Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha detto che ieri ad Ankara non è stato raggiunto alcun accordo sull’esportazione di carichi di grano ucraino attraverso il Mar Nero. La Turchia spinge per un accordo tra Mosca e Kiev per alleviare la crisi alimentare globale, negoziando un passaggio sicuro per il grano bloccato nei porti del Mar Nero e ieri ad Ankara si è svolto un incontro tra il ministro degli esteri turco Cavusoglu e il suo omologo russo Lavrov. Le parole di Peskov fiaccano però le speranze, già timide, di smuovere i 20milioni ti tonnellate di grano ferme nei depositi. In particolare la Russia chiede un alleggerimento delle sanzioni sulle sue esportazioni alimentari per favorire la ripresa dei flussi di grano dall’Ucraina. Negli 8 mesi prima dell’invasione sono partite dai 7 porti ucraini sul mar Nero 51 milioni di tonnellate di cereale. Su queste acque si muove(va) grano sufficiente a sfamare 400milioni di persone. Il blocco attuale, oltre ridurre i rifornimenti a paesi di mezzo mondo, presenta un altro problema. I silos rimangono pieni e il raccolto del 2022 rischia di non trovare spazio per essere immagazzinato.

Da Russia ed Ucraina proviene circa il 20% del grano esportato nel mondo. Ma molti paesi dipendono in misura molto maggiore dai due paesi. Ad affidarsi ai cereali russi sono soprattutto Egitto, Turchia, Sudan e Marocco. A quello ucraino di nuovo Egitto e Turchia ma anche Filippine. In generale la situazione mette pressione sui prezzi, per tutti. L’Egitto ha di recente stretto un accordo con l’India per cercare di rimpiazzare almeno parte delle forniture di Russia e Ucraina. Il paese asiatico, tra i primi produttori al mondo ma quasi totalmente ad uso interno, è a sua volta alle prese con problemi nei raccolti causati dal caldo anomalo e poche settimane fa ha bloccato il suo export di cereali fatta eccezioni per specifici accordi.

Nelle ultime due settimane il costo del grano è sceso di oltre il 10% ma rimane sui valori più alti di sempre. Secondo uno studio della Banca Mondiale un incremento dell’1% nel costo medio dei cereali provoca lo scivolamento in condizione di povertà estrema di 10 milioni di persone nel mondo. Rispetto ad un anno fa il prezzo del grano è salito del 59% ed è sopra al livello che nel 2011 contribuì ad innescare le rivolte in diversi paesi di Africa e Medio Oriente. Secondo l’Onu ci sono 811 milioni di persone che non hanno un’alimentazione adeguata. 279 milioni sono denutrite e altre 49 milioni potrebbero diventarlo nella seconda metà del 2022. In numeri assoluti il paese più esposto è la la Repubblica del Congo dove 26 milioni di persone sono a rischio. Il paese africano è seguito da Afghanistan, Nigeria, Yemen, Etiopia, Sud Sudan e Pakistan.

Ieri il capo delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dichiarato di aver chiesto ai colleghi di contribuire a trovare “un accordo che consenta l’esportazione sicura di alimenti prodotti in Ucraina attraverso il Mar Nero e l’accesso senza ostacoli ai mercati globali per gli alimenti e i fertilizzanti russi”. Quella dei fertilizzanti è una crisi “parallela” e complementare a quella dei raccolti. La Russia, iniseme alla Cina, è il primo produttore al mondo per questo tipo di prodotti che finivano soprattutto in Brasile, Stati Uniti e India. Anche in questo caso la guerra sta causando un’ impennata dei prezzi che costringe gli agricoltori di mezzo mondo a ridimensionare la pianificazione dei raccolti.

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