guerrafondaia, dall’Iliade in poi”. Quel signore dalla faccia intelligente era Piergiorgio Bellocchio, famoso critico letterario, fratello del regista Marco.

Ricordo una studentessa bellissima, labbra carnose, seno carnoso, fianchi carnosi, capelli “carnosi”, era tutta carne, tutta vita, e poi seppi dal mio amico africano Mamadou che si lamentava di non essere approcciata da nessuno, avevano tutti paura di lei e della sua meravigliosa carne palpitante. Maledizione, avessi avuto più coraggio, chissà!

E finalmente ricordo la mia tesi di laurea, dopo dieci lunghi anni, prima tentai col professore Todeschini di pedagogia sperimentale, gli parlai del mio desiderio di scrivere una tesi su Jean Marc Gaspard Itard, e lui mi disse “Non lo conosco bene, attuo la sospensione del giudizio”, e così svanì la possibilità di parlare di Truffaut, il mio regista del cuore, che interpretò Itard ne Il ragazzo selvaggio. Allora provai con Laura Boella di Filosofia Morale, e proposi una tesi su Emil Cioran dal titolo Mal di dandy. Lei mi disse che era un titolo troppo “dentistico” ma approvò la tesi e come titolo mi propose Esercizi di disperazione. Scrivendo la tesi avevo avuto l’idea di mettere dei miei aforismi all’inizio di ogni paragrafo, dato che Cioran era un grande aforista, firmavo gli aforismi con lo pseudonimo Zigro. “Chi è questo Zigro?” mi chiese la Boella, “Sono io”, risposi, ricordo che le scappò un sorriso e mi disse “Non dia le perle ai porci”, si vede che non aveva grande stima dei suoi colleghi, non tutti almeno.

Alcuni aforismi della tesi: “Dio è autistico: vive in un mondo tutto suo” oppure “La donna è l’unico enigma penetrabile” e via di questo passo, comunque nella tesi lasciai tutti gli aforismi di Zigro, sono un tipo incorreggibile. E finalmente arrivò il giorno della discussione davanti alla commissione di laurea, presidente Carlo Sini. Dietro di me mamma e papà, gli inde(fessi) sostenitori economici del mio decennio di studi e cazzeggi, qualche parente sparso, amici dei miei genitori e amici del sottoscritto, tutti in silenzio, in attesa delle mie parole da filosofo! Questo fu il mio esordio (lo giuro su quello che ho di più caro: il mio tempo perso) “Cara commissione, in questi dieci anni di studi filosofici ho capito chiaramente solo una cosa: moriremo tutti, tutti finiremo sottoterra“. Qualcuno della commissione tossì, ci fu un certo imbarazzo, ma Carlo Sini sorrise e diventai dottore! Nella vita mi sono salvato perché riesco a suscitare sempre un sorriso.

Aldo, mio padre, si congratulò con me, era visibilmente soddisfatto, ma si sentì in dovere di chiedermi “Ricky, e io ti ho pagato dieci anni di filosofia per sentire che moriremo tutti?” “Sì, papà”. Il mio adorato papà che ora non è più sulla Terra.

Eccoci arrivati alla fine di questo post, spero di avervi fatto sorridere, in caso contrario scrivetemi che vi offro un gin tonic per farmi perdonare. Memento mori, oppure se state camminando in un bosco “memento more”, e ricordatevi che io sono un dottore, un dottore in filosofia, mica pizza e fichi!

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