La storia giudiziaria di Zlatan Vasiljevic, il bosniaco che mercoledì ha ucciso l’ex moglie Lidia Miljkovic e l’attuale compagna Gabriela Serrano prima di suicidarsi, era passata per misure preventive, processi, una condanna e un corso di riabilitazione per uomini violenti dal quale aveva tratto benefici giudiziari. Vicende che, secondo il presidente del Tribunale di Vicenza Alberto Rizzo, insegnano quanto “ci voglia una rete di protezione con una filiera virtuosa” per proteggere le vittime. Un massacro che mercoledì – secondo quanto ricostruito finora dagli inquirenti – avrebbe rischiato di coinvolgere anche i figli di Miljkovic e altri parenti, tutti portati in questura subito l’omicidio della 42enne di origini serbe.

Rizzo ripercorre le denunce ripetute di maltrattamenti fatte dall’ex moglie dell’assassino, che avevano dato luogo a due procedimenti giudiziari. “È tutto ancora in corso di accertamento perché ci manca qualche elemento però quello che emerge in questo momento – sottolinea – è che lui è stato raggiunto da due procedimenti penali, uno definito con una condanna in primo grado a 1 anno e sei mesi, ridotta in Appello. Il Tribunale ha applicato una misura cautelare, coercitiva, attenuata poi nel corso del procedimento perché questa persona ha seguito un percorso di recupero”.

Il riferimento è a un corso riabilitativo che il 42enne bosniaco aveva seguito in una comunità di recupero di Bassano: un percorso di sostegno per uomini violenti, che aveva rilasciato a Vasiljevic, dopo un percorso con psicologhe e psicoanalisti, un attestato di partecipazione, e che, secondo quanto riferisce il Corriere del Veneto, gli aveva permesso di ottenere dei benefici rispetto alla pena scontata in carcere dopo l’arresto nel 2019 per i maltrattamenti. Ma il carattere pericoloso di Zlatan era ben chiaro a chi aveva seguito le sue vicende giudiziarie. Nelle denunce di Miljkovic c’erano frasi inquietanti pronunciate da questi durante i violenti litigi in casa: “Io ti uccido, ti cavo gli occhi”. E anche il suo attuale compagno, in un’intervista a Repubblica, spiega di aver percepito il pericolo come attuale e si scaglia contro i magistrati: “Dopo che era uscito dalla cella, gli era stato revocato pure il divieto di avvicinamento. Per loro ormai era una brava persona”, ha detto.

Il presidente del Tribunale di Vicenza conferma che in Corte d’Appello la misura di allontanamento “è stata revocata” e spiega: “La misura cautelare ha una durata definita oltre la quale cessano naturalmente i suoi effetti”. Rizzo dice che la pena in Corte d’Appello “è stata sospesa, non so per quale motivo”. In ogni caso, aggiunge, “la sospensione della pena determina il venir meno dell’esigenza cautelare”. In questo momento dunque Vasiljevic “non aveva alcun obbligo di non avvicinamento alla moglie perché aveva definito un procedimento, con una condanna passata il giudicato con pena sospesa dalla Corte d’Appello, e per quanto riguarda noi – precisa – c’era un procedimento penale ordinario, a dibattimento”. Quindi, “non c’erano misure cautelari nei confronti del bosniaco: quando sono state richieste – rileva Rizzo – sono state applicate”.

Quanto accaduto porta il presidente del Tribunale di Vicenza ad una riflessione: “Può il sistema penale o quello giudiziario impedire in assoluto il verificarsi di fenomeni drammatici come quello accaduto? – si chiede – O si deve intervenire, come io penso, in termini di prevenzione, con il coinvolgimento contributivo di diversi soggetti che devono parlarsi e fare rete anche nel settore del codice rosso?”. Per Rizzo “la sola misura penale o parapenale, penso all’ordine di protezione che viene adottato con il 441 bis del codice civile che io applico spesso quando la parte ricorrente nell’ambito di una separazione mi rappresenta di essere oggetto di vessazioni o minacce, è solo un ordine di allontanamento e di non avvicinamento. Ma se poi l’ordine non viene rispettato vuol dire che la misura di per sé contiene il rischio ma non lo neutralizza”. La sintesi, per il presidente del Tribunale è che “purtroppo non possiamo pensare a misure cautelare permanenti, il sistema deve dare una risposta di ampio respiro e che coinvolga diversi interlocutori, l’autorità giudiziaria, il coordinamento dei prefetti, l’autorità di pubblica sicurezza, le forze di polizia, i Comuni e i servizi sociali”. E conclude: “Pensare che sia l’autorità giudiziaria, da sola, a neutralizzare il rischio è una illusione”.

Intanto, da quanto emerge dalla ricostruzione degli investigatori, ad essere uccisa per prima sarebbe stata Serrano, la donna con la quale aveva interrotto da poco una relazione dopo la separazione da Miljkovic. Vasiljevic ha chiamato di primo mattino Serrano, l’ha spinta a raggiungerlo da Rubano a Vicenza con la sua auto. Dopo essere salito sulla vettura l’uomo si è diretto verso il quartiere Vigogna di Vicenza e qui l’ha uccisa con un solo colpo alla nuca. Con il corpo della donna nell’auto è arrivato in via Vigolo e ha atteso l’arrivo dell’ex moglie. Quando ha visto Miljkovic non ha avuto esitazioni: l’ha uccisa a colpi di pistola. Compiuta la mattanza si è diretto verso la tangenziale di Vicenza e si è suicidato con la stessa pistola, detenuta illegalmente.

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