Hanno risposto al giudice, hanno ammesso di essersi incontrati come testimoniano le intercettazioni, ma negano di aver stretto un patto elettorale. Si sono difesi così, durante l’interrogatorio di garanzia, Pietro Polizzi, candidato di Forza Italia al Consiglio Comunale di Palermo, Agostino Sansone, costruttore del complesso residenziale che ospitò il boss Totò Riina durante gli ultimi mesi di latitanza, e il suo collaboratore Manlio Porretto.
I tre sono finiti in carcere ieri con l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso. Per l’accusa il sostegno Polizzi ha concordato l’appoggio dei Sansone e in cambio si è messo a loro disposizione. Al termine del colloquio col magistrato l’aspirante consigliere ha annunciato l’intenzione di ritirarsi dalla competizione elettorale di domenica prossima. Stessa volontà espressa ieri da Adelaide Mazzarino, candidata in ticket con Polizzi, non indagata, ma finita nelle conversazioni intercettate dagli inquirenti.
Polizzi, infatti, parlando con Sansone, lo aveva invitato a far votare anche la donna, sostenuta del presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè . Nel corso dell’interrogatorio l’indagato, difeso dall’avvocato Francesco Riggio, ha anche riferito che l’incontro con Sansone, durante il quale secondo i pm sarebbe stato suggellato il patto illecito, avvenne in una stanza di un patronato che il candidato usava come sede per la campagna. Nella stanza ci sarebbero state diverse altre persone: il legale chiederà di acquisirne la testimonianza. La circostanza, per la difesa, dimostrerebbe che Polizzi non aveva alcuna intenzione di stringere un accordo criminale con il costruttore che incontrò, infatti, davanti ad altri e non in privato. “C’eravamo conosciuti 4 anni fa per motivi legati al mio lavoro – ha aggiunto -. Quando, il 10 maggio, venne al patronato mio padre me lo annunciò dicendomi ‘vedi di farlo andare via presto‘. Io neppure lo feci entrare nella mia stanza e appositamente ci parlai per non più di tre minuti in un ambiente comune”. Polizzi ha sostenuto di non aver più visto Sansone dopo il 10 maggio e che all’epoca dell’incontro non era stata neppure decisa la sua candidatura e non erano state ancora presentate le liste. Polizzi, che ha ribadito che nelle trascrizioni delle intercettazioni ci sarebbero diverse imprecisioni, ha affermato che la frase registrata dal trojan piazzato nel cellulare di Sansone “se sono potente io, siete potenti anche voi“, ritenuta una prova schiacciante dai pm, fosse in realtà un modo di dire da lui usato in campagna elettorale. Parole in libertà, insomma, per millantare potere.