Si può arrivare entro l’estate a un intervento “sul lavoro povero”, primo tassello di una risposta articolata per alzare i salari, da sviluppare poi con un’azione “sistematica sulla contrattazione” e un taglio del cuneo fiscale “su base pluriennale”. È la strategia che il ministro del Lavoro Andrea Orlando illustra oggi in un’intervista a La Repubblica. “Nell’immediato, vogliamo dare fiato ai salari più bassi con un intervento sul lavoro povero. Poi un’azione sistematica sulla contrattazione che garantisca un rinnovo tempestivo dei contratti e meccanismi che tengano conto, senza automatismi, dell’inflazione. E infine un intervento pluriennale di taglio delle tasse sul lavoro, a partire dalla prossima manovra. Questi tre livelli si tengono insieme, non vanno contrapposti come fa qualcuno”, ha detto Orlando.

“Patto sociale evocato da Draghi? Avevamo già avviato un percorso in tal senso, che è stato purtroppo spiazzato dalla guerra. Ma intanto stiamo lavorando per traguardare un accordo più specifico contro il lavoro povero – ha ricordato -. Ho avanzato alle parti sociali in via ufficiosa un’ipotesi: prendere come salario minimo il Trattamento economico complessivo (Tec) dei contratti maggiormente rappresentativi, settore per settore – ha precisato il ministro -. Basterebbe una norma semplice di recepimento di questo principio. L’effetto sarebbe alzare il livello dei salari più bassi”. In merito alle tempistiche Orlando ha aggiunto: “La proposta è sul tavolo, penso sia ragionevole arrivare ad alcuni punti condivisi prima della pausa estiva, ma è chiaro che i tempi sono definiti anche dalla disponibilità delle parti a convergere, anche con eventuali modifiche”.

Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi risponde indirettamente dalle pagine del Corriere della Sera. “Il salario minimo in genere c’è dove le paghe orarie sono basse. Non è il caso dei contratti nazionali firmati da Confindustria. Per il salario minimo si parla di 9 euro lordi l’ora (questa la cifra indicata nel disegno di legge Catalfo in commissione lavoro al Senato, ndr), mentre in quelli firmati da Confindustria anche le qualifiche basse prevedono cifre superiori. In quello dei metalmeccanici il terzo livello è a 11 euro: il più alto quelli nazionali della categoria” dice il leader degli industriali italiani. Che, in generale, le paghe italiane non siano basse è opinione di Bonomi (i dati dicono l’opposto) ma è vero che la più parte dei contratti collettivi fissano retribuzioni superiori agli ipotetici 9 euro lordi l’ora. Ciò non di meno sono circa 4,5 milioni i lavoratori che percepiscono retribuzioni al di sotto di questa cifra. “Esiste un mondo di contratti pirata sul quale bisogna intervenire per garantire condizioni adeguate. Dipende dalla volontà politica. È la politica che deve decidere come fare il salario minimo e prendersi la relativa responsabilità”, ha precisato Bonomi che in merito al rialzo dell’inflazione ha aggiunto: “Mi rifaccio a quel che dice Ignazio Visco: va evitata una rincorsa fra prezzi e salari”.

Bonomi ribadisce di essere “disposto a sedermi a un tavolo in cui ci poniamo il problema oggi più acuto: le fasce di reddito sotto i 35 mila euro, in difficoltà per l’erosione del potere d’acquisto. Per loro serve un intervento strutturale, dov’è più necessario: abbassare le tasse sul lavoro, fra le più alte fra nell’Ocse”. Un intervento che a Confindustria non costerebbe nulla. “Su un tema così complessivo che riguarda inflazione, salari, produttività e politiche attive si debba per una volta tornare al modello della sala Verde – ha detto il leader degli industriali. In passato venivamo convocati tutti a Palazzo Chigi, ci si chiudeva dentro per giorni e se ne usciva con un accordo. A furia di farlo divenne sterile consociativismo e quella fase si è chiusa. Ma oggi, date le misure strutturali necessarie, non si può fare un patto sociale di questa portata senza confrontarsi”, ha ribadito Bonomi. Nel frattempo si accende il confronto sul recepimento della direttiva europea che suggerisce l’introduzione di un livello minimo delle retribuzioni o tramite un salario fissato per legge oppure attraverso una contrattazione collettiva che copra però tutti i lavoratori. Favorevoli ad una legge sul salario minimo sono il Movimento 5 Stelle e il Pd mentre il centro destra frena.

“Il tema del salario minimo è molto importante” e “al di là dei contrasti tra chi lo vuole e chi non lo vuole, bisogna fare un grande tavolo per comprenderne le problematiche. Però io credo che bisogna andare oltre la contrattazione nazionale sul salario minimo, perché va messo per legge. Il Parlamento ha ancora un anno e spero che possa lavorare al meglio su questo tema”, ha detto oggi il presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico rispondendo ai giornalisti.

“Il salario minimo è ormai un punto di riferimento al livello europeo e anche il nostro Paese deve fare un percorso che si adegui a questa indicazione che permetta di dare maggiore sicurezza alle nostre famiglie e ai nostri lavoratori”, ha affermato stamane il ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, a margine della sua visita al Salone del Mobile di Milano. “Da Strasburgo è arrivato un bel segnale, importante. Salario minimo vuol dire far sì che su alcune tipologie di lavoro su cui ci sono paghe da fame si può finalmente voltare pagina e arrivare a una scelta che comporti un lavoro pagato dignitosamente. Per noi è un grande passo avanti, l’aiuto della direttiva europea è forte. Dovremo farlo il più presto possibile anche in Italia, noi lo sosteniamo con grande determinazione”, ha detto oggi il segretario del Pd, Enrico Letta.

La spinta che arriva dall’Europa sul salario minimo “intanto è una rivoluzione per l’Europa, che fin qui riproponeva al suo interno i meccanismi distorsivi della globalizzazione. Certi Paesi membri che facevano dumping sociale mettendo i lavoratori gli uni contro gli altri con le delocalizzazioni. Questa direttiva invece è un passo fondamentale nella direzione dell’Europa sociale, premessa necessaria al rilancio di quella politica. E la Repubblica fondata sul lavoro non può restare indietro”, dice oggi il vice segretario Pd, Giuseppe Provenzano, in un’intervista a La Stampa, in cui sottolinea: “Per noi ha un valore identitario, se i salari sono fermi da decenni, se dilaga il precariato, la sinistra del passato ha le sue colpe. Ora abbiamo capito, e dobbiamo andare fino in fondo per recuperare credibilità”.

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