Il dubbio amletico più che sulla risposta da dare ai quesiti referendari, o recarsi fisicamente al voto (il superamento del quorum per il referendum abrogativo potrebbe non essere raggiungibile neanche calcolando chi potrà partecipare alle simultanee elezioni amministrative nell’election day del 12 giugno), riguarda anche un altro punto di osservazione. I quesiti sulla giustizia non sono stati proposti da generici comitati di cittadini, bensì da giunte regionali politicamente caratterizzate a destra che, per i temi coinvolti, incrociando il loro destino con quello della riforma tentata dalla ministra Marta Cartabia, sono stati utilizzati, finché era utile, come strumento di pressione sul governo e sulle forze di maggioranza. E un altro aspetto non meno rilevante: la Corte, ammettendo i quesiti, tende a confondere ormai apertamente oggetto e soggetto degli stessi perché, implicitamente, favorisce che il referendum diventi un altro modo di positivizzare il diritto.
Vale la pena, dunque, insistere su questo aspetto, anche per valutarne le interferenze, i boomerang e le ricadute ordinamentali. Sorvolo sull’abolizione della legge Severino e quella sul limite alle misure cautelari per la reiterazione del reato per via, nel primo caso, dell’immagine di mafiosità e corruttela da qui all’eternità che ne deriverebbe agli occhi di qualsiasi investitore; nel secondo, circa le molestie, i maltrattamenti e gli atti persecutori, a ritenerne irricevibile, per tutte le donne, perfino il pensiero. Per quelli sulla giustizia sono state istituite tre commissioni: per la riforma del processo civile, del processo penale, del Csm e dell’ordinamento giudiziario. Sulla spinta del Pnrr, quelle concernenti i due riti processuali sono state approvate con relativa semplicità; la terza, dopo che la proposta formulata dalla Commissione guidata da Massimo Luciani è stata sostituita senza tanti complimenti dalla ministra, ha un testo insufficiente.
Il referendum invece abroga ma non risolve. La nuova formula sarà in grado di contenere gli abusi del correntismo? Ma davvero pensiamo che sia con la sola forza del diritto che può ottenersi un simile risultato? Sui consigli giudiziari, la proposta referendaria persegue l’obiettivo di coinvolgere con voto deliberativo la componente laica, professori e avvocati, nella valutazione della carriera del magistrato equiparando questi organi a quello del Csm, cui spetta la parola definitiva. Tuttavia, il referendum potrebbe avere effetti controproducenti: si pensi all’avvocato componente del consiglio che, in un processo, incroci il magistrato su cui ha espresso un giudizio negativo o non favorevole. Sul punto il referendum interferisce con la riforma Cartabia, che però vi interviene in maniera molto moscia.
Il più rilevante e mediatico resta il referendum sulla separazione delle funzioni requirente e giudicante. L’obiettivo però, nonostante la pubblicità ingannevole che se ne dà, non è la separazione delle carriere, che avrebbe rilievo costituzionale. Il quesito ammesso, nella sua complessità, persegue lo scopo di impedire totalmente il passaggio dalle giudicanti alle requirenti e viceversa. Sul punto, invece, la riforma Cartabia prevede un solo passaggio per tutta la carriera del magistrato, previo corso di preparazione professionale e previo parere del Csm. Anche in questo caso, si dovrà valutare fino a che punto la riforma, una volta giunta in Parlamento, corrisponda al “verso” del quesito abrogativo.
Nel complesso i referendum sulla giustizia sono stati un’occasione persa: sia per i promotori, sia per il Parlamento e la riforma. Oltre i tempi incerti dei decreti attuativi, contribuirà solo in minima parte a risolvere i nodi più gravi in cui è imbrigliata la magistratura, senza riabilitarne la reputazione che non è facile recuperare, anche per la politica della polvere sotto il tappeto condotta sinora. Di sicuro tutto ciò nuoce ai cittadini e ai magistrati. E quindi disertare le urne diventa un altro modo per fare politica. E non basterà prendersela con la mancanza di spazi nei media nazionali. Il referendum rischia, così inteso, di non essere più un dispositivo per fare pronunciare gli elettori su una legge, ma uno strumento giocato dai partiti per le loro finalità-partito. La dinamica impressa al fenomeno dell’astensione dal voto è essa stessa prova più evidente della volontà popolare. Forse, per taluni, un’arma impropria per vincere qualsiasi referendum.
Oggi però accade qualcosa di singolare. La disaffezione politica viene sfruttata dagli stessi promotori affinché il voto fallisca, senza ovviamente incitare a farlo, per raggiungere gli obiettivi perseguiti di pressione. Si potrà sempre dire “ci hanno impedito di sentire il popolo…”. Ecco perché il tavolo su cui si giocano le sfide che contano non è più quello del 12 giugno, ma l’altro, quello dei rapporti con i partiti e tra gli schieramenti, o quello con il governo del Paese. Così facendo, però, si continua a giocare con il fuoco. Il consenso dei cittadini è una cosa molto seria con effetti inattesi contro chi ne abusa. Rispetto pertanto ad una riforma che dovrebbe essere un esempio di celerità attuativa per via del Pnrr, i quesiti referendari appaiono francamente ridondanti e perfino stridenti con la sua stessa ratio. Con il rischio di dovere innescare un successivo processo di adattamento legislativo e tempi parlamentari che ne vanificherebbero il senso e l’urgenza. Insomma, una bella baraonda.
Occorrerebbe, piuttosto, soffermarsi con attenzione sulle criticità della riforma Cartabia con l’apertura mentale necessaria e sufficiente per accogliere, con animo scevro da pregiudizi, utili suggerimenti: a partire dal rischio, già oggi tangibile, che l’ansia da smaltimento dell’arretrato giudiziario comporti motivazioni sommarie in sentenza, conseguenti massicci ricorsi in appello, improcedibilità pressoché certa. In una parola: denegata giustizia.
Daniela Mainenti
Professore Straordinario in Diritto Processuale Penale Comparato
Giustizia & Impunità - 7 Giugno 2022
I referendum sulla giustizia vogliono abrogare senza risolvere. Con effetti controproducenti
Il dubbio amletico più che sulla risposta da dare ai quesiti referendari, o recarsi fisicamente al voto (il superamento del quorum per il referendum abrogativo potrebbe non essere raggiungibile neanche calcolando chi potrà partecipare alle simultanee elezioni amministrative nell’election day del 12 giugno), riguarda anche un altro punto di osservazione. I quesiti sulla giustizia non sono stati proposti da generici comitati di cittadini, bensì da giunte regionali politicamente caratterizzate a destra che, per i temi coinvolti, incrociando il loro destino con quello della riforma tentata dalla ministra Marta Cartabia, sono stati utilizzati, finché era utile, come strumento di pressione sul governo e sulle forze di maggioranza. E un altro aspetto non meno rilevante: la Corte, ammettendo i quesiti, tende a confondere ormai apertamente oggetto e soggetto degli stessi perché, implicitamente, favorisce che il referendum diventi un altro modo di positivizzare il diritto.
Vale la pena, dunque, insistere su questo aspetto, anche per valutarne le interferenze, i boomerang e le ricadute ordinamentali. Sorvolo sull’abolizione della legge Severino e quella sul limite alle misure cautelari per la reiterazione del reato per via, nel primo caso, dell’immagine di mafiosità e corruttela da qui all’eternità che ne deriverebbe agli occhi di qualsiasi investitore; nel secondo, circa le molestie, i maltrattamenti e gli atti persecutori, a ritenerne irricevibile, per tutte le donne, perfino il pensiero. Per quelli sulla giustizia sono state istituite tre commissioni: per la riforma del processo civile, del processo penale, del Csm e dell’ordinamento giudiziario. Sulla spinta del Pnrr, quelle concernenti i due riti processuali sono state approvate con relativa semplicità; la terza, dopo che la proposta formulata dalla Commissione guidata da Massimo Luciani è stata sostituita senza tanti complimenti dalla ministra, ha un testo insufficiente.
Il referendum invece abroga ma non risolve. La nuova formula sarà in grado di contenere gli abusi del correntismo? Ma davvero pensiamo che sia con la sola forza del diritto che può ottenersi un simile risultato? Sui consigli giudiziari, la proposta referendaria persegue l’obiettivo di coinvolgere con voto deliberativo la componente laica, professori e avvocati, nella valutazione della carriera del magistrato equiparando questi organi a quello del Csm, cui spetta la parola definitiva. Tuttavia, il referendum potrebbe avere effetti controproducenti: si pensi all’avvocato componente del consiglio che, in un processo, incroci il magistrato su cui ha espresso un giudizio negativo o non favorevole. Sul punto il referendum interferisce con la riforma Cartabia, che però vi interviene in maniera molto moscia.
Il più rilevante e mediatico resta il referendum sulla separazione delle funzioni requirente e giudicante. L’obiettivo però, nonostante la pubblicità ingannevole che se ne dà, non è la separazione delle carriere, che avrebbe rilievo costituzionale. Il quesito ammesso, nella sua complessità, persegue lo scopo di impedire totalmente il passaggio dalle giudicanti alle requirenti e viceversa. Sul punto, invece, la riforma Cartabia prevede un solo passaggio per tutta la carriera del magistrato, previo corso di preparazione professionale e previo parere del Csm. Anche in questo caso, si dovrà valutare fino a che punto la riforma, una volta giunta in Parlamento, corrisponda al “verso” del quesito abrogativo.
Nel complesso i referendum sulla giustizia sono stati un’occasione persa: sia per i promotori, sia per il Parlamento e la riforma. Oltre i tempi incerti dei decreti attuativi, contribuirà solo in minima parte a risolvere i nodi più gravi in cui è imbrigliata la magistratura, senza riabilitarne la reputazione che non è facile recuperare, anche per la politica della polvere sotto il tappeto condotta sinora. Di sicuro tutto ciò nuoce ai cittadini e ai magistrati. E quindi disertare le urne diventa un altro modo per fare politica. E non basterà prendersela con la mancanza di spazi nei media nazionali. Il referendum rischia, così inteso, di non essere più un dispositivo per fare pronunciare gli elettori su una legge, ma uno strumento giocato dai partiti per le loro finalità-partito. La dinamica impressa al fenomeno dell’astensione dal voto è essa stessa prova più evidente della volontà popolare. Forse, per taluni, un’arma impropria per vincere qualsiasi referendum.
Oggi però accade qualcosa di singolare. La disaffezione politica viene sfruttata dagli stessi promotori affinché il voto fallisca, senza ovviamente incitare a farlo, per raggiungere gli obiettivi perseguiti di pressione. Si potrà sempre dire “ci hanno impedito di sentire il popolo…”. Ecco perché il tavolo su cui si giocano le sfide che contano non è più quello del 12 giugno, ma l’altro, quello dei rapporti con i partiti e tra gli schieramenti, o quello con il governo del Paese. Così facendo, però, si continua a giocare con il fuoco. Il consenso dei cittadini è una cosa molto seria con effetti inattesi contro chi ne abusa. Rispetto pertanto ad una riforma che dovrebbe essere un esempio di celerità attuativa per via del Pnrr, i quesiti referendari appaiono francamente ridondanti e perfino stridenti con la sua stessa ratio. Con il rischio di dovere innescare un successivo processo di adattamento legislativo e tempi parlamentari che ne vanificherebbero il senso e l’urgenza. Insomma, una bella baraonda.
Occorrerebbe, piuttosto, soffermarsi con attenzione sulle criticità della riforma Cartabia con l’apertura mentale necessaria e sufficiente per accogliere, con animo scevro da pregiudizi, utili suggerimenti: a partire dal rischio, già oggi tangibile, che l’ansia da smaltimento dell’arretrato giudiziario comporti motivazioni sommarie in sentenza, conseguenti massicci ricorsi in appello, improcedibilità pressoché certa. In una parola: denegata giustizia.
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Roma, 21 gen. (Adnkronos) - "Perchè il capo della polizia giudiziaria libica Almasri arrestato sabato a Torino, per la Corte Penale Internazionale colpevole di crimini di guerra e contro la dignità umana, è stato scarcerato e rimandato in Libia? È una pagina inquietante, il governo deve spiegazioni". Così su X Pierfrancesco Majorino, responsabile Politiche migratorie nella segreteria nazionale del Pd.
Roma, 21 gen. (Adnkronos) - "Meloni non doveva fare la guerra in tutto il globo terracqueo ai trafficanti di esseri umani e arrestarli? Oggi invece ha liberato il trafficante e torturatore libico Almasri Habish e lo ha rimandato in Libia, nonostante un mandato di arresto della Corte penale internazionale. Che vergogna Giorgia Meloni". Lo dichiara il coportavoce nazionale di Europa Verde e deputato di AVS Angelo Bonelli.
Roma, 21 gen. (Adnkronos) - "Rimaniamo in attesa della conferma ufficiale e della motivazione che ha portato alla scarcerazione del trafficante di esseri umani libico arrestato nei giorni scorsi a Torino". Lo afferma Nicola Fratoianni di Avs.
"Naturalmente se questo personaggio potrà lasciare tranquillamente l’Italia invece di essere consegnato alla Corte Penale Internazionale per essere giudicato sarà chiaro a tutti - alla CPI, all’Interpol, alla comunità internazionale e ai cittadini del nostro Paese - che l’attuale governo italiano, Meloni, Nordio, Piantedosi proteggono i trafficanti di esseri umani e i torturatori libici".
Roma, 21 gen. (Adnkronos) - "È gravissimo che il comandante della polizia giudiziaria libica Najeem Osema Almasri Habish, arrestato domenica scorsa a Torino, sia stato rilasciato e rinviato in Libia, nonostante ci sia un mandato d’arresto della Corte penale internazionale. Presentiamo una interrogazione urgente al ministro Nordio affinché venga a riferire in aula già nelle prossime ore”. Lo afferma il segretario di Più Europa Riccardo Magi.
Roma, 21 gen. (Adnkronos) - "La vicenda della scarcerazione del generale Almasri è gravissima. Domani mattina chiederemo conto al Ministro Nordio in aula di questa scelta che a noi sembra assurda. Cosa c’è sotto?". Così Matteo Renzi sui social.
Roma, 21 gen. (Adnkronos) - “Per il ministro Salvini, dal primo di gennaio i ritardi ferroviari sono tutta colpa dell'eversione e del sabotaggio. Peccato che i dati dell’ultimo trimestre, senza catene sulla linea, senza sabotaggi, senza esposti, dicano che il 72 % dei treni ad alta velocità è arrivato in ritardo, che il Frecciargento Bari - Roma non è mai arrivato in orario e che il Frecciarossa Reggio Calabria - Milano ha avuto un ritardo medio di 46 minuti, con picchi di 468 minuti". Lo ha dichiarato Matteo Richetti, capogruppo di Azione alla Camera, rispondendo all’informativa del ministro Salvini sul trasporto ferroviario.
"I rimborsi complessivi dovuti a Trenitalia per ritardi dei treni sono superiori a 100 milioni di euro l'anno: circa 8 milioni e mezzo di euro al mese. Davanti a questa situazione emergenziale, ancora una volta il Ministro evita di discutere in aula la sua strategia dei trasporti. Avremmo voluto sapere dal Ministro se conferma la scelta di aumentare l’offerta dell’alta velocità, atteso il fatto che questo aumento contrae la possibilità di manutenzione ordinaria e quindi la prevenzione dei guasti".
"Soprattutto perché, se su quella stessa rete si pensa di mettere un terzo operatore, l'usura sarà ulteriormente esasperata. È su questo che avevamo chiesto un'informativa del Ministro: sui ritardi, sui guasti, sui disagi, sulle strategie per le politiche del trasporto pubblico in Italia, non sugli esposti sacrosanti. Ancora un’occasione perduta”.
Roma, 21 gen. (Adnkronos) - "Giorgia Meloni voleva inseguire i trafficanti di esseri umani in tutto il globo terracqueo, ne era stato arrestato uno libico in Italia e invece di dare seguito alle richieste della Corte penale internazionale che lo accusa di crimini di guerra e contro la dignità umana, lo hanno rimandato impunito in Libia. Il governo chiarisca immediatamente perché Almasri è stato scarcerato e lasciato andare". Così la segretaria del Pd Elly Schlein