Roberto Rosso, ex assessore regionale del Piemonte per Fratelli d’Italia, è stato condannato a 5 anni per voto di scambio politico-mafioso. Lo ha stabilito il collegio del Tribunale di Asti presieduto dal giudice Alberto Giannone al termine del processo “Carminius-Fenice”, svolto con rito ordinario. Il procedimento, nato da un’inchiesta della Guardia di finanza, ruotava intorno a un’organizzazione criminale legata alla ‘ndrangheta, più precisamente alla cosca Bonavota di Vibo Valentia, insediata nell’area di Carmagnola, a cavallo tra le province di Torino, Asti e Cuneo. Durante il proseguo delle indagini, coordinate dai sostituti procuratore Monica Abbatecola e Paolo Toso della Direzione distrettuale antimafia di Torino, erano emersi i contatti tra due uomini ritenuti ‘ndranghetisti, Onofrio Garcea e Francesco Viterbo, e Rosso, a lungo uno degli uomini più importanti di Forza Italia in Piemonte, nel cui curriculum compaiono anche esperienze da deputato e da sottosegretario nei governi Berlusconi.
I tre erano entrati in contatto nel corso della campagna elettorale delle Regionali 2019, quelle che hanno portato all’elezione di Alberto Cirio alla presidenza del Piemonte. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori sulla base delle intercettazioni, Rosso aveva promesso 15mila euro a Garcea e Viterbo (a fronte di una loro richiesta di 50mila euro) in cambio del loro impegno a racimolare voti. L’indagine ha appurato la consegna di una cifra inferiore, di circa 7.900 euro. “Son dei cacciapalle incredibili”, dice deluso al telefono il politico, ritenendo di non aver ricavato abbastanza voti. La procura ritiene che Rosso sapesse di avere a che fare con uomini della ‘ndrangheta perché nel 2012, insieme ad altri deputati, aveva sottoscritto un’interrogazione parlamentare chiedendo di far luce su una vicenda di mafia in cui era coinvolto proprio Onofrio Garcea quale uomo al vertice della locale di ‘ndrangheta a Genova.
Interrogato dai pm, Rosso ha affermato di non ricordare quell’atto parlamentare, mentre nel corso del processo, assistito dagli avvocati Giorgio Piazzese e Franco Coppi, ha tirato in ballo un disturbo mentale: “Sono affetto della sindrome bipolare e alterno momenti ‘up’ a quelli ‘down’ e nei momenti di euforia le campagne elettorali erano la mia droga. Durante l’interrogatorio ero uscito con una battuta infelice: ‘Sarò da perizia psichiatrica’, dissi. Grazie al percorso di psicoterapia che da quel momento il tribunale mi ha concesso di fare, ho capito che sono affetto da disturbo bipolare”.
“Di fronte all’ingordigia di voti, una persona che probabilmente avrebbe vinto comunque, si affida in modo del tutto irragionevole a due sconosciuti, due personaggi della criminalità organizzata calabrese ed è conscio che siano tali, proprio per aumentare il suo vantaggio elettorale”, ha spiegato nella requisitoria il pm Abbatecola, chiedendo una condanna a 11 anni. Oltre ai cinque anni di reclusione, Rosso dovrà risarcire Fratelli d’Italia per 75mila euro. Garcea e Viterbo avevano già ricevuto la loro condanna a 4 anni e 8 mesi e a 7 anni e 7 mesi per associazione mafiosa e voto di scambio politico-mafioso nel rito abbreviato.
Rosso non era stato l’unico politico sostenuto dai due: le indagini hanno fatto emergere il loro interessamento all’elezione di Domenico Garcea, fratello della compagna di Onofrio Garcea, diventato consigliere comunale di Forza Italia a Torino e per un breve periodo in predicato per presiedere la commissione legalità del Comune. Oltre a Rosso, sono stati condannati altri quindici imputati, tra cui spiccano i fratelli Francesco e Salvatore Arone, ritenuti gli esponenti principali di questa organizzazione ‘ndranghetistica in Piemonte: il primo ha ottenuto una pena di 18 anni e mezzo, il secondo di 17 anni e mezzo. Condannato a sette anni Mario Burlò, imprenditore accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, noto per aver sponsorizzato le squadre di basket di Sassari e Torino, ma anche il club calcistico della Torres. Assolto invece Antonino Buono, palermitano, ritenuto dal pentito Ignazio Zito un uomo della mafia siciliana in Piemonte: “La ‘ndrangheta e Cosa nostra hanno fatto un patto per lavorare senza darsi fastidio, anzi, in collaborazione”, aveva confessato.