di Roberta Ravello

Democrazia paritaria significa pari opportunità in tutti i settori. Per quanto riguarda la politica, questo presuppone un cambio di passo culturale. Le donne dopotutto sono almeno la metà della popolazione, se non la maggioranza, perché non dovrebbero autorappresentarsi e delegare invece degli uomini a portare avanti le loro istanze? Chi conosce meglio le donne e le loro problematiche, se non una donna stessa?

La legge costituzionale del 30 maggio 2003 n. 1 poneva in capo al legislatore l’obbligo di “promuovere con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. In politica però questo tarda a concretizzarsi. Ci sono state misure che hanno interessato direttamente la legislazione elettorale e i partiti, ma non sufficienti visti i risultati. Ancora, in questa tornata elettorale, sono solo 15 le candidate alla carica di sindaco nelle 26 città capoluogo, contro una sessantina di uomini. La democrazia paritaria è un traguardo lontano e gli ostacoli che sin dal 2003 la politica aveva promesso di rimuovere evidentemente sono ancora in essere.

L’Italia si colloca al 14esimo posto in Europa per l’accesso femminile alla carriera politica, secondo quanto riportato dagli studi sull’argomento. Domenica si vota, ma si registra un rapporto di 1 donna ogni 4 uomini tra le candidature. Dei 26 capoluoghi che andranno al voto, solo due attualmente sono governati da donne. Precedentemente fu peggio. Nel 2021 non ci fu neppure una donna a contendersi i capoluoghi di provincia.

Oggi le donne in parlamento sono poco più di un terzo della composizione. Non dovrebbero essere almeno la metà? Cosa impedisce alle donne di arrivare a legiferare e governare? Non credo manchino le candidate, anche competenti. Io penso sia per lo più sbarrata loro la strada a prendersi il seggio e che siano chiamate prevalentemente a fare da “porta-voto” ai colleghi uomini. Occorrerebbe una nuova legge elettorale, allora, che realizzi il principio costituzionale delle pari opportunità. Quale sia lo strumento ideale non lo so: se serve una legge proporzionale per arrivare all’obiettivo andrebbe fatta.

Nel frattempo l’astensione come “disinteresse” rimane un’opzione praticata da molte donne e non solo. Esprime la mancanza di fiducia, certo, ma può avere anche un significato di rabbia e di invito a modificare i comportamenti politici e le regole di rappresentanza. Dopotutto, se la politica ha poco da offrire perché non sa ascoltare la base e decide tutto in modo distaccato dall’elettorato, applicando la regola del padre padrone che tutto sa e tutto decide da solo con consultazioni poco rappresentative dell’elettorato, il distacco emotivo può essere una conseguenza razionale.

In molti e molte vorrebbero più democrazia diretta, ovvero incidere e non essere solo pedine delle macchinazioni altrui. Intanto, per quanto mi riguarda, se non posso votare per una donna che rappresenti i miei valori, non è semplice scroccarmi un voto in cabina elettorale. La propaganda dell’opzione donna, dalla mancata elezione della prima eventuale presidentessa della Repubblica italiana in poi, è stata assai vivace; come se quell’idea di una donna per presidente non fosse stato solo un diversivo. Fior di politici si sono riempiti la bocca con la necessità di dare più spazio alle colleghe in politica, per poi non praticare i buoni propositi. Si è visto alle amministrative successive quanto la propaganda fosse mendace.

Andrà peggio per le politiche, a parlamento dimezzato. Spero che le donne sapranno cosa fare in reazione, organizzandosi un partito alternativo che veramente le rappresenti. Il potere non lo regala nessuno, bisogna prenderselo.

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