Il regista si è raccontato al Corriere della Sera ripercorrendo sia i successi iniziali della sua carriera, sia gli anni a Hollywood. E sul rapporto con il fratello specifica: "Rimane una delle cose più incomprensibili, ingiustificabili e forse anche imperdonabili"
Dai primi film, con il successo de L’ultimo bacio, alla vita hollywoodiana, fino al doloroso allontanamento dal fratello. Gabriele Muccino si è raccontato in una lunga intervista al Corriere della Sera, ripercorrendo la sua vita e anche dinamiche familiari non proprio rosee.
Parlando del fratello Silvio Muccino, il regista ha sottolineato di aver “vissuto un lutto” con lui, “un lutto di una persona vivente, che non vedo dal 2007”. “È stata una esperienza per me aberrante da un punto di vista psicologico: mi ha scarnificato – ha raccontato al quotidiano di via Solferino – Rimane una delle cose più incomprensibili, ingiustificabili e forse anche imperdonabili. A un certo punto quando questo lutto si è elaborato, quando ho smesso di soffrire, sono passati ormai 15 anni“. “Lì ti rendi conto che quella persona non la vuoi più incontrare, non hai più nulla da raccontare perché fondamentalmente non la stimi, non la ammiri e non la conosci più. Se mancano questi tre elementi, il resto cosa è? Forma?”, continua. La possibilità di un chiarimento non sembra essere nei piani: “Quando tuo fratello scompare senza neanche dirti perché per una vita intera, il corpo soffre, soffri psicologicamente, ti svegli nel cuore della notte come se ti mancasse l’aria, perché hai voglia di tuo fratello. Era un pezzo di me”. Quella parte della vita che lui “mi ha tolto”, spiega, ora “se n’è andata”. Difendersi “da un dolore così penetrante” è “fisiologico”. Neanche fare un film che parli della loro storia è nei piani. Impossibile, dice ancora il regista, “fare un film così perché è troppo vicino a qualcosa di troppo doloroso”.
Nel suo racconto di vita Muccino torna a parlare anche de L’ultimo bacio, il suo primo successo: “Quel personaggio ero io, completamente. Dopo il mio primo film Ecco fatto e, soprattutto, dopo Come te nessuno mai , ero io a ritrovarmi in una storia che richiedeva delle responsabilità, improvvisamente circondato da tante Martina Stella. Quello che però non sapevo era che molte altre persone fossero simili a me”. Per lui quel film fu “una sorta di tsunami”. Dopo un’adolescenza vissuta “in solitudine”, spesso, dice “alienato” dalla società, il cinema “mi ha dato la possibilità di esistere, ovvero di portare quello che io sono alla fruizione degli altri”. E proprio attraverso il cinema è riuscito a raccontare se stesso, “anche i traumi, i dispiaceri, i grandi disincanti, le delusioni”. “Ho usato il cinema come strumento per sciogliere quella che sarebbe stata un’esistenza implosa. Ho sfruttato la drammaturgia per dare ordine al caos della vita”, spiega al quotidiano.
Quindi Muccino racconta la vita a Hollywood, un posto “sempre più pieno di gente insicura che conosce poco il cinema e non sa più cosa fare da quando è arrivata la tv di qualità”. In America, dice, mancava soprattutto “il convivio”. ” Lì, la vita che ho condotto per 12 anni era guidata dal business: incontravi solo chi poteva darti qualcosa, che ti vedeva solo se tu potevi essere interessante da un punto di vista affaristico. Al di fuori di questo, l’amicizia con assenza di interessi in America non l’ho mai conosciuta”, racconta. Rispondendo a una domanda su Will Smith e su quanto accaduto agli Oscar, Muccino spiega: “Sono rimasto senza parole per giorni. Lui che nella vita si controlla in modo maniacale…Hollywood non lo perdonerà mai, essendo puritana e bigotta in un modo che non possiamo immaginarci. Ha fatto una cosa così sbagliata e così umana, in fondo. Ma in un tempio del politically correct, in cui sono tutti dei robot”.