Ambiente & Veleni

Carrelli di plastica | Dalla frutta ai latticini, fotografate gli imballaggi monouso inutili sugli scaffali del vostro supermercato

Inviateci le vostre immagini all'indirizzo sostenitori@ilfattoquotidiano.it. E non solo: postate le vostre foto nei commenti, seguite le novità sui nostri canali social e su quelli di Greenpeace.

I ‘Carrelli di plastica’ si riempiono, soprattutto, negli esercizi della grande distribuzione organizzata. Ed è per questo che la campagna portata avanti da ilfattoquotidiano.it e da Greenpeace è giunta a un altro step cruciale. Da un lato vi raccontiamo subito cosa stanno facendo (o non stanno facendo) i supermercati europei per ridurre la loro impronta di plastica (leggi qui l’articolo), dall’altro vi anticipiamo che in queste settimane stiamo chiedendo alle principali catene italiane della grande distribuzione organizzata quali sono le azioni intraprese per ridurre gli imballaggi di plastica venduti. Vi racconteremo, dunque, se e cosa ci hanno risposto. Nel frattempo, però, chiediamo a sostenitori e lettori de ilfattoquotidiano.it di essere i nostri occhi e aiutarci a verificare cosa avviene davvero in questi supermercati.

L’iniziativa – Lanciamo, così, un’altra call to action: fotografate la plastica inutile venduta nel supermercato presso il quale fate la spesa abitualmente e quella che, di conseguenza, accumulate nel carrello. A partire dal reparto frutta e verdura. Gli imballaggi che potrebbero essere tranquillamente evitati, le confezioni con più materiali così difficili da separare (e riciclare), quelle dove non ci sono indicazioni, ma anche le alternative disponibili sugli scaffali delle catene da cui vi rifornite. E se trovate prodotti riutilizzabili e confezioni ricaricabili, inviateci immagini anche di quelle. Dove? All’indirizzo sostenitori@ilfattoquotidiano.it. E non solo: postate le vostre foto nei commenti, seguite le novità sui nostri canali social e su quelli di Greenpeace. Nelle prossime settimane, inoltre, ‘Carrelli di plastica’ vi racconterà anche delle buone pratiche.

La resa dei conti – Quando ilfattoquotidiano.it e Greenpeace hanno iniziato insieme la campagna lo hanno fatto invitando i lettori ad accompagnarli in un percorso comune, iniziando da un esercizio: osservare il contenuto del proprio carrello e cercare di riconoscere la plastica visibile e quella invisibile. Siamo partiti da quei carrelli, dalle difficoltà della differenziata e dai limiti del riciclo. Vi abbiamo chiesto di raccontarci le vostre perplessità. Lo avete fatto in tanti e abbiamo cercato di rispondere. Molti hanno fatto notare che la responsabilità per l’inquinamento da plastica non può certo essere attribuita solo ai consumatori. Ed è per questo che vi abbiamo aggiornato su quello che fanno, in primis, le multinazionali che producono, utilizzano e riciclano enormi volumi di imballaggi in plastica, scoprendo che – anche quelle che si sono impegnate a cambiare strada – stanno riducendo il consumo della plastica vergine a un ritmo lento, ma i progressi sono in gran parte guidati dal crescente utilizzo di contenuto riciclato nel packaging, mentre sono scarsi gli sforzi per eliminare monouso e imballaggio inutile. E pochissimo si fa sul fronte del riuso. Ora tocca ai supermercati, dato che il 40,5% della produzione di plastica in Europa è destinato agli imballaggi.

In attesa delle risposte delle catene italiane della GDO – Di certo non è un buon segno quello che emerge dal rapporto ‘Under wraps? Quello che i supermercati europei non ci dicono sulla plastica’, a cui hanno lavorato 21 ong della coalizione Break Free from Plastic, tra cui ClientEarth, Greenpeace e Friends of the Earth contattando 130 rivenditori in 13 Paesi (Italia esclusa). Queste catene, raccontano gli autori, da un lato partecipano a iniziative nate per ridurre l’inquinamento da plastica ma, dietro le quinte, fanno pressioni per ritardare cambiamenti radicali. Non solo: dall’analisi sui tredici Paesi emerge che persino le catene con le migliori performance, mantengono diversi standard a seconda del Paese in cui operano. Cosa accade in Italia? Ve lo racconteremo noi. Ma voi aiutateci a verificare.