Lo chiamano “l’anima nera dello zar”, ma anche “l’uomo più pericoloso della Russia”. Eppure Nikolai Platonovich Patrushev non ha un ruolo istituzionale a Mosca: è solo il segretario del Consiglio di Sicurezza della Federazione russa, un organo costituzionale che elabora le decisioni del presidente russo in materia di sicurezza nazionale e altre questioni di interesse strategico. Non è grazie a questa posizione che Patrushev è uno degli uomini più potenti della Russia: il Consiglio, anche se è composto dai massimi funzionari statali russi e dai capi delle agenzie di difesa e sicurezza, è poco più di un organo consultivo, il cui compito è di dire sì alla volontà del moderno autocrate, Vladimir Putin. Nikolai Platonovich non è l’ennesima comparsa dell’opera di Putin e non vive all’ombra del potere, ma – usando un termine un po’ teatrale – è l’autore delle “grandi tragedie” di cui Putin è attore protagonista e regista. Negli anni, si è ritagliato un ruolo di super consigliere per la sicurezza nazionale del presidente: in un Paese in cui ogni ministero e ogni potentato gestisce un servizio di intelligence che difende gelosamente il proprio compito e cerca di informare a modo suo l’autocrate, Patrushev si è ricavato una posizione privilegiata, il segretariato del Consiglio di Sicurezza appunto. Ha potuto godere di tanta autonomia anche grazie ai quasi quarant’anni passati a fianco di Putin stesso nel KGB prima e nell’FSB poi, fino a succedergli nel 1999, quando l’allora capo degli eredi di Beria, passò prima all’incarico di primo ministro e poi di presidente, sostituendo Boris Yeltsin.
Di lui ha scritto il noto analista britannico Mark Galeotti che “è stato per anni al centro di tutte le decisioni chiave in materia di sicurezza e si è dimostrato il più falco dei falchi, sinceramente convinto che Mosca debba affrontare una minaccia politica esistenziale da parte di un Occidente ostile impegnato in una guerra politica segreta a lungo termine contro la Russia”. E Patrushev ragiona solo in termini di guerra, come vedremo. Convinto che la rivoluzione Euromaidan del 2013-14 in Ucraina fosse poco più di un complotto ordito dalla CIA invece che una rivoluzione di popolo con milioni di cittadini nelle strade e acceso sostenitore dell’annessione della Crimea, qualcuno ha visto le sue mani dietro al fallito colpo di stato del 2016 in Montenegro, volto a cercare di impedirgli di aderire alla NATO, oltre che nelle persecuzioni contro il leader dell’opposizione Alexei Navalny, percepito come un “agente straniero”. Ora, sembra impegnato con fervore nella guerra in Ucraina e, come vedremo, pare dettare una nuova agenda politica dal sapore totalitario per la Russia dell’ultima parte dell’epoca di Putin o, molto più probabilmente, per la Russia di cui Patrushev stesso si immagina il nuovo zar o almeno il kingmaker.
A fine aprile aveva concesso un’intervista nella quale vaticinava lo smembramento dell’Ucraina e la fine degli europei a causa dei loro valori liberali in decadenza. Nei giorni scorsi ne ha rilasciata un’altra a un settimanale russo, AiF, che non ha avuto l’eco che meritava nei media occidentali, forse perché per quasi due terzi ha parlato di memoria storica e formazione, invece che di politica in senso stretto: dopo tutto, dato che l’intervista è stata concessa a un media che non ha visibilità internazionale, il suo obiettivo era interno alla Russia. Eppure, è proprio partendo da lì, dalla formazione di un “uomo nuovo patriottico” per le guerre della Russia di domani, che apprendiamo i piani per il presente e il futuro di quello che i media spesso chiamano “l’uomo che sussurra a Putin”.
Ogni parola che citeremo è strumentale alla guerra asimmetrica che la Russia sta combattendo con l’Ucraina e l’Occidente: dopo tutto, come sostenuto dallo stesso Mark Galeotti, per Patrushev “tutto è guerra. Non solo politica interna e relazioni estere, ma tutto”. Persino l’istruzione è vista come uno strumento di questa visione nazionale e bellicistica. Se chiudete gli occhi, potete immaginare gli stessi concetti e le medesime proposte come espressi nell’Italia fascista e nel Giappone militarista degli anni Venti e Trenta. Non che alle spalle Patrushev abbia un Paese preparato per la guerra: anzi, tutto il contrario. Egli non ignora certamente che i giovani russi non hanno fatto a gara ad arruolarsi, soprattutto nelle ricche e istruite città della Russia europea, né che si sono moltiplicati gli attentati incendiari contro i centri di reclutamento in tutto il Paese. La Russia non ha protestato in massa per i corpi dei soldati abbandonati in Ucraina né per il reclutamento di giovani male informati, solo perché atterrita dalla censura, ma – mi si passi il termine – borbotta senza farsi sentire, per adesso. Di conseguenza, per il super consigliere di Putin è adesso il momento giusto per indottrinare le nuove generazioni perché si preparino, a suo dire, a contrastare con successo “le minacce e le sfide che vengono dall’Occidente”.
Per questo, è urgente gettare una cappa d’ideologia nazionalista sulla Nazione ed evitare “l’interpretazione arbitraria da parte dei singoli insegnanti della storia mondiale e nazionale, che mina l’autorità del nostro paese”. A questo scopo, bisogna fare leva sui dirigenti delle istituzioni educative, come controllori dell’uniformità dell’insegnamento, ritenendoli “responsabili” se i giovani non vengono indottrinati sull’eroismo del popolo russo e sovietico durante le grandi guerre degli ultimi due secoli e se non facilitano “la rinascita delle tradizioni storiche, nonché la protezione dei tradizionali valori spirituali e morali russi”. Per raggiungere l’obiettivo “è necessario un approccio sistematico all’educazione. C’è bisogno di attuare il programma statale in questo campo in tutte le fasi della maturazione di una persona e della sua formazione come cittadino”. Se non è la visione di uno Stato etico… Patrushev non si limita a puntare la scuola: l’indottrinamento del futuro “patriota russo” richiede un forte investimento pubblico perché lo Stato crei “opere letterarie e d’arte, film e programmi televisivi volti a preservare la memoria storica, instillare orgoglio nel nostro Paese e formare una società civile matura, chiaramente consapevole della responsabilità del suo sviluppo e della sua prosperità”. Possiamo dire che la fuga di Netflix e Disney dal Paese non ha lasciato più spazio per Masha e Orso, ma per la propaganda del Cremlino e la criminalizzazione della cultura occidentale.
Alla base di questo approccio alla formazione e alla propaganda, che sarebbe piaciuto ai leader totalitari del XX secolo, si trova una fede incrollabile nell’uso degli apparati burocratici per finalità politiche, nella pianificazione dell’economia e nel controllo statale sulla società. Insomma, il “duro e puro” Patrushev si colloca nel solco di un ritorno all’epoca sovietica di un Paese da lui percepito come “sotto assedio”. Proprio così, dal suo punto di vista la Russia è una Nazione a cui gli angloamericani “continuano a dettare le loro condizioni”, di cui “calpestano rozzamente i diritti sovrani” e a cui vorrebbero far “piegare la schiena”. Eppure, a suo dire, da sempre la Russia è un apostolo della “conservazione degli altri Stati”. Insomma, come già nel saggio sull’unità di Russia e Ucraina di Putin un anno fa, anche qui compare la visione di una nazione russa perennemente vittima di aggressioni e inganni, dai quali sempre riemerge – da sola – come in un prevedibile “happy end” per tornare forte e sicura fino alla prossima disavventura. In tutto ciò, non compare un minimo di autocritica: se pensate che oggi in Russia sia possibile parlare delle pulizie etniche ai danni di Circassi, Ceceni, Turkmeni, Polacchi ecc. senza incorrere nella censura di Stato, vi sbagliate di grosso. Né vi danno l’Oscar russo se fate un film di revisionismo.
L’intervista di due settimane fa rappresenta anche un unicum, sotto molti punti di vista, perché fino ad oggi nessun leader mondiale di primo livello – e Patrushev lo è – si era spinto a sostenere apertamente che il coronavirus abbia una origine antropica. È Nikolai Platonovich e non un pensionato annoiato che naviga su Facebook ad affermare, infatti, che potrebbe essere stata creato proprio nei laboratori del Pentagono, ma non solo dai man in black dell’amministrazione americana, ma anche con l’assistenza delle immancabili grandi aziende farmaceutiche multinazionali e col coinvolgimento di personalità e fondazioni come Clinton, Rockefeller, Soros e -udite! Udite! – dello stesso Biden. Secondo l’ex capo dell’FSB, maestro della manipolazione, “invece di prendersi cura della salute dell’umanità, Washington spende miliardi nello studio di nuovi agenti patogeni”. Attenzione: non è né uno fuori di testa né un complottista fanatico, anzi è intelligente e metodico.
Quando attacca, lo fa per un obiettivo: vuol confermare ai Russi la loro superiorità morale e storica e nullificare le basi etiche dell’avversario. Hanno un sapore di nostalgia sovietica le affermazioni secondo l’unico scopo governi democratici è “aumentare il benessere di un pugno di magnati nella City di Londra e Wall Street”. Per Patrushev la guerra fredda non è mai davvero finita e i nemici sono sempre gli stessi: “i governi degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, controllati da grandi capitali” che deliberatamente, a suo dire, “stanno creando una crisi economica nel mondo, condannando milioni di persone in Africa, Asia e America Latina alla fame, limitando il loro accesso a grano, fertilizzanti e risorse energetiche. Con le loro azioni stanno provocando disoccupazione e una catastrofe migratoria in Europa”. È scaltro: mentre parla sa bene che in ognuna delle crisi elencate la Russia ha tirato il sasso e, almeno internamente, ha nascosto bene la mano. D’altronde, qui in occidente c’è la libertà di espressione, anche in contraddizione con le posizioni dei governi: in Russia, una legge prevede che chi scuote la testa davanti alle posizioni dell’autocrate diventi automaticamente un “traditore”.
Lascia un po’ perplessi l’affermazione secondo cui l’Occidente ha bisogno dell’Ucraina “per lo smaltimento di armi obsolete”, anche in considerazione dei vetusti T54 visti in queste settimane in mano alle forze russe. Curiosa è, poi, la previsione della sconfitta della Russia, contenuta implicitamente nella considerazione che “alimentando le ostilità, gli Stati Uniti pompano denaro nel loro complesso militare-industriale, ancora una volta, come nelle guerre del XX secolo, rimanendo dalla parte dei vincitori”. Tutto il pensiero di Nikolai Platonovich emana un alone mistico, rilevabile nell’auspicio che “se l’Ucraina fosse rimasta indipendente e non governata dall’attuale regime fantoccio, ossessionato dall’idea di entrare a far parte della NATO e dell’UE, allora avrebbe espulso da tempo tutti gli spiriti maligni nazisti dalla sua terra”. Non si sentono spesso politici di questo livello paragonare gli avversari a “spiriti maligni”.
Inquieta non poco, infine, che al centro dell’intervista abbia citato il generale Mikhail Skobelev, secondo il quale solo la Russia “può permettersi un tale lusso, cioè il combattere per senso di compassione”. In verità, l’alto ufficiale russo, autore di un orrendo massacro di civili turkmeni nel 1881, è più spesso ricordato per un’altra affermazione: “Ritengo come principio che la durata della pace sia direttamente proporzionale al massacro che infliggi al nemico. Più li colpisci, più a lungo rimangono quieti”. Lo scaltro Patrushev certamente la conosceva, ma ha voluto far dire al sanguinario generale solo quello che gli conveniva. Dopo tutto, quello che conta per lui è che “tutti gli obiettivi fissati dal Presidente della Russia saranno raggiunti”: dal suo punto di vista, non può essere altrimenti, poiché “la verità, anche storica, è sempre dalla parte della Russia”. Sì, siamo di fronte a un mistico della politica, quasi a un monaco guerriero, che non si è contaminato con la corruzione come gli altri “alti papaveri” del regime putiniano, ma proprio per questo sembra voler richiamare in vita il peggio dell’età sovietica -proselitismo, militarismo, politiche liberticide, deportazioni – senza alcuna traccia dell’idealismo che almeno permeava le azioni dei leader dell’URSS. Anche per questo possiamo ben definirlo l’uomo più pericoloso del mondo.