Nel mio primo post, risalente al marzo 2015, scrivevo di come stesse cambiando il sistema di selezione dei lavoratori, contestando la fretta e la scarsa attenzione che veniva dedicata alla lettura di ogni singolo curriculum vitae. Allora ero arrivato a parlare di cosiddetta “tinderizzazione del curriculum”, poiché, esattamente come per accettare o per rifiutare una possibile segnalazione da Tinder si fa uno swipe in pochi secondi, così accadeva per accettare o rifiutare le autocandidature ricevute dalle società in cerca di personale: era stato calcolato che, in media, venivano dedicati solo 8,8’’ per leggere e valutare ogni singolo curriculum ricevuto. Insomma, un tempo degno per una medaglia d’oro nei 100 m (come Marcell Jacobs), ma non certo adeguato ad una minima e seria valutazione di una persona, della sua vita lavorativa e delle sue capacità di essere adatto alle esigenze dell’azienda.

Le nuove tendenze

Dopo sette anni, le cose non sono affatto migliorate: oggi i sistemi di selezione vanno sempre più verso una totale automazione e verso una totale assenza di partecipazione umana al processo di accesso al lavoro. Il colloquio tra esseri umani è non solo un’eventualità, ma addirittura una possibilità remota. Le aziende di maggiori dimensioni, per gestire le numerose autocandidature che ricevono, fanno sempre maggiore ricorso a software, chiamati ATS (Applicant Tracking System, qui un link per trovare i più diffusi), che gestiscono in modo automatico non solo la lettura dei curricula (come accadeva all’epoca della tinderizzazione), ma gestendo anche il resto del processo di selezione (in tutto o in buona parte).

Secondo uno studio di Harvard quasi tutte le aziende che appartengono alla lista Fortune 500 (cioè quelle di maggiori dimensioni negli USA e che complessivamente hanno registrato 16.1 trilioni di fatturato e 1.8 trilioni di utili) utilizzano abitualmente questi tipi di software nel loro processo di selezione. L’ATS procede, in una prima fase, a leggere il singolo cv e a giudicarlo in base a criteri (tradotti in algoritmi) scelti dalla singola azienda e su cui nessuno ha alcun accesso. Coloro che non aderiscono alle regole scelte dall’azienda vengono scartati già in questa prima fase della selezione, senza sapere perché. Successivamente l’ATS, sempre sulla base delle scelte discrezionali della singola azienda utilizzatrice, somministra e gestisce alcuni test online, che possono consistere anche in puzzle o giochi, per giungere ad un ulteriore riduzione del numero dei candidati. I “fantastici finalisti” hanno poi un colloquio con un avatar (cosa di cui, nella maggior parte dei casi, non sono consapevoli) o devono registrare un video di autopresentazione, durante il quale vengono analizzate le posture, il tono della voce e in generale il linguaggio del corpo. Se penso al mio caso – ammesso di essere arrivato a questo punto della selezione – verrei certamente scartato, vista la mia assoluta incapacità di stare fermo e per la mia orribile voce da “paperino”.

I temi connessi all’uso di tali tecnologie

Il primo, ma forse il meno grave, è che nessuno sa, a priori, di essere “esaminato” e “colloquiato” da un computer (o meglio da un avatar) e non da una persona fisica. Ovvio che, sapendolo, un candidato si potrebbe preparare, magari studiando un elevator pitch su se stesso, una buona presentazione da raccontare con toni pacati e pause studiate.

Il secondo, assai più delicato, tema è legato al fatto che nessuno sa (né può sapere) quali siano i criteri di selezione su cui si basa l’algoritmo di lettura del cv. Questo fatto rischia di facilitare gravi episodi di discriminazione: si pensi, ad esempio, alla possibilità che alcuni cognomi (tipici di zone non gradite) vegano esclusi o che altri dati personali (ad esempio il genere o l’età) vengano usati per scartare i candidati nella primissima fase. Nessuno potrebbe saperlo, né contestare l’esistenza di azioni di natura discriminatoria, ai sensi del D.lgs. 198/2006.

Il terzo e più grave effetto è quello di escludere dal mondo del lavoro quelle persone definite lavoratori trasparenti (hidden workers, a cui Harvard ha dedicato un interessante studio), cioè quei lavoratori che, attivi nella ricerca, vengono nella sostanza esclusi per via delle politiche, delle pratiche e dell’implementazione della tecnologia delle aziende, dai processi di selezione. Si tratta di talenti che potrebbero essere di grande supporto alle aziende, soprattutto in un momento delicato come quello attuale in cui (secondo dati di Confartigianato Lombardia) nel manifatturiero le imprese faticano a trovare manodopera (con una quota che è la più alta dal 2014): infatti, ad aprile 2022 in Lombardia non si sono trovati più di 4 lavoratori su 10.

Una riflessione, quindi, sui pericoli connessi all’uso degli ATS o di processi di selezione automatizzati dei lavoratori si impone, anche perché nessuno ha ancora dimostrato che siano effettivamente efficienti e migliori di quelli basati sull’intelligenza ed empatia umana.

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