Pare che la politica stia prendendo un po’ più seriamente il tema del salario minimo legale, quindi vale la pena provare a capire quali sono le luci e le ombre, ovvero le opportunità e i rischi, dell’introduzione nel nostro paese di un simile strumento di determinazione dei salari.

Chiariamo subito una cosa, in Italia la stragrande maggioranza dei lavoratori è già coperta dal minimo salariale inderogabile, che è quello previsto dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro di categoria sottoscritti dai sindacati più importanti. Più in generale, il nostro ordinamento affida alla contrattazione collettiva il compito di stabilire la determinazione delle retribuzioni, sia per quanto riguarda i minimi sia per le varie integrazioni accessorie e variabili, che consentono ai lavoratori di andare ben oltre il minimo. La questione si pone quindi per una minoranza di lavoratori – non proprio pochi poiché stimati intorno al 20 percento –, per cui occorre anzitutto capire perché non possiedono una tutela salariale minima così come gli altri lavoratori. Il motivo è stato riscontrato nell’uso diffuso in taluni settori dei cosiddetti “contratti pirata”, ossia i contratti collettivi che vengono siglati da sindacati praticamente inesistenti per consentire al datore di lavoro di andare al di sotto dei minimi previsti dai contratti collettivi principali.

L’idea di base è quindi quella di aggirare il problema ponendo una tutela salariale legale, ossia stabilire per legge qual è il livello minimo di paga non derogabile, nemmeno dalla contrattazione collettiva. A un primo livello di analisi, la previsione di un salario minimo fissato per legge sembra un affare per i lavoratori, perché così viene arginato il fenomeno dei contratti pirata, e ci si sente rassicurati dal fatto che non si possa essere costretti a firmare contratti di lavoro al di sotto di una certa soglia retributiva.

Andando più in profondità, vi sono tre grossi però che con relativa certezza trasformeranno il salario minimo fissato per legge in un’arma contro i lavoratori e i sindacati.

Il primo riguarda i criteri di calcolo della retribuzione fissata per legge, perché come già detto oltre il minimo vi sono diverse voci accessorie che compongono lo stipendio (a esempio tredicesima e quattordicesima, Tfr, premi di produzione, sistema di tassazione, ecc.), e il minimo stesso è variabile a seconda dell’inquadramento professionale. Allo stato attuale è praticamente impossibile senza copertura diretta della contrattazione collettiva livellare verso l’alto gli stipendi dei non garantiti. In sostanza la fissazione di un minimo salariale legale senza elementi retributivi accessori avrebbe un impatto marginale sul benessere dei lavoratori che oggi ne sono privi.

Il secondo però riguarda il fatto che viene completamente ignorata la reazione dei mercati a un eventuale aumento del costo del lavoro. L’Ocse ci ha già avvertiti se dovessimo fissare un salario minimo a 9 euro l’ora – che è la proposta che aleggia attualmente in politica – il nostro costo del lavoro diverrebbe tra i più elevati a livello europeo, e quindi saremmo meno competitivi, leggasi: ancora trasferimenti di posti di lavoro all’estero dove il lavoro costa meno.

Attenzione, il punto non è mica arrendersi alle esigenze dei mercati, quanto prendere coscienza del mondo reale che ci circonda, e che quindi non si possono di certo migliorare le condizioni dei lavoratori se non si mette in discussione questo sistema capitalista globalista. Avendo come fedele alleata la politica, oggi il mercato ha svariati strumenti per poter fare pressioni al ribasso sui salari – basti solo pensare all’outsourcing –, ed è esattamente quello che sta accadendo ai tutelati, ossia ai lavoratori coperti da una buona contrattazione collettiva, per cui oggi le trattative vengono condotte sempre più al ribasso su quegli elementi della retribuzione che vanno oltre il minimo. Quindi mentre si cerca faticosamente di condurre la minoranza di lavoratori ai livelli della maggioranza, i mercati lavorano assiduamente affinché la maggioranza arrivi ai livelli della minoranza, tale per cui il rischio è che il salario minimo, legale o collettivo che sia, diverrà l’unica fonte retributiva. Da salario minimo a salario massimo, insomma.

Accettare la deriva della difesa del lavoro e trincerarsi dietro al minimo per la sopravvivenza è il peggiore fallimento della nostra cultura costituzionale e giuslavoristica.
Qui entra in gioco l’ultimo punto, però, il più importante. In questo paese quasi tutti fingono che non c’è la lotta di classe, che il modello capitalista attuale e la politica non sono colpevoli della crisi del lavoro, quasi come questa fosse una calamità naturale senza colpe e senza colpevoli. In verità, dietro questa grande ipocrisia, la classe politica sta favorendo in tutti i modi gli interessi del mercato, alimentando uno squilibrio tra classi ormai ben radicato nella nostra società, e che sta passando anche attraverso la sistematica distruzione della contrattazione collettiva nazionale. In questa prospettiva, il salario minimo legale assumerà una funzione suppletiva sempre meno marginale, e se la delega al legislatore di fissare i salari diviene sempre più ampia si corre il rischio, piuttosto concreto, che la politica possa all’occorrenza determinare un calo generalizzato delle retribuzioni in nome dell’interesse, ormai considerato superiore, delle imprese a essere sempre più competitive. In parole povere, sarebbe come andare a chiedere un pezzo di pane a chi si è preso tutto.

D’altronde tutta la governance europea è strutturata attorno all’interesse superiore dei mercati, e la politica interna non ha fatto altro che incorporare nell’ordinamento giuridico nazionale questa logica, dunque mi chiedo come si possa ritenere un buon affare l’ingerenza della politica sulla fissazione dei salari. Questo graduale effetto di sostituzione dalla contrattazione collettiva alla politica sarà più evidente quando entrerà in gioco la necessità di fornire una definizione più precisa di salario minimo che includa anche elementi retributivi accessori, replicando in tal senso per legge il modello di contrattazione collettiva nazionale.

A questo punto, credo che il motivo per cui si stia parlando così insistentemente di salario minimo legale dipende dal fatto che qualcuno ha fiutato l’affare. D’altronde nessun capitalista negherebbe un tozzo di pane al proprio schiavo, deve comunque lavorare.

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