“Ormai quando le previsioni mettono pioggia sappiamo si tratterà di qualcosa di estremo”. “In pochi minuti sono caduti 40 millimetri. Di norma per avere questa quantità di precipitazione servono tre o quattro giorni”. “La siccità? Prosegue da mesi e mesi. Ne pagheremo le conseguenze fino all’autunno”. Mentre si celebra la Giornata mondiale dell’ambiente, gli agricoltori italiani subiscono i danni del cambiamento climatico che nei giorni scorsi ha provocato l’alternanza fra temperature (troppo) elevate e violente grandinate. Risemina e irrigazione costano. L’impatto, spiega Coldiretti in una nota, è di circa 9 miliardi di euro. Pesano sia i rialzi del prezzo del carburante – necessario per i macchinari – sia la mancanza di acqua. O meglio, l’assenza di una sua distribuzione costante e regolare. Come invece succedeva anni fa: “Ora ci troviamo di fronte a lunghi periodi di siccità intervallati da perturbazioni che provocano eventi catastrofali, come grandinate molto intense”, spiega Lorenzo Bazzana, agronomo e responsabile economico di Coldiretti. “I millimetri di acqua piovana ci sono, ma la frequenza con cui si determinano è nettamente cambiata”. E cioè, tutti in una volta.
Le storie – “Questa primavera è stata arida, non asciutta. Poi, di colpo, la grandine e la pioggia di quattro giorni”. Manuel Bongini è un coltivatore di cereali nella zona di Parabiago, non lontano da Milano. Lo stesso Canale Villoresi, usato dalla sua azienda per l’irrigazione, non è rifornito come un tempo. “Orzo, frumento e segale una volta usciti dall’inverno hanno bisogno di acqua, che non trovano. Il prodotto perciò non si sviluppa”. Oppure, se lo fa, incontra le precipitazioni con i danni conseguenti: “Se i chicchi si staccano dalla spiga non c’è modo di recuperarli. Il mais? È sfibrato“. I fenomeni atmosferici colpiscono tutto il territorio: “Non solo l’agricoltura. Ho impressa nella mente l’immagine di una concessionaria che aveva cercato di proteggere le macchine con reti antigrandine. Ma nulla da fare: distrutte sia le protezioni sia le vetture”. Lo dice Mauro Berticelli, proprietario di un’azienda zootecnica a Vailate, nel Cremonese. “Il problema è il mais, il raccolto principe per le attività come la nostra. Si semina fra marzo e aprile. Se viene investito dalla grandine possiamo solo riseminare, con il conseguente rincaro sui costi: delle sementi e del carburante, più che raddoppiato”. La parte più inquietante, prosegue Berticelli, è che siamo solo ai primi di giugno. “Di solito questi fenomeni colpiscono il terreno da metà luglio a fine agosto, e raggiungono un mais più avanti nel processo di crescita, e perciò più forte”. E c’è, infine, il capitolo del florovivaismo: “Nella zona di Crema intere riserve di piante sono andate distrutte. E già avevano subito una ristrettezza del mercato a causa della pandemia”.
Chi subisce danni – Più di 1 azienda agricola su 10 (11%) – sottolinea la Coldiretti – è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività. Una su tre – sul totale nazionale, quindi il 30% – si trova costretta a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell’aumento dei costi di produzione. I rincari sono ovunque: nelle campagne si registrano aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi al +129% per il gasolio con incrementi dei costi correnti di oltre 15.700 euro in media ma con punte oltre 47mila euro per le stalle da latte e picchi fino a 99mila euro per gli allevamenti di polli, secondo lo studio del Crea. L’alternarsi delle temperature comporta uno stress per le coltivazioni, mettendole a rischio: “Soprattutto patiscono i cereali autunno-vernini come frumento e orzo, o gli erbai, che sono in fase di raccolta o all’inizio della maturazione”, continua Bazzana. E la siccità affossa anche le colture estive come mais, soia e girasole: “Che in assenza di acqua sufficiente si troveranno in situazione di grande sofferenza. Lo stesso pomodoro da industria è a rischio”. Per quanto riguarda i fruttiferi, invece, “i più fragili sono i ciliegi, perché molto delicati. Spesso si verifica il fenomeno del cracking, cioè lesioni alla polpa provocate da intensi fenomeni atmosferici. Non sono al sicuro neanche albicocche e pesche. Un tempo le grandinate colpivano solo alcune strisce di territorio, ora invece si distribuiscono in giro e hanno una diffusione territoriale molto estesa”.
Irrigazione e conservazione – Il problema principale sta nella reperibilità di acqua, che ha smesso di essere una costante. Per procedere all’irrigazione ci sono tre metodi, spiega Bazzana. Il primo è il pozzo aziendale, al quale le attività possono attingere liberamente perché di loro proprietà. La seconda opzione consiste nei consorzi irrigui, che distribuiscono acqua proveniente dai corsi: serve più realtà aziendali in giorni e tempi specifici. Infine, c’è la possibilità di accedere direttamente ai fiumi. “In caso di carenza è possibile, per esempio, che i consorzi riducano il tempo di irrigazione: così si distribuisce la poca acqua che c’è fra tutti”, prosegue Bazzana. Ma la vera chiave è da cercare nella conservazione della pioggia che cade. Insieme all’Associazione nazionale bonifiche, Coldiretti sta lavorando progetti che puntano all’introduzione di serbatoi: “Senza cementificare, ma ricorrendo a siti dismessi e predisposti, appunto, alla conservazione”. Il punto è distribuirla in seguito quando si avvertirà carenza e restituire ai campi un rifornimento regolare, che un tempo si otteneva con le precipitazioni. Come si legge sul sito Anbi, il Piano di efficientamento della Rete Idraulica del Paese punta alla pulizia di 90 invasi, la cui capacità ha subito una riduzione del 10% “a causa del progressivo interrimento, dovuto al depositarsi di sedime sul fondale”. Oltre al completamento dei 16 bacini attivi si propone di realizzarne altri 23: così, prosegue la nota Anbi, la capacità complessiva italiana aumenta di “circa 360 milioni di metri cubi” e la percentuale di acqua piovana trattenuta – ferma all’11% – crescerebbe. Coldiretti è inoltre attiva nel ‘Progetto laghetti’: “6.000 invasi aziendali e 4.000 consortili da realizzare entro il 2030”.
Cambio coltivazioni – Adattare le colture ai cambiamenti climatici è una strategia funzionale? “A livello macroscopico qualcosa sta già succedendo, con l’introduzione di alcune coltivazioni in territori dove prima erano assenti. È il caso della Sicilia, con frutti subtropicali. Oppure gli ulivi, che hanno raggiunto altitudini prima impensabili. E la vite, che è riuscita ad arrampicarsi sempre più in alto”. Però, spiega Bazzana, non può essere una soluzione in breve tempo: “Si tratta di mettere insieme una serie di fattori, dalle caratteristiche del terreno alla difesa fitosanitaria: non si tratta solo di temperature alte o basse. Va verificata la compatibilità di quella determinata specie con il territorio, e la qualità dei frutti (per esempio) che produce. Sono tempi molto lunghi“.