Le origini degli opt-out risalgono al referendum del 1992 che respinse il Trattato di Maastricht, già approvato a grande maggioranza dal Folketing. La Danimarca non era in grado di firmare il Trattato nella forma originaria ma gli altri Stati membri si rifiutarono di apportargli modifiche e così Copenaghen fece in modo di essere esonerata dall’applicazione di quelle parti sgradite ai cittadini. Un vero e proprio “compromesso nazionale”
La Danimarca, è sempre più vicina all’Unione europea. A dimostrarlo c’è la storica vittoria del sì al referendum in materia di cooperazione difensiva svoltosi alcuni giorni fa. Gli elettori hanno infatti deciso di abrogare l’opt out stipulato tra Copenaghen e Bruxelles in occasione della ratifica del Trattato di Maastricht sulla cooperazione difensiva comunitaria ed ora il coordinamento europeo potrà contare su un membro in più. Si tratta di un deciso cambio di passo per un Paese che, come ricordato da Nordics, ha sempre valutato i pro e i contro dell’integrazione, scegliendo di partecipare solo quando lo riteneva conveniente.
La decisione di entrare a far parte della Comunità economica europea, ad esempio, fu motivata dalla volontà di integrarsi nel mercato unico piuttosto che da un apprezzamento del progetto federalista. La Danimarca ha beneficiato di alcuni opt-out dall’Unione europea sin dal 1993: dall’Euro alla Politica Europea di Sicurezza e Difesa, passando per Giustizia, Affari Interni e cittadinanza dell’Unione.
Le origini degli opt-out risalgono al referendum del 1992 che respinse il Trattato di Maastricht, già approvato a grande maggioranza dal Folketing. La Danimarca non era in grado di firmare il Trattato nella forma originaria ma gli altri Stati membri si rifiutarono di apportargli modifiche e così Copenaghen fece in modo di essere esonerata dall’applicazione di quelle parti sgradite ai cittadini. Un vero e proprio “compromesso nazionale” accettato dal Consiglio europeo di Edimburgo del dicembre 1992. Diversi governi danesi hanno preso in considerazione l’idea di far svolgere referendum per abolire alcuni opt-out, ma le cose non sono andate nel migliore dei modi. Nel 2015 il 53% dei votanti si oppose all’ammorbidimento dell’opt-out in materia di giustizia, che da totale avrebbe dovuto trasformarsi in parziale per consentire alla Danimarca di continuare a fare parte dell’Europol, nonostante il parere favorevole espresso dal governo e da un peso massimo politico come il Partito Socialdemocratico. Quindici anni prima era stato sottoposto a referendum l’opt-out sull’euro, voluto dai partiti politici più importanti come i Liberali e i Conservatori, dai sindacati ed osteggiato solamente da quattro piccoli movimenti. Risultato? Il no prevalse con il 53% dei consensi e un’affluenza pari all’87,6% degli aventi diritto.
Alcuni temi, come quello dell’immigrazione, hanno diviso la Danimarca e l’Unione europea provocando una serie di incomprensioni tra le due parti. Nel giugno 2021 il Parlamento danese ha approvato una legge che permette di processare le richieste di asilo e di protezione internazionale umanitaria in un Paese extra-europeo. Poche settimane prima Copenaghen aveva deciso di rimpatriare i rifugiati siriani nella propria nazione, considerata ormai “sicura”. La Commissione europea aveva definito la legge “incompatibile con le attuali regole dell’Ue e con la proposta del nuovo Patto per le migrazioni”, il quale “è basato sul diritto d’asilo come diritto fondamentale dell’Ue”. Copenaghen, in questa occasione, aveva mostrato poco tatto su un dossier di importanza cruciale per l’Unione europea.
Negli ultimi anni qualcosa è cambiato in Danimarca, da sempre molto vicina agli Stati Uniti e schierata su posizioni atlantiste. Questo cambiamento è legato alla presidenza di Donald Trump che qui come altrove ha provocato gravi danni alla reputazione di Washington. Un sondaggio realizzato nel gennaio 2021 da Voxmeter (e riportato dallo European Council on Foreign Relations) ha evidenziato che il 66% dei danesi ritiene che l’Europa non possa fare sempre affidamento sugli Stati Uniti ma debba occuparsi delle proprie capacità difensive. Solamente il 10% è convinto del fatto che gli Stati Uniti proteggeranno l’Europa, mentre il 22% dei più giovani (percentuale più alta tra tutte le fasce di età) ritiene che nel giro di 10 anni l’Unione europea potrebbe diventare più forte degli Stati Uniti.