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C’è una strettissima relazione tra alimentazione, salute degli occhi e durata della vita di una persona: il nuovo studio su Nature

A individuarla e a spiegarla dettagliatamente è stato un gruppo di scienziati del Buck Institute e dell’Università della California a San Francisco, che hanno descritto il loro lavoro sulla rivista Nature Communications

di 30science per Il Fatto

C’è una strettissima relazione tra alimentazione, salute degli occhi e durata della vita di una persona. A individuarla e a spiegarla dettagliatamente è stato un gruppo di scienziati del Buck Institute e dell’Università della California a San Francisco, che hanno descritto il loro lavoro sulla rivista Nature Communications. Il gruppo di ricerca, guidato dagli scienziati Pankaj Kapahi e Brian Hodge, ha utilizzato esemplari di Drosophila, comunemente noti come moscerini della frutta, per comprendere i valutare in che modo la salute degli occhi si intreccia ai meccanismi legati all’invecchiamento. “Il nostro lavoro – afferma Kapahi – suggerisce che alcune disfunzioni oculari possono provocare problemi in altri tessuti. Per la prima volta abbiamo mostrato che l’occhio gioca un ruolo cruciale nell’influenzare la durata della vita”.

Studi precedenti avevano già dimostrato questo “bizzarro” collegamento. Era già noto che gli orologi circadiani possono giocare un ruolo fondamentale nei comportamenti complessi, che spaziano dalle interazioni predatore-preda ai cicli sonno-veglia, fino alla regolazione temporale delle funzioni molecolari della trascrizione genica e della traduzione delle proteine. In un lavoro del 2016, pubblicato sulla rivista Cell Metabolism, il team di Kapahi aveva scoperto che i moscerini della frutta che seguivano un’alimentazione ristretta mostravano cambiamenti significativi nei loro ritmi circadiani che potevano prolungare la durata della loro aspettativa di vita. “La Drosophila – spiegano gli autori – è un insetto caratterizzato da una durata della vita molto breve, il che costituisce un’ottima occasione per studiare importanti processi epigenetici che si verificano nel corso del suo sviluppo”.

Il gruppo di ricerca ha poi condotto un’ampia indagine per valutare i geni che influenzano il ritmo circadiano in base all’alimentazione. Attraverso diversi esperimenti, gli scienziati hanno osservato le differenza tra i geni di animali sottoposti a una dieta limitata al 10 per cento delle proteine e quelli di un gruppo di controllo a cu non era stato imposto questo limite. Ebbene, sono stati individuati numerosi geni reattivi alla dieta che mostravano andamenti ritmici in diversi momenti. Stando a quanto emerge dall’indagine, inoltre, questi geni che si attivavano maggiormente con le restrizioni alimentari, sembravano associati anche alla salute dell’occhio. In particolare ai fotorecettori, gli studiosi hanno rilevato effetti nei neuroni specializzati che rispondono alla luce. Gli esperti hanno quindi progettato una serie di esperimenti volti a comprendere il modo in cui la funzione oculare sia collegata alla durata della vita. In alcune sessioni, ad esempio, i moscerini sono stati tenuti in condizioni di oscurità, il che ha aumentato la loro aspettativa di vita. In un’altra fase, gli studiosi hanno eseguito una serie di analisi bioinformatiche e hanno scoperto che i geni ritmici e reattivi alle restrizioni dietetiche potevano influenzare la durata della vita.

“Generalmente pensiamo all’occhio come un organo destinato alla sola visione – osserva Kapahi – in realtà i nostri occhi e le strutture ad essi associate potrebbero essere fondamentali per proteggere l’intero organismo. Alla luce di queste scoperte, possiamo dedurre che l’esposizione eccessiva agli schermi o all’inquinamento luminoso può alterare gli orologi circadiani. La luce può infatti provocare la degenerazione dei fotorecettori”. “Sarà necessario proseguire le indagini – concludono gli autori – in modo da comprendere il ruolo che l’occhio può giocare nella salute generale di un organismo umano. Sarà fondamentale proseguire le indagini e rispondere agli interrogativi ancora irrisolti. Una volta compresi appieno questi meccanismi, potremmo anche sviluppare approcci efficaci e mirati per decelerare l’invecchiamento tramite questi geni”.

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