“A volte portare qualche merletto della nonna va bene, ma a volte. È per fare un omaggio alla nonna, no?”. Papa Francesco non ha usato giri di parole per bollare come anacronistici e contrari alla riforma liturgica del Concilio Ecumenico Vaticano II i camici con i merletti e le “bonete”, ovvero le berrette. Bergoglio ne ha parlato con i vescovi e i preti siciliani arrivati a Roma in pellegrinaggio: “Non vorrei finire senza parlare di una cosa che mi preoccupa, mi preoccupa abbastanza. Mi domando: la riforma che il Concilio ha avviato, come va, fra voi? La pietà popolare è una grande ricchezza e dobbiamo custodirla, accompagnarla affinché non si perda. Anche educarla. Su questo leggete il numero 48 della Evangelii nuntiandi che ha piena attualità, quello che san Paolo VI ci diceva sulla pietà popolare: liberarla da ogni gesto superstizioso e prendere la sostanza che ha dentro”.
“Ma la liturgia, – ha domandato il Papa – come va? E lì io non so, perché non vado a messa in Sicilia e non so come predicano i preti siciliani, se predicano come è stato suggerito nella Evangelii gaudium (il documento programmatico del pontificato di Francesco in cui spiega ampiamente come fare l’omelia, ndr) o se predicano in modo tale che la gente esce a fare una sigaretta e poi torna… Quelle prediche in cui si parla di tutto e di niente. Tenete conto che dopo otto minuti l’attenzione cala, e la gente vuole sostanza. Un pensiero, un sentimento e un’immagine, e quello se lo porta per tutta la settimana. Ma come celebrano? Io non vado a messa lì, ma ho visto delle fotografie. Parlo chiaro. Ma carissimi, ancora i merletti, le bonete…, ma dove siamo? Sessant’anni dopo il Concilio! Un po’ di aggiornamento anche nell’arte liturgica, nella ‘moda’ liturgica! Sì, a volte portare qualche merletto della nonna va, ma a volte. È per fare un omaggio alla nonna, no? Avete capito tutto, no?, avete capito. È bello fare omaggio alla nonna, ma è meglio celebrare la madre, la santa madre Chiesa, e come la madre Chiesa vuole essere celebrata. E che la insularità non impedisca la vera riforma liturgica che il Concilio ha mandato avanti. E non rimanere quietisti”.
Parole in linea con quanto deciso recentemente dall’arcivescovo di Catania, monsignor Luigi Renna, che ha bandito pianete, camici con merletti e imposto al suo clero di non indossare la talare fuori dalle chiese. Precedentemente, nell’omelia di una messa celebrata nella cappella della sua residenza, Casa Santa Marta, Francesco aveva raccontato un aneddoto molto eloquente: “Su rigidità e mondanità, è successo tempo fa che è venuto da me un anziano monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato di Gesù e mi ha raccontato che era andato all’Euroclero (negozio di abiti ecclesiastici, ndr) a comprarsi un paio di camicie e ha visto davanti allo specchio un ragazzo, lui pensa non avesse più di 25 anni, o prete giovane o che stava per diventare prete, davanti allo specchio, con un mantello, grande, largo, col velluto, la catena d’argento e si guardava. E poi ha preso il ‘saturno’ (cappello per ecclesiastici, ndr), l’ha messo e si guardava. Un rigido mondano. E quel sacerdote, è saggio quel monsignore, molto saggio, è riuscito a superare il dolore, con una battuta di sano umorismo e ha aggiunto: ‘E poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle donne!’. Così – aveva concluso Bergoglio – che il mestiere che fa il sacerdote quando diventa funzionario finisce nel ridicolo, sempre”.
Al clero siciliano, il Papa ha ricordato “che il prete è uomo del dono, del dono di sé, ogni giorno, senza ferie e senza sosta. Perché la nostra, cari sacerdoti, non è una professione ma una donazione; non un mestiere, che può servire pure per fare carriera, ma una missione. E per favore, state attenti al carrierismo: è una strada sbagliata che alla fine delude, alla fine delude. E ti lascia solo, perduto”. E ha aggiunto: “Un’altra cosa… Questo non lo dico solo per la Sicilia, questo è universale: una delle cose che più distruggono la vita ecclesiale, sia la diocesi sia la parrocchia, è il chiacchiericcio, il chiacchiericcio che va insieme all’ambizione. Noi non riusciamo a mandare via il chiacchiericcio. Anche dopo una riunione: Ciao, ci salutiamo, e incomincia: ‘Hai visto cosa ha detto quello, quell’altro, quell’altro…’. Il chiacchiericcio è una peste che distrugge la Chiesa, distrugge le comunità, distrugge l’appartenenza, distrugge la personalità”. Concludendo: “Scusatemi se predico queste cose che sembrano da prima comunione, ma sono cose essenziali: non dimenticatele”.
Twitter: @FrancescoGrana