Le accuse per Daniele Bedini si allargano. Il falegname di 32 anni arrestato per l’omicidio di Nevila Pjetri, ritrovata cadavere lungo il greto del torrente Parmignola a Sarzana, è indagato anche per l’uccisione della donna trans Camilla Bertolotti. Mentre il tribunale di Massa ha avviato “accertamenti interni” sul mancato arresto dopo la condanna definitiva per una rapina: la sentenza della Cassazione risale al 2021, le motivazioni sono state depositate a febbraio, ma l’ordine di esecuzione della pena è arrivato solo mercoledì.
Il cadavere di Bertolotti è stato trovato il lunedì mattina, 24 ore dopo quello di Pjetri, a 3 chilometri di distanza dal luogo dove è stato lasciato il corpo della prostituta. Le indagini vanno avanti: si cerca ancora la pistola calibro 22 che ha ucciso Pjetri e che presumibilmente, visto che i bossoli di quel calibro sono stati trovati nell’auto della donna trans, ha ucciso anche Bertolotti. E si cercano i cellulari delle due vittime. Per tutto il giorno i sub e i carabinieri hanno scandagliato l’acqua melmosa del torrente ma per ora nulla è stato ritrovato: né l’arma né gli effetti personali scomparsi. L’autopsia sul cadavere di Bertolotti, che verrà eseguita venerdì, potrà dire molte cose così come l’interrogatorio di Bedini, che si trova in carcere alla Spezia da lunedì.
Avrebbe dovuto essere in cella da mesi, come emerso nelle scorse ore. E ora sul suo mancato arresto sono stati attivati “accertamenti interni” al tribunale di Massa. A confermarlo è il presidente del tribunale Paolo Puzone. Gli accertamenti servono “per capire quale disguido abbia impedito alla procura di avere la disponibilità del fascicolo delle misure applicate a Davide Bedini”. L’uomo avrebbe dovuto trovarsi in carcere già da quattro mesi, dopo che a febbraio la Cassazione aveva convalidato, rendendola definitiva, nei suoi confronti una condanna a 3 anni di reclusione per rapina aggravata.
“Nel caso in esame – spiega Puzone – a fronte di una sentenza di condanna divenuta definitiva, la procura della Repubblica di Massa, per conoscere il ‘presofferto’, ha chiesto il fascicolo delle misure cautelari sia alla Corte d’appello sia al tribunale di Massa, organi giudicanti che potevano avere la disponibilità di quel fascicolo a seguito della restituzione degli atti da parte della Cassazione. Ora stiamo verificando quale disguido o disservizio possa essere accaduto per impedire che la procura avesse la disponibilità del fascicolo delle misure in questione”. Dai primi accertamenti “pare però che al momento in cui la procura della Repubblica di Massa inoltrò la sua richiesta il fascicolo delle misure fosse nella disponibilità della Corte d’Appello, cui era stato restituito dalla Cassazione. Se così fosse, sarebbe stato quindi quell’ufficio a dover rispondere alla procura inoltrando il relativo fascicolo”, conclude Puzone.