Tra le tante pagine satiriche a tema calcio (che Dio le benedica) ce n’è una che dedica qualche riga agli stranieri passati per l’Italia, in particolare tra gli anni ’80 e ’90. Ed essendo il sottotema “Superpippa” il riferimento è a quelli non proprio talentuosi. Ebbene, scorrendo tra le simpatiche descrizioni si legge di Milton come dell’autore del poema “Paradiso Perduto”, un genio con la penna, molto meno con la palla. Azzeccata la prima parte, anche in senso calcistico, molto meno la seconda. Già perché Luiz De Souza Filho detto Milton da Curitiba per molti versi rappresenta proprio il Paradiso Perduto del calcio italiano. E perché non era una pippa. Basta guardare quello che accadeva esattamente 33 anni fa in Pescara-Como, gara finita uno a uno: quando il brasiliano col baffetto e il numero 10 sulle spalle dribbla un avversario, scarica su un compagno, intuisce un corridoio incredibile e ci si butta facendosi restituire palla e cavalcando fino in porta per poi dribblare il portiere e segnare un gran gol.
Un paradiso perduto, dunque, di quando il Como, una piccola del calcio italiano, poteva permettersi di prendere un nazionale brasiliano, anzi, in realtà due. Già, era il 1988 e il Como di Benito Gattei, già al quinto campionato consecutivo in Serie A, guarda al mercato estero. Il compianto Sandro Vitali, su suggerimento del mediatore Lamberto Giuliodori decide di guardare alla nazionale olimpica brasiliana: c’è un centrocampista elegante, con gran tecnica e ottima visione di gioco, Milton appunto, e poi un giovanissimo jolly difensivo dal sinistro micidiale che gioca nel Ponte Preta, Andrè Cruz.
Quel Brasile, con Milton titolare, vince l’argento alle Olimpiadi di Seul e dunque le richieste diventano alte per il Como: circa 5 miliardi di lire per entrambi, ma l’affare si fa, anzi no. Col Curitiba l’accordo per Milton si fa, per Cruz la trattativa sfuma, e così i lariani, allenati da Rino Marchesi decidono di confermare come secondo straniero Dan Corneliusson, mentre Milton occupa la casella del partente ex pupillo di Berlusconi, Claudio Borghi. L’eleganza di quel centrocampista colpisce tanti: testa alta, sventagliata facile, dribbling ancora di più e tanta eleganza. Ma la squadra non gira, eppure la qualità non manca: in attacco c’è un ragazzino niente male, Marco Simone, accanto a Milton al centro il buon Notaristefano, e poi Giunta, Annoni, lo stesso Corneliusson, ma i tempi in cui il Como era una squadra che rendeva la vita difficile a tutte sembrano lontani. Eppure su Milton si concentrano le attenzioni di molti: piace tantissimo all’avvocato Agnelli ed entra nelle mire della Juventus, si prende i complimenti di tanti e per qualcuno è addirittura uno dei migliori stranieri arrivati nel 1988 in Italia.
Le buone prestazioni del centrocampista però non sono utili a garantire la salvezza del Como, che retrocede. Chiaro che il calciatore diventa a quel punto appetito da tanti: per la Juve è un pallino, ma lo è di più Dunga, e i bianconeri arrivano a un passo dall’acquistarlo per girarlo alla Fiorentina come contropartita del futuro ct della Selecao, ma le richieste di Pontello poi si fanno troppo esose e non se ne fa nulla. Ci prova anche l’Atalanta, ma a quel punto il Como decide di lasciarlo alla guida del centrocampo per provare a riconquistare la Serie A, ma va malissimo: i lariani addirittura retrocedono in Serie C, al netto di gol strepitosi di Milton come quello contro il Licata. A quel punto l’attenzione sul brasiliano è scemata: non resta in Italia, ma comunque a pochi passi da Como, restando per 8 anni e fino a fine carriera in Svizzera, tra Chiasso, Sion, Zurigo e San Gallo. Certo, con Milton all’epoca arrivavano dal Brasile Alemao (e pure “Er moviola” Andrade) o dall’Olanda Rijkaard, ma a guardare oggi un centrocampista con quel tocco e quella visione, far gol come quello di 33 anni fa a Pescara viene da pensare a quel Paradiso Perduto che era la Serie A degli anni ’80.