Non solo il salario minimo non va fatto per legge perché “contro la nostra storia culturale di relazioni industriali”. Ma – nelle settimane del caro bollette, del potere d’acquisto progressivamente diminuito e degli allarmi sulle disuguaglianze che si moltiplicano da più voci – “la crisi non c’è“, perché “il Pil va verso il +3%”. E’ quello che sostiene il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta. La sua è la prima posizione esplicita all’interno del governo contro l’ipotesi di un salario minimo legale. L’ultima presa di posizione era stata poche ore prima quella del commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni che aveva indicato il salario minimo legale come strumento contro la perdita del potere d’acquisto e contro le disuguaglianze. In Germania, invece, non si sono troppo preoccupati dalla loro “storia culturale di relazioni industriali” perché non solo il salario minimo esiste da anni ma è notizia di ieri che sarà alzato a 12 euro.

Eppure fino a ieri perfino il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti sembrava aprire uno spiraglio alla discussione: “Il salario minimo non deve essere un tabù ma bisogna vedere come si fa”. Oggi però il ministro leghista al Messaggero ha appoggiato la proposta di un taglio al cuneo fiscale. Ma anche in questo caso Brunetta non sembra troppo convinto: “E’ uno strumento che riguarda le imprese e le famiglie. E’ uno strumento che serve dare più competitività alle imprese e più potere d’acquisto alle famiglie. Il problema è quello di trovare le coperture” dice. Resta ora da capire se la presa di posizione di Brunetta diventerà l’ennesimo problema della stabilità della maggioranza e del governo. Come noto, M5s (che lo propone da anni) e Pd sono a favore del salario minimo: “Per noi la questione salariale è fondamentale – ha detto di nuovo stamani il segretario del Pd Enrico Letta -, accanto a questo c’è anche l’impegno ad arrivare al salario minimo come hanno fatto in Germania, in Australia, Paesi simili al nostro che hanno fatto una scelta che anche noi dovremo fare”.

Il punto di vista di Brunetta, invece, pare avere più aderenza con la posizione della Cisl, certamente il sindacato più ostile a questa possibilità. Di certo la platea del ministro era quella giusta, perché interveniva al Festival dell’Economia di Trento, organizzato dalla Provincia autonoma e dal Gruppo 24 Ore. “Il salario minimo per legge non va bene – spiega Brunetta – perché è contro la nostra storia culturale di relazione industriali. Non buttiamo il bambino con l’acqua sporca e valorizziamo le nostre relazioni industriali. Il salario non può essere moderato ma deve corrispondere alla produttività”.

Il riferimento alle relazioni industriali del ministro è lo stesso che fa ancora oggi Luigi Sbarra, segretario della Cisl, il quale – parlando allo stesso festival di Trento – sottolinea che il salario minimo va “esteso e rafforzato attraverso la contrattazione”. Per Sbarra la soluzione è prendere “a riferimento il trattamento economico complessivo dei contratti sottoscritti dalle forze sociali più rappresentative”, vedere “quali sono i contratti maggiormente applicati nei settori di riferimento e questo è per noi il salario di riferimento”. “Io sono più interessato a parlare di salario massimo che di salario minimo” dice Sbarra. Più possibilista il leader della Uil Pierpaolo Bombardieri che si dice favorevole al salario minimo con una sola preoccupazione: che “non sostituisca i contratti” e quindi “non ci sia uno spostamento dei lavoratori tra chi ha il contratto e chi ha solo il salario minimo”.

Così l’iter della legge in commissione Lavoro al Senato, che già prosegue al rallentatore dal 2018, dopo una lieve accelerazione potrebbe subire un’altra frenata. Se e quando si comincerà a votare sugli emendamenti, si profila un altro scontro politico nella maggioranza. “Speriamo di poter ripartire con l’esame dopo le Comunali”, auspicava ieri Susy Matrisciano (M5s), presidente della commissione dove da inizio legislatura sono state depositate sei proposte, ed è stato scelto come testo base quella (dei tempi del Conte 1) di Nunzia Catalfo, ex ministra 5s del Lavoro che poi ad aprile 2021 ne ha presentata un’altra, non più solo sul salario minimo ma anche sulla rappresentanza delle parti sociali nella contrattazione collettiva, proponendo pure la detassazione degli aumenti dettati dai rinnovi contrattuali. È il modello a cui tendere, a partire dai 9 euro netti orari come base sotto cui non si può scendere, livello ora non garantito a circa 4,5 milioni di lavoratori secondo i dati Inps. Gli emendamenti sono già stati illustrati (molti sono sostitutivi o abrogativi), si attendono le relazioni tecniche dei ministeri dell’Economia e del Lavoro e i pareri della commissione Bilancio di Palazzo Madama.

Eppure in serata sul tempa interviene il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che dice: “Sul salario minimo vedo aperture positive da tutte le parti, c’è chi la vuole cotta e chi la vuole cruda. Vediamo qual è il punto di contatto che consenta di intervenire subito in attesa poi di una legge di carattere più organico e che consenta di dare una risposta immediata ai lavoratori che si trovano a basso reddito e a basso salario”.

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