Da un lato Agostino Sansone, uno dei noti fratelli Sansone, considerati tra i gruppi familiari di Cosa nostra più fedeli a Totò Riina negli anni della sua latitanza, assieme a Manlio Porretto, considerato “intraneo al sodalizio mafioso”. Dall’altro Pietro Polizzi, candidato nella lista di Forza Italia alle comunali di Palermo, con una lunga storia elettorale alle spalle che va dall’Udc al partito berlusconiano passando per una lista in sostegno di Leoluca Orlando confezionata da Edy Tamajo, quest’ultimo ex renziano passato da poco con Fi, indagato nel 2017 per corruzione elettorale, poi prosciolto da tutte le accuse. In mezzo un patto politico elettorale che sfiora (non è indagata) anche un’altra candidata eccellente, Adelaide Mazzarino, la moglie di Eusebio D’Alì, vicedirettore dell’Azienda siciliana trasporti. Un passaggio non di poco conto dal momento che è stato proprio D’Alì, in una recente intercettazione, ad avere definito la partecipata che si occupa di trasporto pubblico nell’Isola un “ufficio di collocamento di Forza Italia”.
“Arresti per non trasformare il voto in merce di scambio” – A pochi giorni ormai dalle elezioni, il capoluogo siciliano si risveglia con un’operazione flash della procura, quasi in flagranza di reato, dettata dall'”urgente intervento di natura cautelare, atto a scongiurare il pericolo che il diritto-dovere del voto, per le imminenti elezioni amministrative del 12 giugno, sia – scrive il gip Alfredo Montalto nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato i tre in carcere – definitivamente trasfigurato in merce di scambio assoggettata al condizionamento e all’intimidazione del potere mafioso. Ne deriverebbe, difatti, la conseguente grave violazione del principio e del metodo democratico”. Un episodio che rivela il “ritorno ad un passato – continua Montalto – di certo non lontano, quello di Cosa nostra e dei suoi rapporti con il mondo della politica e di altri settori nevralgici del Paese”. D’altronde la storia dei fratelli Sansone fa di certo riferimento agli ultimi trent’anni di condizionamento mafioso. Mentre la storia politica di Polizzi abbraccia almeno 15 anni di elezioni.
L’ombra della mafia dopo le polemiche su Cuffaro e Dell’Utri – Ma andiamo con ordine. Intanto partendo dalle elezioni del 12 giugno. Domenica prossima il capoluogo siciliano andrà al voto per scegliere il sindaco e i consiglieri comunali. Ci va nel pieno del trentennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio, in un clima che si è fatto via via sempre più pesante. Soprattutto dopo che il centrodestra, che in prima battuta andava separato, si è ricompattato su un unico candidato, quel Roberto Lagalla che era stato il primo nome indicato da Marcello Dell’Utri e sul quale in extremis aveva deciso di convergere anche Totò Cuffaro. Due condannati, uno per concorso esterno, Dell’Utri, l’altro, Cuffaro, per favoreggiamento alla mafia. Ed entrambi stanno sostenendo lo stesso candidato. Mentre la campagna elettorale andava infuocandosi con questa pesante eredità, quindi, gli agenti della Squadra mobile, lo scorso 10 maggio, ascoltavano cosa avveniva in via Casalini, nel quartiere palermitano di Passo di Rigano. Qui c’è il comitato elettorale di Pietro Polizzi dove, alle 17.49, arrivavano Agostino Sansone e Manlio Porretto.
Le intercettazioni e la “candidata di Micciché” – Il tenore delle conversazioni viene ritenuto cristallino: “Se sono potente io… siete potenti voialtri”, assicurava Polizzi. Mentre Porretto ne conveniva: “Ma io lo sapevo, non è che non lo sapevo”. “Hai risolto il problema della tua vita – proseguiva Polizzi – Per questo ti dico che noialtri ci dobbiamo addattare duoco (allattare lì, ndr)”. E poi ancora: “Aiutami che tu lo sai che ti voglio bene! E tu lo sai che io quello che posso fare lo faccio”. Così parlava il candidato di Forza Italia con l’esponente della famiglia Sansone e con Porretto, anche lui considerato per altre operazioni ancora in corso, “intraneo al sodalizio mafioso”, scrive il gip. E andava oltre, coinvolgendo l’Ast, il suo vicedirettore e la moglie candidata in tandem con Polizzi: “Con mio zio Eusebio ho fatto un sacco di cose duoco (lì, ndr) all’Ast, quando hai bisogno… il contratto… la moglie è candidata di Micciché… a lei devi votare”.
Polizzi “sapeva” di avere di fronte un mafioso – Questo è il contenuto della conversazione registrata dalla squadra mobile di Palermo, così spiegata dal gip nell’ordinanza di arresto dei tre interlocutori: “Il candidato Polizzi, ben consapevole dello spessore mafioso dell’anziano ‘uomo d’onore’ che aveva di fronte, proseguiva affermando di essere fiducioso di poter ottenere un successo elettorale (“buoni, nel senso che ce la facciamo”), anche in ragione del consenso ottenuto con l’aiuto di Eusebio Dalì, vicedirettore dell’Azienda Sicilia Trasporti, la cui moglie Adelaide Mazzarino, è candidata in tandem proprio con l’odierno indagato Polizzi. Il Polizzi, poi, precisava come la Mazzarino fosse espressione di Micciché… con ciò evidentemente rafforzando agli occhi dei suoi interlocutori le proprie garanzie di politico ben integrato negli ambienti”. E li aveva convinti: “Devo andare firriando“, così parlava Porretto una volta uscito dal comitato elettorale assieme a Sansone, intendendo di dovere andare in giro “evidentemente per procacciare i voti appena promessi al candidato Polizzi”. Così la procura di Palermo si è convinta a muoversi d’urgenza. L’indagine coordinata dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Giovanni Antoci e Dario Scaletta ha portato all’arresto oggi di Polizzi, Sansone e Porretto.
I fratelli Sansone, la “Svizzera di Cosa Nostra” – Proprio in via Bernini viveva ancora, agli arresti domiciliari, Agostino Sansone. È la stessa casa in cui fu arrestato Totò Riina, dopo ventitré anni di latitanza. Agostino è fratello di Gaetano e Giuseppe Sansone. I fratelli Sansone sono stati definiti da alcuni collaboratori di giustizia come “la Svizzera di Cosa Nostra”, ovvero “come soggetti economici di grande peso, sempre accorti e attenti nella gestione dei loro rapporti con Cosa nostra e, comunque, mossi da una comune visione imprenditoriale sempre condivisa all’unisono da tutti e tre i fratelli”. Gaetano e Giuseppe sono entrambi pluripregiudicati (il primo è stato condannato ben tre volte per associazione mafiosa). Agostino, 73 anni, è considerato esponente di spicco della famiglia mafiosa di Palermo Uditore fino al marzo del 2001 e per questo è stato definitivamente condannato per 416 bis. E proprio lui era uno dei maggiori frequentatori della casa di via Bernini mentre lì si nascondeva Riina. I Sansone d’altronde sono considerati “tra i più fedeli e fidati, in favore di Totò Riina, negli anni della sua ultraventennale latitanza, nel corso della quale lo stesso Riina ha potuto ideare ed eseguire, tra l’altro, l’imponente attacco di natura terroristico-mafiosa ai danni dell’intera Nazione”. E non è un “caso”, secondo il giudice, “il matrimonio tra il nipote di Agostino Sansone, Domenico e Maria Guttadauro, figlia di Filippo Guttadauro e Rosalia Messina Denaro, sorella del noto latitante Matteo Messina Denaro, esponente di vertice dell’associazione mafiosa e ultimo degli stragisti ancora latitante”.
“Calati junco” – Rilevante è anche un’intercettazione di Porretto: “Però siamo stati iunco… ci siamo calati alla china!..(siamo stati giunco, ci siamo calati alla piena ndr)”. L’indagato usa una espressione dialettale che sembra descrivere la capacità di resilienza della famiglia mafiosa dell’Uditore. Parlando con Sansone, non sapendo di essere intercettato, Porretto ricorda al suo interlocutore come “nonostante le numerose e continue condanne, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e i sequestri la famiglia mafiosa era riuscita a resistere e- scrive il gip – richiama l’immagine della fiessibilità del ‘juncò, descrivendo una ben precisa filosofia mafiosa: riemergere dalla necessaria e alle volte ineluttabile strategia di sommersione, per poi rialzare nuovamente il capo, al momento opportuno, e ritornare più forti di prima, riallacciando i rapporti con la politica, ripristinando le vecchie e attivando nuove alleanze con gli appartenenti alle istituzioni”. “Perché noi bene abbiamo fatto! – proseguono i due – Non è che c’è qualcuno che può parlare male di noialtri!”, parole che dimostrerebbero il “prestigio e la considerazione dei quali potevano disporre nell’attività di procacciamento di voti per Polizzi”.
Le tante casacche di Polizzi in 15 anni – A 30 anni dalle stragi, è con Agostino che parla il candidato Polizzi alla caccia di voti utili per la sua elezione. Dipendente di Riscossione Sicilia, il 52enne era già stato consigliere provinciale e comunale con l’Udc. Nel 2008 entrò in consiglio provinciale nella lista democrastiana, il partito di Cuffaro che proprio quell’anno si era dimesso da presidente della Regione dopo la condanna. Le dimissioni di Cuffaro – annoverato nelle file dell’Udc fino al 2010 – arrivarono a gennaio, le elezioni provinciali nel giugno successivo. Nel 2012 è stata invece la volta per Polizzi al consiglio comunale, sempre con l’effige dello scudo crociato che abbandona nel 2017, quando si presenta in una lista formata dal centrista Totò Cardinale e da Edy Tamajo. Quest’ultimo proprio nel 2017 era stato indagato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale, un anno dopo le accuse a suo carico sono poi cadute completamente. Nel frattempo Tamajo aveva fatto il grande ingresso nel partito di Matteo Renzi, Italia Viva, nell’autunno del 2019. Un idillio che non è durato molto. Dopo un passaggio all’Assemblea regionale siciliano in cui i renziani si sono associati col gruppo di Fi, lo scorso 30 maggio, all’hotel San Paolo Palace, Gianfranco Miccichè ha presentato la lista di Fi e salutato l’ingresso nel partito di Tamajo, di fronte a una platea gremita che lo ha accolto con un grande applauso. Ed è nella lista degli azzurri che figurava fino a stamattina Polizzi che chiede voti anche per Adelaide Mazzarino, con la quale ha anche “santini” elettorali fac-simile in tandem. Mazzarino è la moglie di Eusebio D’Alì, il vicedirettore dell’Ast che in un’intercettazione aveva detto come l’azienda partecipata al 100 per cento dalla Regione siciliana fosse diventata “l’ufficio di collocamento di Forza Italia”. Un’intercettazione completamente rinnegata in seguito da D’Alì che ha invece sottolineato come Micciché non gli abbia mai chiesto nulla “in quindici anni”. Lui intanto è impegnato in campagna elettorale da mesi a favore dei candidati di Forza Italia. Moglie compresa.
Twitter: @ManuelaModica