La parlamentare campana abbandonò il Pd nel 2017, poi scavallò il cambio di legislatura grazie alla candidatura con Liberi e Uguali. Da allora è passata prima in Italia Viva, poi nel Misto e ora viene accolta da Berlusconi. In occasione di uno dei vari passaggi assicurò: "C'è voglia di politica, ma quella bella"
Ogni volta consulta il fidatissimo e sterminato manuale delle frasi fatte che ogni buon calciatore sfodera dopo un nuovo tesseramento: ho sempre sognato di giocare qui, è una grande piazza che si merita il meglio, è la squadra giusta per vincere. Eppure sempre modesta, nonostante i record polverizzati e le statistiche da capogiro che metterebbero in ambasce anche Rino Tommasi: Michela Rostan è riuscita a cambiare di nuovo gruppo parlamentare. E’ il quinto in 5 anni: semel in anno licet cambiare casacca. Una volta nella legislatura precedente, 3 volte nella legislatura in corso e in via di conclusione. Totale: 4 cambi e 5 casacche (avvertimento per i lettori: il numero è aggiornato al momento della pubblicazione). Ricapitolando: dal Pd a Mdp (2017) e quindi dentro Leu (2018), grazie alle cui liste la deputata è rientrata in Parlamento; e poi da Leu a Renzi (2020) e da Renzi al misto (2021) in nome della fiducia al Conte 2 all’epoca della caccia ai responsabili; infine, ora, l’ultima folgorazione, sulla via di Arcore.
Nel frattempo, sempre con ideali di ferro e radici ben piantate a terra, ha rappresentato i suoi elettori della circoscrizione Campania 1, gli stessi che l’avevano votata quando era dentro il Pd, gli stessi che l’avevano votata quando era dentro Leu e che ora se la ritrovano accanto ad Antonio Tajani a felicitarsi reciprocamente in conferenza stampa per l’adesione al gruppo di Montecitorio di Forza Italia. A qualcuno, fin troppo malizioso, può venire il sospetto che le elezioni politiche si avvicinano, che serve un nuovo trampolino da cui tentare l’ultimo insperato salto nella prossima legislatura, ma Rostan giura di no, che è tutto autentico, che tutto è cambiato, vuoi questi anni pazzi, vuoi la pandemia, vuoi la guerra. Ringrazia deferente Silvio Berlusconi – così come probabilmente ringraziò Pierluigi Bersani per lo stesso motivo – e spiega: “Gli eventi eccezionali di questi anni hanno cambiato vite e priorità e il modo di declinare la politica. In questi anni di attività parlamentare ho dato spazio al territorio da cui provengo. Non mi sono scrollata di dosso le priorità. Proprio per questo motivo dopo un anno al gruppo misto ho deciso di aderire a Forza Italia, una forza garantista, moderata e europeista”. Evviva, finalmente la casa che cercava.
E’ stato in effetti un lungo e penoso cercare. Quante volte è rimasta abbagliata da luci fatue, da illusioni durate il tempo di un’idea: credeva di aver trovato finalmente il posto giusto al momento giusto, ma poi il momento giusto passava veloce, e non era cosa, era il momento di sloggiare. Per esempio un paio d’anni fa, quando fece il salto triplo dai bersaniani a Italia Viva (che detta così sembra un motto di spirito e invece è vero), giurò al Messaggero: “La mia scelta è dettata da un solo motivo: il partito di Matteo Renzi è l’unico contenitore riformista nel panorama politico italiano”. In realtà il “solo motivo” forse erano due, perché l’agenzia Dire aveva appena pubblicato la lettera in cui aveva comunicato l’addio al capogruppo di Leu Federico Fornaro e in quelle righe scrisse che la goccia che aveva fatto traboccare il vaso fu che Roberto Speranza, il leader del suo partito e ministro della Salute, non fece quello che doveva fare sui farmaci che combattono l’epatite C. Poi però sempre al Messaggero assicurò che il motivo (numero 3) era che “Leu non ha futuro, non esiste più” e però anche che (numero 4) che il Pd “sui temi a me cari, come appunto quello della giustizia, ha abdicato in favore del M5s”.
Eppure era arrivata in Liberi e Uguali carica di speranze. Anzi, di “orgoglio”, spiegò, l’orgoglio “di poter rappresentare in questa campagna elettorale i valori e l’identità dell’area a nord di Napoli” perché “il processo unitario a sinistra e l’idea stessa di un nuovo centrosinistra devono plasmarsi dal basso, sui territori, sui luoghi. Non siamo nati per fare un partitino. Ma per costruire un grande progetto politico”. Poco rileva che da quel momento Rostan ha trovato ospitalità solo in “partitini”, quello è il destino beffardo, cinico e baro come sempre. Aggiunse: “Si dice spesso che la gente è stanca della politica. Io non lo credo. Credo che sia stanca di un certo tipo di politica. Ma ha ancora voglia di dire la sua, di discutere, ragionare, partecipare. C’è voglia di politica, ma quella bella“.
Era venuta via proprio per quello, per la “politica, ma quella bella”, dal Partito democratico. Era il marzo 2017, mancava un anno al voto delle Politiche – un po’ come se oggi mancasse un anno alle Politiche del 2023. Con una lettera quasi sterminata pubblicata dal Corriere del Mezzogiorno mise in fila tutti i motivi per cui aveva dovuto abbandonare il suo partito. Che delusione il Pd! “Scelsi di aderire al progetto Pd perché innamorata di una grande idea: unire finalmente i diversi filoni del riformismo italiano. Quel sogno è svanito“. Serviva una sterzata, il Pd beccava tranvate su tranvate, prima al referendum costituzionale poi alle elezioni amministrative: “Non so, francamente, cosa ancora debba succedere per aprire, finalmente, gli occhi. La realtà è più forte anche della più bella narrazione. Parliamoci chiaro: le nostre principali riforme si sono rivelate un clamoroso fallimento. Io non voglio mettere la testa sotto la sabbia”. Dev’essere per questo motivo che dopo aver abbandonato quelli là che avevano “fallito clamorosamente” decise di rimettercisi come compagna di banco a Montecitorio passando dentro Italia Viva.
Ora sarebbe anche facile cercare sue dichiarazioni critiche nei confronti di Forza Italia (ne spunta per esempio una – del suo periodo renziano – in cui diceva che Berlusconi aveva in sostanza cannato sui rifiuti in Campania). Sarebbe facile ma inutile perché, come scrisse una volta sulla sua pagina facebook, “la buona politica è quella in grado di superare le barriere ideologiche e di partito per raggiungere nobili obiettivi”. Una capacità – quella del salto delle barriere di partito – che Rostan ha dato prova di avere in almeno 3-4 occasioni. Non è detto che non si ripeta: ha 40 anni e l’avvenire è dalla sua.