Promuovono iniziative e sottoscrivono alleanze nate per ridurre l’inquinamento da plastica ma, dietro le quinte, i supermercati europei fanno pressioni per ritardare cambiamenti radicali, distraendo i consumatori con false soluzioni, creando l’illusione del cambiamento e nascondendo i dati. Persino quelli con le migliori performance mantengono diversi standard a seconda del Paese in cui operano. È questo il quadro che emerge dal rapporto ‘Under wraps? Quello che i supermercati europei non ci dicono sulla plastica’, analisi sul ruolo svolto dalle catene della grande distribuzione organizzata nel ridurre l’utilizzo di plastica. Ruolo cruciale, dato che il settore vanta un fatturato di 2.400 miliardi di euro e che il 40,5% della produzione di plastica in Europa è destinato agli imballaggi. Al dossier hanno lavorato 21 ong della coalizione Break Free from Plastic, tra cui ClientEarth, Greenpeace e Friends of the Earth. Tra giugno e dicembre 2021 sono stati contattati 130 rivenditori in 13 paesi ai quali sono state poste domande per valutare tre aspetti: trasparenza e performance, impegni e supporto alle politiche ambiziose. Solo 39 rivenditori (il 30%) hanno fornito una risposta scritta al questionario e molti non lo hanno fatto in modo completo. L’analisi finale si è concentrata su 74 società. L’Italia è esclusa da questo report, ma nell’ambito della campagna Carrelli di Plastica Greenpeace e ilfattoquotidiano.it stanno estendendo il questionario alle società della grande distribuzione nel nostro Paese).
Nella classifica raggiunti in media 13 punti su 100 – Deludenti i risultati della classifica sviluppata dalla Changing Markets Foundation: il punteggio medio raggiunto è di poco più di 13 punti su 100. In testa Aldi nel Regno Unito (con 65,3 punti) e Aldi in Irlanda (61). Con molto distacco, Lidl nel Regno Unito (44,7), Carrefour in Francia (41,7) e il supermercato biologico francese BioCoop (37). In fondo alla classifica 14 società rimaste a zero punti: Carrefour in Spagna, Leclerc in Francia, Cora in Belgio, Tesco, Coop, Billa e Penny (Gruppo Rewe) in Repubblica Ceca, Maxima, Prisma e Selver in Estonia, Musgrave e Dunnes Stores in Irlanda, Intermarché in Portogallo, Metro (Ucraina). L’82% delle aziende valutate non ha fornito neppure le informazioni più basilari, come la propria impronta di plastica e molte non hanno spiegato come verranno misurati i loro obiettivi. Particolarmente negativi dati e impegni sugli imballaggi riutilizzabili.
Paese che vai….. – A colpire anche la differenza di performance di una stessa catena, a seconda del Paese in cui opera. Lidl (di proprietà di Schwarz, il più grande gruppo di vendita al dettaglio europeo, con fatturato di oltre 125 miliardi nel 2020) ha raggiunto il 44,7% nel Regno Unito, ma tra il 13% e il 23,7% negli altri Paesi europei. ALDI, secondo rivenditore in Europa con un fatturato di oltre 106 miliardi, ha ottenuto i migliori risultati nel Regno Unito e in Irlanda (rispettivamente con il 65,3% e il 61%) ma solo l’11% in Austria, dove opera con il nome Hofer e il 25,7% in Germania. Ne deriva una classifica dei Paesi, che vede in cima i rivenditori di Regno Unito e Francia con rispettivamente il 39,6% e il 23,3% dei punteggi. Seguono Danimarca, Irlanda, Germania, Paesi Bassi, Portogallo, Austria e Belgio ma, tra questi, nessuno supera il 20%. Fanalino di coda, i rivenditori in Spagna, Repubblica Ceca ed Estonia, che non hanno raggiunto neppure il 10%.
Trasparenza e prestazioni – La performance complessiva in questa sezione è di appena il 7,1% dei punti disponibili e indica bassi livelli di trasparenza e di performance su riutilizzo e contenuto riciclato. Le società con i migliori risultati sono Marks & Spencer e Aldi nel Regno Unito, con oltre il 60% dei punti disponibili, mentre Aldi in Irlanda e Lidl nel Regno Unito hanno ottenuto oltre il 50%. Nonostante l’importanza cruciale di misurare e rendere pubblica la propria impronta di plastica, solo 12 dei 74 rivenditori valutati (il 16%) hanno segnalato il peso totale degli imballaggi in plastica utilizzati nei propri marchi. Ma la media peggiore è quella relativa alla voce ‘riutilizzabilità’, bloccata sul 5,1%: nessuna azienda supera il 40%. Nessuno dei rivenditori ha fornito informazioni sulla percentuale di riutilizzabilità degli imballaggi e solo il supermercato biologico francese BioCoop ha dichiarato che un terzo (il 34%) dei suoi prodotti venduti è sfuso, riutilizzabile o in imballaggi riutilizzabili. Ben 61 aziende (l’82%) non hanno segnalato contenuto riciclato nelle loro confezioni. Aldi UK è l’azienda con le migliori prestazioni per questo indicatore con una media di contenuto riciclato di oltre un terzo (38%).
Gli impegni presi – Il report valuta il livello di ambizione su tre fronti: riduzione degli imballaggi in plastica, contenuto riciclato e obiettivi di riutilizzo e ricarica. La performance media è del 17,1% dei punti disponibili. Aldi UK e Aldi Ireland sono le uniche società a raggiungere oltre il 60% dei punteggi, mentre le francesi BioCoop e Carrefour sono al terzo e quarto posto, con poco più del 50%. Anche sul fronte degli impegni si notano gli stessi punti deboli della sezione performance: in media le aziende ottengono il 32,3% dei punti per l’impegno nei contenuti riciclati, ma la percentuale scende al 21,5% per quelli sulla riduzione gli imballaggi in plastica e precipita al 3,3% per gli impegni sul riutilizzo. “Gli sforzi si stanno concentrando su riciclaggio e riciclabilità invece di seguire la gerarchia dei rifiuti dando priorità ai sistemi di prevenzione e riutilizzo” hanno spiegato gli autori.
Supporto alle politiche di governo – Il report analizza anche il supporto a politiche di governo più ambiziose, che puntano proprio su sistemi di deposito su cauzione (DRS), anche quelli con ricarica e obiettivi di riutilizzo obbligatori. Il punteggio medio è del 12,7% dei punti disponibili: la maggior parte dei rivenditori non ha dichiarato un forte sostegno né per i DRS né per gli obiettivi di riutilizzo. I punteggi più alti sono stati raggiunti dagli unici rivenditori biologici inclusi nel sondaggio: il tedesco Alnatura con il 70% del totale e BioCoop in Francia con il 60%. Ma dei 74 rivenditori, solo 5 (Aldi in Irlanda, Danimarca e Gran Bretagna, Lidl UK e BioCoop in Francia) forniscono un forte supporto per sistemi di deposito su cauzione per bevande. A conferma del fatto che la lobby della grande distribuzione organizzata è uno dei principali gruppi di pressione contro l’implementazione del DRS in molti paesi europei.
Le strade del greenwashing: ritardare, distrarre, sviare – Tra le tattiche per bloccare i progressi quella di ‘ritardare’ eventuali iniziative davvero radicali, creando l’illusione del cambiamento in atto o nascondendo i dati. Persino gli impegni volontari possono servire a questo scopo: molti supermercati non rispondono, dichiarando di aver già fornito dati per questa o quella iniziativa, anche se le informazioni richieste non risultano poi pubblicamente disponibili. Nel 2020, l’indagine Talking Trash della Changing Markets Foundation ha rilevato che più spesso di quanto si immagini le aziende che sottoscrivono patti per ridurre l’inquinamento da plastica sono le stesse che tentano di ritardare o far fallire politiche di governo più ambiziose. “Nelle loro risposte – hanno spiegato, infatti, gli autori – i rivenditori fanno presente la loro adesione a diverse iniziative come quelle della Ellen MacArthur Foundation o della ong britannica WRAP”. In Europa, d’altronde, sono 81 i membri del Patto sulla plastica avviato dai ministeri dell’ambiente danese, olandese e francese. Altri Paesi interpellati sono coinvolti in iniziative indipendenti. Altra tattica è quella di ‘distrarre’ attraverso false soluzioni, come i programmi di ritiro della plastica flessibile nei negozi. Nel Regno Unito Tesco e Sainsbury’s hanno installato cassonetti per la raccolta differenziata di imballaggi flessibili nei loro esercizi, ma “la gestione di questi rifiuti è stata affidata a una società che esporta in paesi terzi come la Turchia, dove precedenti indagini hanno dimostrato che i rifiuti venivano scaricati e bruciati illegalmente”.
Le false soluzioni si concentrano su riciclaggio, alleggerimento e sostituzione degli imballaggi di plastica con altri materiali monouso come la carta o, peggio ancora, utilizzando contenitori di plastica monouso presentati come riutilizzabili. Spesso, poi, queste iniziative volontarie ampiamente promosse vengono attuate solo in pochi negozi, mentre l’azienda continua a vendere per lo più prodotti molto inquinanti. Altra tattica è quella di far fallire gli sforzi legislativi attraverso le pressioni di associazioni di settore e Organizzazioni di Responsabilità del Produttore (PRO). “La nostra indagine in Austria – hanno spiegato gli autori – rivela che una potente coalizione di aziende, tra cui i giganti Hofer, Lidl, Rewe Group (Billa, Bipa, Merkur, Penny ecc.) e Spar, aveva lavorato instancabilmente per influenzare la decisione del governo contro un sistema di deposito su cauzione”. In Spagna, invece, le pressioni “sono state guidate dalla PRO Ecoembes, che unisce alcuni dei maggiori produttori di beni di largo consumo, come Coca-Cola, Danone, Nestlé e Unilever e i più grandi supermercati spagnoli, come Alcampo, Carrefour, Lidl e Mercadona”.
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