Nel corso dell'intervista al Corriere della Sera, l'artista ha ripercorso la sua carriera, tirando le somme del difficile conto tra vita privata e lavoro, in particolare alla luce di questi due anni di pandemia
“Si canta il blues per esprimere la passione per un dolore, per qualcosa che non c’è. E questo ha molto a che fare col Covid, con il ‘mi manca tanto la vita di prima’. Ha influito certo, mi ha trasformato, ha accelerato cose che forse erano già in trasformazione, amplificandole, sia quelle positive che quelle negative”. È un’Irene Grandi intima e confidenziale quella che si racconta al Corriere della Sera alla vigilia del suo tour estivo che la vedrà in giro per l’Italia tutta estate con il suo nuovo album tutto blues, “Io in blues”, appunto. Nel corso dell’intervista, l’artista ha ripercorso la sua carriera, tirando le somme del difficile conto tra vita privata e lavoro, in particolare alla luce di questi due anni di pandemia. “Ho visto spezzarsi legami fragili, nella vita privata come nel lavoro. Mi ero sposata nel tentativo di capire se mi sentivo cresciuta, forse per “calmare” certi lati di me che avevo sempre incanalato con passione nella musica. Ma nel matrimonio ho capito che in me persiste un sano egoismo da cui non posso staccarmi, la priorità è sempre il lavoro, e quindi non ha funzionato. È già finito”, ha rivelato Irene Grandi.
“Credo che si possa avere una famiglia e fare musica. Non credo che il problema sia la musica, ma il concetto di coppia oggi – ha spiegato la cantante -. Che è in crisi, mi pare evidente. È il mondo che non mi pare sia più strutturato in modo da permettere alle coppie di durare nel tempo. O hai la fortuna incredibile di trovare l’anima gemella… ma è appunto “incredibile”. Oppure, mmmhhh. Ed è giusto così, credo, perché in passato erano troppi i matrimoni infelici che andavano avanti solo perché “si doveva”. Forse si confonde troppo spesso l’amore con il cinema, la passione, la convenienza, i legami che si sono creati e pensi sia un peccato gettare alle ortiche. È difficile oggi capire cosa sia l’amore. Io non lo so ma continuo a cantarlo perché è l’unico modo in cui riesco ad avvicinarmici davvero”.
Infine, un aneddoto su come abbia deciso di diventare una cantante: “Avevo scelto il russo come indirizzo a lingue, quando mi sono iscritta all’Università di Firenze. Già cantavo con Le Matte in Trasferta insieme a Simona Bencini dei futuri Dirotta su Cuba e nella band La Forma dove c’erano anche Stefano Bollani e Marco Parente, e iniziavo a collaborare con Telonio, mio autore per molto tempo, lavoravamo al primo disco e mi diceva che ce la potevo fare, che avevo qualcosa in più. Però avevo una professoressa ai primi due anni che mi aveva conquistata e volevo intraprendere una vita dedicata alla letteratura russa in lingua: il mio piano A era quello, il piano B era la musica. Poi però cambiò la professoressa: quella brava andò via e arrivò una che mi faceva addormentare sul banco. Mamma mia che ronfate che mi son fatta in quelle aule. Senza questa sliding door probabilmente ora sarei qualcosa di completamente diverso. Ho lasciato gli studi e mi sono buttata seriamente sulla musica”, ha concluso Irene Grandi.