Quella di mercoledì, nell’aula del Parlamento europeo di Strasburgo, è stata una giornata calda, fatto inusuale se lo si compara alle condizioni meteorologiche – ancora fresche da queste parti – o alle tranquille consuetudini dei lavori parlamentari europei. Il clima si è riscaldato intorno al pacchetto Fit for 55, con un crescendo di tensioni che sono sfociate nel rinvio dei voti e accuse reciproche che sono volate tra una parte e l’altra dell’aula.
In buona sostanza, al primo esame concreto e con un pacchetto legislativo di fondamentale importanza per il Green Deal da votare, sono riemersi tutti i problemi e le contraddizioni di quella famosa maggioranza “Ursula” che, di fatto, non esiste più.
Riavvolgiamo il nastro della giornata di ieri per spiegare cosa è successo: a Strasburgo ieri era prevista una lunga giornata di votazioni, divise in due sessioni, che doveva dare il via libera ad una parte del pacchetto Fit for 55, il quale includeva le prime importanti riforme riguardanti il Green Deal europeo, sul quale si poggia la fiducia alla commissione di Von der Leyen.
Una volta arrivato il momento di mettere nero su bianco le regole e i costi per tagliare le emissioni del 55% entro il 2030, il pacchetto “Fit for 55” – presentato dalla Commissione – si è frantumato. Il punto di non ritorno è stato raggiunto poco prima delle 13.30, durante la prima sessione di voto, per la riforma del sistema dello scambio di emissioni (ETS), uno dei dossier più importanti del pacchetto, il quale dovrebbe ricalibrare la legislazione comunitaria del “Green Deal” sul clima, verso il nuovo obiettivo della riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030.
Dal PPE (Partito Popolare Europeo), il partito della Von Der Leyen e di Forza Italia, arriva un emendamento che prevedeva di rinviare al 2034, l’eliminazione totale dei permessi di emissione gratuiti distribuiti all’industria ad alto consumo di energia, cioè, quattro anni più tardi di quanto aveva chiesto la commissione ambiente dell’Europarlamento e due anni più tardi rispetto ad un compromesso proposto da Renew. Insomma, un gioco al ribasso sugli obiettivi climatici a favore delle lobbies industriali per continuare ad inquinare, che il PPE ha fatto passare, facendo leva sul voto dell’estrema destra e dei conservatori, dove siedono la Lega e Fratelli d’Italia – gruppi da sempre in prima linea contro il progresso, l’ambiente e la salute dei cittadini.
L’emendamento passa e il doppio gioco del PPE sembra inizialmente riuscito. Il giochetto dei popolari prevede l’appoggio dei conservatori e dell’estrema destra per annacquare al massimo il senso del testo (le destre avrebbero votato contro tutto a prescindere) e l’emendamento in questione passa con 20 di voti di scarto (322 a favore, 302 contrari, 19 astenuti). A favore, oltre a tutto il Ppe e le destre, votano anche 19 socialisti (tra cui l’italiano De Castro), 20 liberali tra cui il solito immancabile Calenda, e alcuni deputati del M5s, penso più per motivi di confusione che altro. Il piano del PPE, una volta annacquato il testo con le destre anti-europeiste, è di farlo passare nella versione finale modificata insieme alla maggioranza europeista, la cosiddetta maggioranza Ursula (con liberali e socialisti).
Il passaggio di questo emendamento diventa però la linea rossa che smaschera il giochetto del PPE.
Il rischio che questo emendamento desse origine ad uno snaturamento della riforma del sistema ETS, consegnandola nelle mani delle lobby industriali che vogliono frenare il Green Deal, ha scatenato tra i banchi del Parlamento sdegno e un improvviso cambio di strategia non solo tra noi ambientalisti, che una volta visto annacquato il testo ci siamo schierati prontamente contro, ma anche i socialisti, che attraversando momenti di grande confusione in aula (la Presidente dei Socialdemocratici ha chiesto una interruzione dei voti per confrontarsi velocemente con le delegazioni nazionali del suo gruppo) hanno deciso di votare contro al testo annacquato. Dall’altra parte coloro che avevano aiutato PPE e liberali ad indebolire il provvedimento, ossia la destra estrema sovranista e quella conservatrice, votava contro il testo indebolito perché per loro ancora troppo progressista.
Con soli 265 voti a favore (sostanzialmente tutto il Ppe e tutto Renew, con in più 16 socialisti, italiani in gran parte) e ben 340 voti contrari (Sinistra, Verdi e socialisti e democratici, più le destre), il testo è stato bocciato. Gli astenuti sono stati 34, tra cui la maggioranza degli eurodeputati del Pd. Una spaccatura tra voti contro, a favore e astensioni che ha mostrato (nonostante le poche attenzioni della stampa nostrana) la confusione che regna sovrana in quel partito, ma anche le differenze di veduta tra il segretario del Pd Enrico Letta, grande sostenitore, almeno a parole, del Green Deal, e i suoi rappresentati a Bruxelles.
Una bocciatura che ha scatenato reazioni a catena con scambio di accuse reciproche. Tra gli italiani si è distinto il solito immancabile Calenda, che dopo i successi comunali a Roma, aver lasciato il Pd e il gruppo socialista per raggiungere Italia Viva e macroniani tra i liberali di Renew, si è schierato con il PPE e le destre estreme parlando di tecnologia neutrale e pragmatismo, quel pragmatismo inquinante e tossico che va avanti da decenni e di cui il Paese, il Continente e il Pianeta sentono ovviamente ancora uno sfrenato bisogno.
La soluzione transitoria che ha messo d’accordo e rimesso insieme la “maggioranza Ursula” (Ppe, S&D e Renew), è stata quella di chiedere all’aula il rinvio in commissione Ambiente del testo legislativo bocciato. Il testo ritornerà in commissione a Bruxelles il 22 giugno e si riproverà a farlo votare in plenaria già a luglio o al massimo a settembre. Purtroppo il voto negativo ha causato una reazione a catena su altri file del pacchetto fit for 55. Gli altri due testi del pacchetto che dovevano essere votati, ma che sono intimamente legati al testo bocciato – il nuovo Fondo sociale per il clima e i futuri “dazi climatici” (la carbon tax alle frontiere), sono stati rinviati nelle commissioni europarlamentari competenti per aspettare l’esito della nuova discussione sulla riforma dell’Ets.
C’è una buona notizia però. Altro voto importante, sia per gli equilibri parlamentari che per l’ambiente, è stato quello che ha sancito la fine della vendita di auto nuove con motore a combustione diesel e benzina nel 2035. Noi Greens, con i socialisti e i liberali abbiamo mandato sotto il Partito Popolare Europeo, che ancora una volta si era schierano con l’estrema destra per ritardare e far fallire il provvedimento.
Insomma, una giornata intensa che ha messo in discussione sia le maggioranze che il predominio del PPE sull’Eurocamera. Una brutta giornata per i popolari, che con questo voto hanno mostrato il loro vero volto da doppiogiochisti, mettendo a repentaglio la credibilità dell’azione della Commissione Europea e della sua presidente Von Der Leyen, già in difficoltà per il passo avanti non concordato sull’elargizione dei fondi del RRF alla Polonia, nonostante le problematiche enormi legate allo Stato di diritto.
A luglio oltre al probabile ritorno del pacchetto for for 55, arriverà nella plenaria di Strasburgo anche il testo sulla tassonomia, con la Von Der Leyen e soci che malgrado le evidenze scientifiche, hanno voluto ricomprendervi sia il gas che il nucleare. Sarà interessante capire cosa succederà allora, se i socialisti faranno i progressisti e si schiereranno con noi a protezione di ambiente e cittadini, o se il PPE avrà nel frattempo trovato un modo per riassicurarsi una maggioranza favorevole a certe lobbies, ma contraria al futuro degli europei.