Cosa cambia per l’Italia dopo l’accordo europeo sulla direttiva per “un’equo salario minimo”? Nonostante il ministro del Lavoro Andrea Orlando lo definisca “un assist per i lavoratori“, poco. Perché stabilire quale debba essere un livello “adeguato” di salario minimo è innanzitutto una scelta della politica e quella italiana resta divisa, governo compreso. Ma non solo. Nei ventuno paesi Ue che l’hanno già adottata, la misura è il frutto di una concertazione tra le parti sociali che da noi è ancora tutta da costruire. Non è nemmeno questione di favorevoli e contrari, che già sarebbe un passo avanti. No, in Italia siamo ancora alle opinioni in ordine sparso. All’indomani dell’accordo, infatti, dalla politica ai sindacati ognuno interpreta la notizia come gli fa più comodo. Di “accordo storico” parla l’ex ministro del Lavoro e attuale titolare degli Esteri, Luigi Di Maio, di “pacco per i lavoratori” il capogruppo di Forza Italia in commissione Affari esteri al Senato, Enrico Aimi. E se l’Unione sindacale di base (Usb) propone di fissare il salario minimo per legge a 10 euro, Uil e Cisl preferiscono sottolineare che la direttiva “indica che ciò può avvenire anche attraverso il rafforzamento della contrattazione collettiva, la strada che abbiamo indicato e che condividiamo”.
Premessa: l’accordo raggiunto a Strasburgo tra Commissione, Parlamento e Consiglio europei non imporrà di definire per legge un salario minimo nei Paesi dove i minimi sono stabiliti dai contratti collettivi nazionali. Ma soprattutto non dice in alcun modo che i salari minimi debbano essere applicati a tutti i lavoratori. Insomma, la direttiva non si intrometterà nel processo decisionale dei singoli Stati e nonostante il limite dei due anni per recepirla c’è tempo a sufficienza perché governo e Parlamento lascino tutto esattamente com’è, con buona pace del lavoro povero e dell’inflazione che lo impoverisce ulteriormente. Ma anche della ministra di Italia Viva per le Pari opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, convinta che sul salario minimo “il governo si muoverà con il metodo della ricomposizione delle divisioni di cui è maestro il presidente Mario Draghi“. E soprattutto di un ministro del Lavoro che non passa giorno senza rilasciare dichiarazioni sul salario minimo. Salvo poi e più mestamente ricordare che per una legge servirebbero “maggioranze più omogenee”. Il suo collega alla Pubblica amministrazione Renato Brunetta, per esempio, è convinto che “il salario minimo per legge non va bene perché è contro la nostra storia culturale di relazione industriali“.
Ma anche dando per scontato, e non lo è, che dem e cinquestelle la pensino esattamente allo stesso modo, “non serve il salario minimo così come lo vogliono imporre Pd e M5s, perché gli stipendi devono essere frutto della contrattazione tra i rappresentanti di lavoratori e imprese”, ha detto il coordinatore nazionale di Forza Italia e parlamentare europeo del Ppe, Antonio Tajani. A complicare la “ricomposizione” di Draghi, la proposta di FI e Lega punta ad alzare i salari attraverso il taglio del cuneo fiscale, “recuperando i fondi da quella autentica vergogna che è il reddito di cittadinanza”, come dice il senatore di FI Aimi. Sulla centralità della decontribuzione il centrodestra è sostenuto anche da Italia Viva: “Se qualcuno pensa di scaricare sulle imprese il diritto sacrosanto a salari più alti, è destinato al fallimento”, avverte il vice-presidente della commissione Lavoro alla Camera, Camillo D’Alessandro. Tanto per essere chiari, siamo ancora agli appelli al famoso “confronto senza ideologismi“. E se il M5s avverte le destre – “non provino a bloccare un risultato storico” – l’amara verità è una proposta di legge presentata dallo stesso Movimento che da tempo si trascina in commissione Lavoro del Senato e che, rinvio dopo rinvio, non è ancora giunta all’esame degli emendamenti. Sempre che ci arrivi, il disegno di legge potrebbe uscirne con le ossa rotte.
Che l’Italia non sia un paese per il salario minimo legale lo dimostrano anche i sindacati. Da un lato proposte come quella dell’Usb che chiede di fissare il salario minimo a 10 euro l’ora attraverso i minimi tabellari (la proposta M5s parla di 9 euro, ndr). Dall’altro le dichiarazioni del segretario Cisl Luigi Sbarra, convinto che “non serve un salario minimo per legge a 9 euro lordi” e che la soluzione sia quella “di rafforzare i minimi dei contratti sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative e a questi va dato valore legale”. Tesi che sposa volentieri anche il segretario generale Uil Pierpaolo Bombardieri, che chiede il taglio del cuneo fiscale e di legare l’attuazione della direttiva Ue “alla contrattazione collettiva, facendo coincidere il salario minimo ai minimi contrattuali”. Confindustria invece si chiama fuori “perché i contratti da noi firmati prevedono già paghe superiori”. E se proprio deve ragionare di salario minimo, pone alcune condizioni. A partire dalla necessità, dice il vicepresidente dei confindustriali Maurizio Stirpe, “che venga fissato come percentuale compresa tra il 40 e il 60% del salario mediano” (l’Ue parla di 60 per cento, ndr), che poi significa fissare la soglia tra i 5 e i 6 euro, quindi ben lontano dai 9 euro della proposta di legge del M5s che corrispondono quasi all’80 per cento dell’attuale salario mediano italiano.
Per questa legislatura la via al salario minimo fissato per legge sembra sbarrata. L’alternativa, almeno a parole, è quella di una riforma della rappresentanza che dia valore legale ai contratti firmati dalle sigle maggiormente rappresentative, dichiarando guerra ai contratti pirata che contribuiscono alla corsa al ribasso di salari e diritti. Questo, se non altro, bisognerà trovare il modo di farlo perché ad oggi l’Italia non è in grado di fornire all’Ue un dato certo sulla percentuale di lavoratori effettivamente coperta dai contratti collettivi. E siccome la direttiva prevede che sia almeno l’80 per cento, si rischia la procedura di infrazione. Ma ancora una volta siamo all’anno zero o poco ci manca. L’accordo tra i confederali per misurare l’effettiva rappresentanza sindacale ha ormai otto anni e non ha mai visto applicazione, mentre sul lato datoriale non si è mai nemmeno arrivati a una presa di posizione unitaria. Né si può dare per scontato che una simile riforma riesca a sanare aree dove la concorrenza al ribasso la fanno anche contratti firmati da Cgil, Cisl e Uil, o che la novità convinca le parti sociali a sedersi al tavolo per rinnovare contratti scaduti da anni nonostante le busta paga siano spesso al di sotto della soglia di povertà, cioè quel 60 per cento del reddito familiare mediano disponibile che la Commissione europea ha indicato come riferimento operativo da inserire nella direttiva. Insomma, prima ancora di dividersi tra favorevoli e contrari l’Italia avrebbe bisogno di riordinare le idee. O magari di una proposta del governo sulla quale confrontarsi e che ad oggi non è stata ancora definita. Intanto, per dirla con il commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni, l’accordo Ue è “un’occasione”. Niente più di un’occasione.
Lavoro & Precari
Chi non vuole il salario minimo? Politica divisa anche sulla direttiva Ue, da “accordo storico” a “pacco per i lavoratori”
La direttiva Ue sul salario minimo non obbliga gli Stati a definire una soglia, e per i Paesi come l'Italia rimane la possibilità di arrivare a compensi più equi attraverso la contrattazione collettiva, attuando innanzitutto una riforma della rappresentanza sindacale. Qualunque sarà la scelta, la strada è però ancora tutta da fare. Perché dalla politica ai sindacati siamo ancora alle opinioni in ordine sparso, comprese quelle che preferiscono concentrarsi sul taglio del cuneo fiscale prendendo i fondi dal Reddito di cittadinanza
Cosa cambia per l’Italia dopo l’accordo europeo sulla direttiva per “un’equo salario minimo”? Nonostante il ministro del Lavoro Andrea Orlando lo definisca “un assist per i lavoratori“, poco. Perché stabilire quale debba essere un livello “adeguato” di salario minimo è innanzitutto una scelta della politica e quella italiana resta divisa, governo compreso. Ma non solo. Nei ventuno paesi Ue che l’hanno già adottata, la misura è il frutto di una concertazione tra le parti sociali che da noi è ancora tutta da costruire. Non è nemmeno questione di favorevoli e contrari, che già sarebbe un passo avanti. No, in Italia siamo ancora alle opinioni in ordine sparso. All’indomani dell’accordo, infatti, dalla politica ai sindacati ognuno interpreta la notizia come gli fa più comodo. Di “accordo storico” parla l’ex ministro del Lavoro e attuale titolare degli Esteri, Luigi Di Maio, di “pacco per i lavoratori” il capogruppo di Forza Italia in commissione Affari esteri al Senato, Enrico Aimi. E se l’Unione sindacale di base (Usb) propone di fissare il salario minimo per legge a 10 euro, Uil e Cisl preferiscono sottolineare che la direttiva “indica che ciò può avvenire anche attraverso il rafforzamento della contrattazione collettiva, la strada che abbiamo indicato e che condividiamo”.
Premessa: l’accordo raggiunto a Strasburgo tra Commissione, Parlamento e Consiglio europei non imporrà di definire per legge un salario minimo nei Paesi dove i minimi sono stabiliti dai contratti collettivi nazionali. Ma soprattutto non dice in alcun modo che i salari minimi debbano essere applicati a tutti i lavoratori. Insomma, la direttiva non si intrometterà nel processo decisionale dei singoli Stati e nonostante il limite dei due anni per recepirla c’è tempo a sufficienza perché governo e Parlamento lascino tutto esattamente com’è, con buona pace del lavoro povero e dell’inflazione che lo impoverisce ulteriormente. Ma anche della ministra di Italia Viva per le Pari opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, convinta che sul salario minimo “il governo si muoverà con il metodo della ricomposizione delle divisioni di cui è maestro il presidente Mario Draghi“. E soprattutto di un ministro del Lavoro che non passa giorno senza rilasciare dichiarazioni sul salario minimo. Salvo poi e più mestamente ricordare che per una legge servirebbero “maggioranze più omogenee”. Il suo collega alla Pubblica amministrazione Renato Brunetta, per esempio, è convinto che “il salario minimo per legge non va bene perché è contro la nostra storia culturale di relazione industriali“.
Ma anche dando per scontato, e non lo è, che dem e cinquestelle la pensino esattamente allo stesso modo, “non serve il salario minimo così come lo vogliono imporre Pd e M5s, perché gli stipendi devono essere frutto della contrattazione tra i rappresentanti di lavoratori e imprese”, ha detto il coordinatore nazionale di Forza Italia e parlamentare europeo del Ppe, Antonio Tajani. A complicare la “ricomposizione” di Draghi, la proposta di FI e Lega punta ad alzare i salari attraverso il taglio del cuneo fiscale, “recuperando i fondi da quella autentica vergogna che è il reddito di cittadinanza”, come dice il senatore di FI Aimi. Sulla centralità della decontribuzione il centrodestra è sostenuto anche da Italia Viva: “Se qualcuno pensa di scaricare sulle imprese il diritto sacrosanto a salari più alti, è destinato al fallimento”, avverte il vice-presidente della commissione Lavoro alla Camera, Camillo D’Alessandro. Tanto per essere chiari, siamo ancora agli appelli al famoso “confronto senza ideologismi“. E se il M5s avverte le destre – “non provino a bloccare un risultato storico” – l’amara verità è una proposta di legge presentata dallo stesso Movimento che da tempo si trascina in commissione Lavoro del Senato e che, rinvio dopo rinvio, non è ancora giunta all’esame degli emendamenti. Sempre che ci arrivi, il disegno di legge potrebbe uscirne con le ossa rotte.
Che l’Italia non sia un paese per il salario minimo legale lo dimostrano anche i sindacati. Da un lato proposte come quella dell’Usb che chiede di fissare il salario minimo a 10 euro l’ora attraverso i minimi tabellari (la proposta M5s parla di 9 euro, ndr). Dall’altro le dichiarazioni del segretario Cisl Luigi Sbarra, convinto che “non serve un salario minimo per legge a 9 euro lordi” e che la soluzione sia quella “di rafforzare i minimi dei contratti sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative e a questi va dato valore legale”. Tesi che sposa volentieri anche il segretario generale Uil Pierpaolo Bombardieri, che chiede il taglio del cuneo fiscale e di legare l’attuazione della direttiva Ue “alla contrattazione collettiva, facendo coincidere il salario minimo ai minimi contrattuali”. Confindustria invece si chiama fuori “perché i contratti da noi firmati prevedono già paghe superiori”. E se proprio deve ragionare di salario minimo, pone alcune condizioni. A partire dalla necessità, dice il vicepresidente dei confindustriali Maurizio Stirpe, “che venga fissato come percentuale compresa tra il 40 e il 60% del salario mediano” (l’Ue parla di 60 per cento, ndr), che poi significa fissare la soglia tra i 5 e i 6 euro, quindi ben lontano dai 9 euro della proposta di legge del M5s che corrispondono quasi all’80 per cento dell’attuale salario mediano italiano.
Per questa legislatura la via al salario minimo fissato per legge sembra sbarrata. L’alternativa, almeno a parole, è quella di una riforma della rappresentanza che dia valore legale ai contratti firmati dalle sigle maggiormente rappresentative, dichiarando guerra ai contratti pirata che contribuiscono alla corsa al ribasso di salari e diritti. Questo, se non altro, bisognerà trovare il modo di farlo perché ad oggi l’Italia non è in grado di fornire all’Ue un dato certo sulla percentuale di lavoratori effettivamente coperta dai contratti collettivi. E siccome la direttiva prevede che sia almeno l’80 per cento, si rischia la procedura di infrazione. Ma ancora una volta siamo all’anno zero o poco ci manca. L’accordo tra i confederali per misurare l’effettiva rappresentanza sindacale ha ormai otto anni e non ha mai visto applicazione, mentre sul lato datoriale non si è mai nemmeno arrivati a una presa di posizione unitaria. Né si può dare per scontato che una simile riforma riesca a sanare aree dove la concorrenza al ribasso la fanno anche contratti firmati da Cgil, Cisl e Uil, o che la novità convinca le parti sociali a sedersi al tavolo per rinnovare contratti scaduti da anni nonostante le busta paga siano spesso al di sotto della soglia di povertà, cioè quel 60 per cento del reddito familiare mediano disponibile che la Commissione europea ha indicato come riferimento operativo da inserire nella direttiva. Insomma, prima ancora di dividersi tra favorevoli e contrari l’Italia avrebbe bisogno di riordinare le idee. O magari di una proposta del governo sulla quale confrontarsi e che ad oggi non è stata ancora definita. Intanto, per dirla con il commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni, l’accordo Ue è “un’occasione”. Niente più di un’occasione.
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Amsterdam, 3 feb. –(Adnkronos) - E' nell'ottica di una semplificazione "in linea con i cambiamenti comunicati" a dicembre al momento dell'uscita di Carlos Tavares, la riorganizzazione annunciata questa mattina da Stellantis. Un 'aggiornamento' che rafforza il ruolo delle singole regioni, accorpa ingegneria e software, rilancia su qualità e marketing e vede l'uscita di scena di alcuni top manager. Decisioni - si spiega in una nota - che "consentono il giusto equilibrio tra responsabilità regionali e globali, facilitando la rapidità delle scelte e la loro esecuzione" e "rafforzano ulteriormente l’impegno di Stellantis nell’ascoltare i propri clienti" ponendo "le basi per una rinnovata crescita".
A livello di management, Linda Jackson lascia il gruppo e al vertice del brand Peugeot è sostituita da Alain Favey. Abbandona anche Yves Bonnefont, Chief Software Office, visto che "le attività software sono ora integrate in un’organizzazione di sviluppo e tecnologia del prodotto guidata da Ned Curic allo scopo di semplificare il processo di immissione sul mercato di prodotti e servizi innovativi per tutti i brand in tutti i mercati in cui l’azienda è presente". Nuovo responsabile anche per Jeep, con la nomina di Bob Broderdorf, dal momento che Antonio Filosa - che mantiene il suo attuale ruolo di COO delle Regioni d’America - assume la leadership globale dell’ente Quality, definito "fulcro della promessa dell’azienda ai clienti".
Nuovo capo anche per DS, dal momento che Olivier François - che mantiene la responsabilità di Fiat e Abarth - guiderà un nuovo Marketing Office, per seguire meglio le attività di promozione dei singoli brand e "supportarli al meglio, in particolare attraverso la pubblicità, gli eventi globali e le sponsorizzazioni". Gli enti Corporate Affairs e Communications sono stati uniti sotto la guida di Clara Ingen-Housz e Anne Abboud è stata nominata alla guida dell’unità veicoli commerciali di Stellantis Pro One.
Come sottolinea il Chairman di Stellantis John Elkann "gli annunci di oggi semplificheranno ulteriormente la nostra organizzazione e aumenteranno la nostra agilità e il rigore dell’esecuzione a livello locale. Non vediamo l’ora di guidare la crescita fornendo ai nostri clienti una scelta ancora più ampia di straordinari veicoli a combustione, ibridi ed elettrici”. Confermata la linea sul processo di nomina del nuovo Chief Executive Officer che "è in corso, gestito da un Comitato Speciale del Consiglio d’Amministrazione, e si concluderà entro la prima metà del 2025".
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Siamo vicini ad Antonio Tajani, alla sua famiglia e soprattutto a suo figlio Filippo, vittima di un malore durante una partita di calcio. Gli auguriamo una pronta guarigione, e che possa tornare presto in campo”. Lo dichiarano i capigruppo della Lega alla Camera e al Senato, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Esprimo il mio più profondo riconoscimento alla Brigata Sassari per il coraggio, la dedizione e l’alto senso del dovere dimostrato durante tutta la missione Unifil. Ringrazio il generale Messina, con il quale sono sempre rimasta in contatto per essere costantemente informata sullo stato del contingente. I nostri soldati hanno affrontato sfide complesse e delicate, portando avanti il nome dell’Italia con grande professionalità. Il loro impegno ha garantito la stabilità in una regione così fragile, e sono fiera di come abbiano rappresentato la nostra Nazione". Lo ha affermato la deputata di Fratelli d'Italia Barbara Polo, componente della commissione Difesa, al rientro del contingente della Brigata Sassari.
"Da sarda, -ha aggiunto- non posso che essere estremamente orgogliosa nel vedere i miei concittadini impegnati con tanto valore nelle operazioni internazionali. La Brigata Sassari è il fiore all’occhiello del nostro esercito, una realtà che continua a distinguersi per preparazione e coraggio”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Ci mancavano i sedicenti comitati civici che spalleggiano gli occupanti abusivi di immobili a rendere sempre più invivibile il quartiere Esquilino, uno dei più belli di Roma da tempo in mano ad immigrati clandestini e bande criminali. Ne ha fatto le spese un bravo giornalista come Luca Telese aggredito per aver difeso i presidi di legalità che dopo le denunce della Lega le istituzioni stanno predisponendo. Telese chiamato ad un’assemblea pubblica da un sedicente Polo Civico ha avuto l'ardire di affermare che cancellate di protezione dei luoghi di socialità non sono poi da demonizzare. Per difendere la possibilità di vivere in pace e nella legalità all'Esquilino di Roma, come in tutte le periferie d'Italia, è necessario che venga subito definitivamente approvato il ddl sicurezza”. Lo afferma il deputato della Lega ed ex magistrato Simonetta Matone.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Nella loro foga alla ricerca del complotto, di qualcuno su cui scaricare le proprie responsabilità, di uno spauracchio a cui assegnare colpe per nascondere le inadeguatezze del governo Meloni, i colleghi di Fratelli d’Italia hanno nuovamente toccato inesplorate vette di contraddizione. L’ultimo attacco frontale è stato riservato a Gimbe e al suo presidente Cartabellotta, colpevole di aver detto con dati inequivocabili che il decreto dell’Esecutivo sulle liste d’attesa è fermo al palo e che solo uno dei sei decreti attuativi è stato già approvato". Lo afferma Andrea Quartini, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Affari sociali della Camera e coordinatore del Comitato politico salute e inclusione sociale del M5S.
"Oltre a usare parole estremamente gravi nei confronti di chi porta avanti con serietà e professionalità un preziosissimo lavoro scientifico a tutela della sanità, il senatore Zaffini -aggiunge l'esponente pentastellato- ha però di fatto confermato i ritardi denunciati da Cartabellotta, sebbene secondo lui siano in realtà tempi record. Una contraddizione decisamente bizzarra. E nel frattempo, i medici di medicina generale operano come meglio credono e la proposta di Forza Italia in merito è ancora ben lontana dal concretizzarsi".
"Al presidente Cartabellotta -conclude Quartini- va tutta la mia solidarietà, visto che ultimamente è stato identificato come avversario politico, alla stregua di una forza di opposizione, come persino Bruno Vespa aveva avuto l’indecenza di dire. Questo attacco scomposto, in ogni caso, non fa che confermare la linea di questa maggioranza: è sempre colpa degli altri. Dai magistrati, a coloro che distribuiscono la benzina, fino a Gimbe”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Il nemico del giorno del governo è la Fondazione Gimbe e in particolare il suo presidente Nino Cartabellotta, accusato da esponenti di maggioranza di essere un bugiardo che falsifica i dati perché ‘cavalier servente’ e comunista. Affermazioni di una gravità inaudita contro un organismo indipendente e autorevole come Gimbe, che fa un grande lavoro di raccolta e verifica dei dati sanitari. La colpa di Cartabellotta? Aver fatto notare che a sei mesi dall’approvazione del decreto liste d’attesa mancano ancora cinque dei sei decreti attuativi, cosa tra l’altro confermata dalla stessa maggioranza". Lo afferma Mariolina Castellone, senatrice M5S e vicepresidente del Senato.
"Ancora una volta, questa destra cerca di trasferire su altri le colpe della propria incapacità e si produce in un costante bullismo contro professionisti che fanno il proprio lavoro, cercando di intimorirli. Per fortuna -conclude l'esponente pentastellata- ci sono i numeri a parlare e a smentire la propaganda di governo. E ci siamo noi a tutelare le voci libere e indipendenti”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Quello delle liste di attesa è un tema che riguarda non solo la salute ma anche la dignità della persona. Un tema che richiede senso di responsabilità e che non riscontro nelle dichiarazioni sparate a raffica da esponenti di Pd, 5 stelle e sinistra. Gli stessi che ci hanno consegnato un Servizio sanitario nazionale allo sfascio e per il quale ci stiamo adoperando per rimetterlo in sesto. Il collega Cartabellotta e la Fondazione Gimbe meritano rispetto, in quanto sono giustificati per la mancata conoscenza del lavoro che il Governo ha messo in campo sui decreti attuativi. Non posso al contrario giustificare i colleghi senatori che siedono nella commissione Sanità del Senato presieduta dal presidente Zaffini o i presidenti di Regione che prendono parte alla Conferenza Stato-Regioni". Lo afferma il senatore Ignazio Zullo, capogruppo di Fratelli d'Italia in commissione Sanità in Senato.
"Se non sanno -aggiunge- devo purtroppo arguire che dormono mentre se, come penso, sanno e attaccano il presidente Zaffini, che ha solo voluto puntualizzare il lavoro del Governo in risposta alle valutazioni della Fondazione Gimbe, è grave perché si tratta di un comportamento in grave mala fede. Si può anche non conoscere quanto si stia facendo sul tema, ma il senso di responsabilità vuole che prima di sparare a salve ci si informi e ci si documenti . In questo modo si prenderebbe facilmente atto che quanto annunciato dalla Fondazione Gimbe non è proprio puntuale perché -e lo ha spiegato bene il presidente Zaffini- la situazione riguardo ai decreti attuativi è la seguente: Criteri di funzionamento della piattaforma nazionale e regionali delle liste d’attesa: Il decreto è stato trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni. In attesa del parere della Conferenza Stato Regioni alla quale è stato inviato il 13 settembre 2024".
"Funzionamento della piattaforma nazionale di monitoraggio in coerenza con il modello di classificazione e stratificazione della popolazione, risulta ‘fatto’. Poteri sostitutivi del ministero della Salute in caso di inottemperanza delle Regioni e il rispetto agli obiettivi della legge: decreto trasmesso in Conferenza Stato-Regioni il 6 novembre 2024. Linee di indirizzo per l’attivazione dei sistemi di disdetta da parte dei Cup: il decreto è in fase di definizione da attuare con il Piano nazionale delle liste d’attesa in lavorazione predisposto dalla Direzione generale della Programmazione sanitaria già condiviso con Regioni e Mef. Metodologia per la definizione del fabbisogno di personale del Ssn (superamento tetti di spesa): il decreto è in via di ultimazione. Il Piano di azione per rafforzare i servizi sanitari e sociosanitari (nelle Regioni del Sud destinatarie dei fondi del Piano nazionale Equità e salute): decreto trasmesso alla conferenza Stato-Regioni il giorno 8 gennaio 2025".
"In questo confronto tra Zaffini e i nostri avversari politici -conclude Zullo- si può cogliere la differenza tra noi e loro: noi lavoriamo per mettere riparo agli sfasci che ci hanno lasciato in eredità, loro non sanno andare oltre l’irresponsabile e deleteria polemica sterile, dannosa dell’immagine del nostro Servizio sanitario nazionale”.