Ultimamente è tornato al primo posto, spodestando il Belgio da un trono che occupava ormai ininterrottamente da quasi quattro anni, ma nel 2013, alla vigilia del mondiale casalingo, il Brasile occupava la ventiduesima posizione del ranking FIFA. Il suo minimo storico. Una vera e propria catastrofe sportiva. Sicuramente la nazionale verdeoro non stava attraversando uno dei periodi migliori della sua storia, ma un risultato così deludente molto probabilmente non rispecchiava la realtà. Ne era fermamente convinto Luiz Felipe Scolari, l’allora commissario tecnico della Selecao. La colpa, almeno secondo Felipão, si nascondeva nei criteri alla base del funzionamento della graduatoria della FIFA: “Non conosco nel dettaglio i criteri adottati dalla FIFA, ma penso che siano ridicoli. Se non abbiamo giocato alcuna partita di qualificazione ai Mondiali è ovvio che non possiamo ottenere punti!”.

In quel momento, però, il Brasile non batteva una big mondiale dal 2009 e aveva vinto solamente una partita da quando Scolari era stato nominato ct, ovvero nel novembre del 2012. Eppure nulla pareva poter fare cambiare idea a Felipão. “Ho detto ai giocatori: voi non c’entrate con il 22° posto del Brasile, lo sanno tutti che questo succede per la mancanza di partite di qualificazione. Di questo passo, quando inizierà la Coppa del Mondo (giugno 2014, ndr), saremo al 30° posto”, ha tuonato in un’intervista a Sambafoot.com l’ex allenatore del Chelsea, puntando il dito contro la FIFA.

Felipão non è stato l’unico a lanciare strali contro la classifica stilata periodicamente dal governo del calcio mondiale, incolpata di non trasporre in maniera fedele il valore tecnico generalmente percepito delle varie selezioni nazionali. Da quando è stato ideato e presentato per la prima volta, nel lontano 1992, l’attendibilità del ranking FIFA ha sempre infiammato il dibattito calcistico. Del resto le incongruenze, tra le quali alcune anche paradossali, sono state parecchie. Uno dei casi che ha fatto più scalpore è stato quello della Norvegia, che tra il 1993 e il 1995 si è ritrovato per ben due volte a ridosso del primo posto (seconda), senza che avesse ottenuto in campo risultati di particolare rilievo. All’origine c’era la poca raffinatezza del metodo utilizzato. Sviluppato da due accademici svizzeri, Markus Lamprecht e Hans-Peter Stamm, il modello computazionale non teneva conto di due criteri essenziali come la forza dell’avversario e il prestigio del match giocato.

Migliorarlo non sarebbe stato difficile. “Il primo incentivo a farlo è arrivato nel 1995, quando ho visto che la Fifa aveva la Norvegia al secondo posto nella classifica mondiale. Ho pensato ‘Accidenti, anche io posso sviluppare un sistema migliore di questo!'”, ha dichiarato Ron Kessing, membro della Rec.Sport.Soccer Statistics Foundation. Con il suo modello, basato su quello degli svizzeri ma implementato con alcuni accorgimenti fondamentali, nello stesso periodo di riferimento al primo posto era balzato il Brasile, seguito da Francia e Argentina. Tutto decisamente più credibile: “La FIFA prende in esame risultati ottenuti negli ultimi otto anni. Il mio modello, invece, è sviluppato su base quadriennale”, ha spiegato il ricercatore alla BBC. A Ginevra, però, ne hanno preso atto con qualche anno di ritardo, aggiornando i criteri di calcolo solamente nel 1999.

Lo schema era destinato a ripetersi anche successivamente: ad ogni caso paradossale sarebbero seguiti diversi aggiustamenti dei meccanismi di calcolo. Come quello del 2006, quando finalmente è stato ridotto l’arco temporale di riferimento da 8 a 4 anni – attribuendo maggiore importanza alle partite disputate nell’ultimo anno – come aveva già intuito Kessing con una buona decade d’anticipo. Nemmeno questo, però, è bastato ad eliminare tutte le storture. E di conseguenza anche le polemiche. Gli addetti ai lavori, ad esempio, sono rimasti sorpresi quando hanno visto gli USA salire al quarto posto (2006) o Israele al quindicesimo nel novembre del 2008. “Dal mese scorso, Israele è riuscita a pareggiare 1-1 con la Lettonia e ha battuto il potente Lussemburgo (480.222 abitanti) 3-1. Ma in qualche modo, per via del bizzarro sistema usato dalla FIFA, questi risultati sono bastati per spingere Israele al 15° posto. Questo è assurdo. E’ giunta l’ora di abolire questa inutile classifica”, scriveva un meravigliato Jeremy Last in uno sferzante editoriale per il Jerusalem Post.

Per giunta, inoltre, questo sistema era facilmente bypassabile. Alle nazionali più blasonate bastava evitare scientemente le amichevoli con le squadre meno quotate per evitare che il punteggio medio ne risentisse (anche in caso di vittoria), guadagnando così posizioni in graduatoria. Addirittura la federazione rumena aveva ingaggiato uno specialista ad hoc, una sorta di consulente per il ranking FIFA, incaricato di preparare con cura il calendario delle amichevoli in funzione della classifica mondiale: la strategia, in pratica, consisteva nel disputare solamente un’amichevole all’anno. I frutti si sarebbero visti nel 2015 quando, alla vigilia del sorteggio delle qualificazioni verso Russia 2018, la Romania si ritrovò testa di serie tra lo stupore di tutti gli addetti ai lavori. Nulla di tutto questo, fortunatamente, sarebbe possibile ora, dopo la rivoluzione del 2018, quando la FIFA ha introdotto il sistema di valutazione Elo.

Già ampiamente diffuso nel mondo degli scacchi, il metodo che prende il nome dal professore di fisica che l’ha inventato, l’ungherese Arpad Elo, si basa fondamentalmente su alcuni dati statistici. Il funzionamento è abbastanza intuitivo: dopo una partita vengono aggiunti o sottratti punti a seconda dell’esito finale dell’incontro. La stella polare è una speciale formula ((P=Ps+I(W-We)) che tiene conto dei punti posseduti prima della partita, di quelli raggiunti dopo, dell’importanza della partita espressa attraverso un coefficiente progressivo (si va da un minimo di 5 per un’amichevole non ufficiale ad un massimo di 60 per una gara della fase ad eliminazione diretta dei Mondiali esclusi gli ottavi), del risultato finale (da un minimo di 0 per la sconfitta ad un massimo di 1 per una vittoria ottenuta entro i tempi supplementari) e di quello atteso dell’incontro.

Da quando è nato, fino all’ultima modifica dell’aprile 2021 (l’arrotondamento dei punti al secondo decimale anziché al numero intero più vicino), il ranking è stato perfezionato in svariate occasioni, con l’obiettivo di renderlo ogni volta un pochino più aderente alla realtà. Debellare del tutto il rumore di fondo generato dalla casualità, però, è impossibile. Nemmeno con modelli forse ancora più sofisticati, come il Soccer Power Index, ideato dallo statistico americano Nate Silver (creatore del progetto FiveThirtyEight), che a differenza dell’Elo classico considera anche informazioni sulle formazioni e su altri dati specifici della partita, si può raggiungere pienamente l’obiettivo. Il problema della aleatorietà si può mitigare, ma non risolvere in modo permanente. Per sua struttura, infatti, il calcio, essendo un gioco a basso punteggio, è uno sport molto complicato da modellizzare, a differenza magari delle discipline americane. E allora, per dirla con un motto particolarmente caro a Piergiorgio Odifreddi, non si può far altro che accettare l’inevitabile senza desiderare l’impossibile.

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