Giovanni Guadagnini, veterinario specialista in patologie suine e membro dell’Associazione nazionale veterinari italiani: "Ci sono rischi di una più ampia propagazione tra gli allevamenti e questo significa che è in pericolo un intero comparto. Non vi è comunque alcun rischio per la salute umana o per la sicurezza alimentare"
La peste suina provocata dai cinghiali entra per la prima volta in un piccolo allevamento di maiali della “zona rossa”, colpendo due animali. Dentro l’Insugherata, l’area verde cittadina dentro l’anello stradale del Raccordo anulare dove è esploso il focolaio dai cinghiali. Ad annunciarlo è stato l’Assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato: “Sono stati rilevati infatti due casi di positività. Tutti i capi saranno immediatamente abbattuti da parte dei servizi veterinari della Asl ed è in corso la riunione della task-force”, ha fatto sapere. Secondo il Commissario straordinario all’emergenza peste suina, Angelo Ferrari, “adesso zona rossa e zona di infezione verranno tutte riviste“. Per ora “provvediamo ad abbattere velocemente tutt’attorno”.
Preoccupate le associazioni di categoria anche se non ci sono pericoli per l’uomo e per la sicurezza alimentare. Coldiretti fa sapere che ci sono 50mila maiali a rischio nel Lazio e chiede misure a sostegno per il settore suinicolo mentre Cia agricoltori italiani auspica “il risarcimento immediato per gli allevamenti e un intervento deciso con piano di abbattimento cinghiali”. Finora il virus aveva colpito solo cinghiali per i quali è letale: Liguria e Piemonte, le due zone più colpite dall’inizio di questa emergenza, da fine dicembre hanno fatto registrare 143 casi positivi nelle province di Genova e Alessandria.
Parla di “forte campanello d’allarme” Giovanni Guadagnini, veterinario specialista in patologie suine e membro dell’Associazione nazionale veterinari italiani (Anmvi). “Ci sono rischi di una più ampia propagazione tra gli allevamenti”, dice all’Ansa, “che hanno spesso contatti ad esempio attraverso i mezzi di trasporto dei mangimi, e questo significa che è in pericolo un intero comparto“. “Non vi è comunque – rassicura – alcun rischio per la salute umana o per la sicurezza alimentare”. Il virus, spiega l’esperto, “si sta muovendo e deve dunque crescere il livello di allerta. E’ necessario rafforzare la biosicurezza degli allevamenti perchè questo virus tra questi animali è altamente letale con tassi di mortalità dell’80%. Inoltre, la trasmissibilità negli allevamenti è veloce e c’è un’alta velocità di contaminazione”.
Se la malattia entrasse negli allevamenti, avverte, “potrebbe scomparire un intero comparto: l’80% degli animali infatti morirebbe e quelli in vita verrebbero comunque abbattuti. Il pericolo è vedere un intero circuito scomparite”. Per questo secondo la Coldiretti, è necessario intervenire semplificando le procedure per l’adozione dei piani di abbattimento approvati dalle regioni e il rafforzamento delle competenze dell’ufficio commissariale. “Il rischio – fa sapere Coldiretti – è che l’emergenza si allarghi e che siano dichiarate infette le aree ad elevata vocazione produttiva con il conseguente pregiudizio economico che potrebbe discendere per la filiera agroalimentare e l’occupazione in un settore strategico del made in ltaly”.
A circa un mese da quando è stato trovato il primo caso di cinghiale colpito dalla peste suina a Roma, i cinghiali infetti sono arrivati a 19, di cui 18 nell’area di Roma e uno nella provincia di Rieti. Sono 89 in Piemonte e 54 in Liguria. I casi positivi, verificati dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, riguardano complessivamente 32 Comuni nelle due regioni: Campo Ligure e Rossiglione, entrambi in provincia di Genova, ne hanno avuti 13, Arquata Scrivia (Alessandria) 11. .