“Se la struttura invisibile deve essere composta da soggetti la cui appartenenza alla ‘ndranghetasconosciuta a coloro che compongono la struttura visibile ed operativa del sodalizio criminale, onde evitare che i componenti della struttura invisibile possano essere indicati quali appartenenti al sodalizio criminale da eventuali collaboratori di giustizia, appare illogico sostenere che Giorgio De Stefano potesse contemporaneamente far parte sia della struttura invisibile, sia della struttura visibile ed operativa in qualità, peraltro, di capo della cosca De Stefano”. È uno dei passaggi più duri che la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha inserito nelle motivazioni della sentenza “Gotha”, con cui ha annullato le nove condanne decise, nel processo celebrato con il rito abbreviato, davanti alla Corte d’Appello di Reggio Calabria.

L’annullamento più eclatante è senza dubbio quello della pena all’avvocato Giorgio De Stefano, condannato in secondo grado a 15 anni e quattro mesi di carcere perché ritenuto dalla Direzione distrettuale antimafia una delle due teste pensanti della ‘ndrangheta reggina. Una decisione illegittima secondo i giudici di Cassazione, che con la sentenza del 10 marzo scorso hanno annullato senza rinvio la condanna relativa a tutti i fatti avvenuti fino al 2005. Per quanto riguarda invece le condotte successive, la sentenza nei confronti di De Stefano è stata annullata rinviando il processo alla Corte d’Appello reggina per un nuovo giudizio di secondo grado.

Nelle motivazioni si legge: “Essendo il De Stefano stato già condannato con la sentenza “Olimpia” per il reato di concorso esterno nell’associazione per delinquere denominata ‘ndrangheta sino al 1991 (e tale condanna implica necessariamente la sua estraneità alla associazione criminale in detto periodo) ed essendo egli stato anche giudicato nel processo “Caso Reggio“, per il contributo da lui offerto all’associazione ‘ndrangheta fino al 2005, la sentenza impugnata in questa sede deve, in relazione alla condotta contestata sino a tale anno compreso, essere annullata senza rinvio non potendo procedersi per ostacolo derivante da precedente giudicato”.

Stando all’impianto accusatorio, assieme a Paolo Romeo – imputato con il rito ordinario e condannato in primo grado a 25 anni di carcere – De Stefano era il “motore immobile del sistema criminale”. Entrambi erano stati descritti come “soggetti “cerniera” in grado di interagire tra l’ambito “visibile” e quello “occulto” dell’organizzazione”. Anche su questo punto però la Cassazione è stata tranciante. In merito alla cosiddetta “associazione segreta”, infatti, la Suprema Corte sostiene che con la sentenza di secondo grado non si chiarisce “in cosa si sarebbe concretamente sostanziato il contributo arrecato dal De Stefano quale componente della struttura invisibile della ‘ndrangheta unitaria. Per affermare la sussistenza della componente occulta della ‘ndrangheta i giudici di appello si sono basati anche su collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni risalgono ad un periodo anteriore al 2006”.

Per la Cassazione, in sostanza, i giudici della Corte d’Appello hanno sbagliato a considerare De Stefano “colpevole anche per il periodo successivo al 2005 sulla base di condotte che si assumono rivelatrici della sua appartenenza alla componente segreta e che, tuttavia, essendo collocate nel periodo coperto da giudicato, non possono essere valutate a tale scopo”. In merito a una conversazione in cui Giorgio De Stefano e Paolo Romeo parlavano delle elezioni regionali del 2010, inoltre, la Cassazione scrive che “non si fa alcun accenno all’utilizzo di metodi mafiosi per influire sul voto o ad un intervento della ‘ndrangheta nella competizione elettorale”. “Il voler ravvisare in tale conversazione – si legge – una elaborazione della strategia della ‘ndrangheta unitaria per influire sulla competizione elettorale regionale appare un’evidente forzatura logica”.

Il processo “Gotha” è quindi da rifare, quantomeno il troncone che si è celebrato con il rito abbreviato. Il maxi procedimento della Dda era nato dalla riunione delle inchieste “Mamma Santissima”, “Reghion”, “Fata Morgana” e “Sistema Reggio” nell’ambito delle quali i carabinieri del Ros, la guardia di Finanza e la polizia avevano acceso un faro su quello che la pm considerano il “direttorio” della ‘ndrangheta, una struttura con una strategia programmatica che puntava ad alterare “l’equilibrio degli organi costituzionali”. Ora il processo torna in appello e l’impianto accusatorio dovrà fare i conti con la sentenza della Cassazione.

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