Giovani, poveri,morti. Bainganov Vitaly Chingisovich era nato il 28 gennaio 1998 nella città di Gusinoozersk, praticamente Siberia. Di professione “operatore di ruspe-escavatori”, durante il servizio militare aveva firmato un contratto ed era rimasto nella 30a brigata, poi catapultata in Ucraina. Si era sposato nel 2018, ad ottobre aveva avuto un figlio. E’ morto il 1 giugno scorso, a soli 24 anni, in una delle incursioni per la presa del Donbass. C’è anche il suo nome tra gli oltre 3mila russi uccisi al fronte di una guerra che non ha vittime ufficiali, a parte i generali di cui si tiene conto con scrupolo. Semplici fanti, artiglieri e carristi muoiono senza un nome, un funerale, un rigo su un giornale. Non fornirli è una tattica di guerra. Qualcuno però è riuscito a verificare l’identità degli uccisi dimostrando come la stragrande maggioranza dei soldati inviati al fronte sia giovanissimo, dunque poco esperto, e provenga da zone poverissime della Russia, dove la professione del soldato è l’unico mestiere garantito. Si è così scoperto che nei primi due mesi di guerra la povera Burizia, da dove veniva il soldato semplice Vitaly Chingisovich, contava 91 morti pur avendo solo un milione di abitanti, vale a dire meno dell’1% dei russi. Mentre l’elenco ella “ricca” Mosca, dove il vive il 9% dei russi, si ferma a tre persone riconosciute. Insomma, quella di Putin è pur sempre guerra dei poveri.
Tutto questo lo ha dimostrato il team di giornalisti indipendenti russi “iStories” che ha ricostruito in maniera certosina l’identità e la provenienza di 3.258 soldati russi deceduti sul campo tramite dispacci, canali social e telegram, ottenendo così non solo i primi dati sulle consistenze reali dei deceduti russi – comunque doppi rispetto a quanto dichiarato da Mosca ufficialmente – ma soprattutto una fotografia staticamente robusta a conferma delle fragilità dell’Armata di cui tanto si è parlato. Distribuendo i decessi per età anagrafica è emerso che la media dei soldati morti è di 28 anni. Più dell’80% è morto tra i 18 e 35 anni, il 40% aveva meno di 25 anni. Lavorando sui totali emerge così un dato clamoroso e terribile: a causa della guerra, in tre mesi il tasso di mortalità dei giovani in Russia è già aumentato del 20%. Questo sempre considerando che si tratta di numeri parziali, perché riferiti unicamente a soldati la cui morte è stata confermata, così come l’anno e il luogo di nascita, partendo da messaggi dei parenti sui social o commemorazioni . I numeri totali, con ogni probabilità, sono molto più alti e per questo alcuni demografi, come Aleksey Raksha che lavora all’agenzia di statistica statale Rossat, hanno lanciato l’allarme sul rischio di un calo demografico in Russia nel 2023. Ma si è scoperto anche altro.
La maggior parte dei soldati morti nella guerra in Ucraina, quasi due terzi, proveniva da piccole città e villaggi delle regioni più povere e periferiche della Federazione, dove il tenore di vita è molto più basso della media russa. Ad esempio, il tasso di disoccupazione in Buriazia, Tuva, Ossezia del Nord e Daghestan è compreso tra il 10 e il 15%, che è 2-3 volte superiore al livello medio russo. Piccoli insediamenti, da cui proveniva la maggior parte dei soldati russi morti, spesso non ci sono nemmeno i servizi di base. Ad esempio, nei villaggi e nei villaggi di Tuva, solo il 3% di tutti i locali residenziali è dotato contemporaneamente di approvvigionamento idrico, fognario, riscaldamento, fornitura di acqua calda e gas. Questo, fa notare il consorzio di giornalisti, può spiegare alcune immagini enigmatiche di questa guerra: quelle degli occupanti che fanno incetta di televisori, lavatrici, computer e frigoriferi. Foto che la propaganda ucraina ha utilizzato per denunciare la “rapina” dei russi ai danni dei civili. La verità dei numeri è forse più cruda che crudele: nei luoghi da cui arrivano i soldati della Grande Armata di frigo e tablet non se ne vedono tanti, pochi possono permetterseli. Così come il proprio funerale.