A pochi metri dalla Breitscheidplatz, un’auto in corsa ha travolto la folla uccidendo un’insegnante e ferendo delle persone, fra cui un gruppo di scolari dell’Assia in gita. Per l’attentato di Berlino è stato fermato un cittadino tedesco-armeno di 29 anni che vive nella capitale. Bild Tv ha aggiunto che l’uomo avrebbe precedenti penali per reati contro la proprietà e l’auto in questione apparterrebbe alla sorella. La ministra dell’Interno della città, Iris Spranger, ha twittato: “Quello che è accaduto a Berlino è stato dovuto al gesto commesso da una persona con problemi psichici”.
Nel marzo di quest’anno, in Belgio, un’auto in corsa si è lanciata sulla folla riunita per Carnevale e poi ha proseguito per la sua strada, facendo morti e feriti. Anche in quel caso le autorità hanno negato una motivazione terroristica, ma si sono soffermati sui disturbi degli aggressori. Quello che preoccupa maggiormente è il tentativo pericoloso di emulazione terroristica. Il timore è che si stia sviluppando una sorta di “terrorismo a chilometro zero” o fai da te. Sul web, infatti, la propaganda incontra il migliore tra i terreni fertili per lo sviluppo dell’emulazione.
Nella narrazione degli atti terroristici sarebbe opportuno utilizzare un linguaggio che presenti essenzialmente i fatti, quelli principali dell’accaduto, evitando l’incursione in sensazionalismi, facili e pericolose prede per i soggetti con disturbi psichici. Nel concreto, l’uso di vetture-ariete è stato negli anni scorsi un leitmotiv riconoscibile dei lupi solitari dell’Isis in Europa a partire dalla Promenade des Anglais di Nizza, passando per Berlino, Londra e Stoccolma. Dall’utilizzo dei camion fino ai Suv. Tutto ciò ha un nome ben preciso: vehicle ramming (speronamento/investimento veicolare) da cui “Vehicular Assault” e “Vehicular Terrorism” (attacco o terrorismo veicolare).
Uno dei primi casi di ramming nel Vecchio Continente è stato compiuto nel 1973 da Olga Hepnarova che travolse una fermata del tram di Praga con un camion: otto furono le vittime della sua follia criminale. Di recente con l’Isis si è cominciato a parlare anche di “car intifada”. Macchine o camion a tutta velocità vengono lanciati sui civili o sui soldati. La campagna più famosa è stata intitolata Daes, che si traduce con “investire“. Daes è anche un riferimento a Daesh, l’acronimo in arabo di Isis. Le campagne online sono cominciate con le vignette che istigavano i palestinesi a utilizzare i loro mezzi di trasporto per uccidere gli israeliani: una vignetta raffigura un bambino con in testa la fascia verde di Hamas e al volante di un’auto. Tutto ciò ha avuto una diffusione virale soprattutto sui social network con effetto emulativo.
Qualcosa che va oltre le tattiche utilizzate in passato come attentati dinamitardi suicidi, attentati a mezzi pubblici, rapimenti ed esecuzioni. Indipendentemente dal fatto che essi si riferiscano ad azioni legate al fenomeno del terrorismo o ad episodi isolati messi in atto da soggetti con patologia psichiatrica, nulla deve distoglierci dall’attenzione che ogni atto terroristico genera per sua natura una sorta di contagio dettato dall’emulazione. La carneficina diventa un modello da imitare e purtroppo come visto il fenomeno non è isolato e non è nuovo. In inglese si usa il termine copycat crime, cioè un crimine che appare influenzato da un altro, celebre crimine.
L’apprendimento di una subcultura criminale all’interno di un ambiente sociale, attraverso lo strumento della “comunicazione interattiva”, fu argomentazione elaborata dal criminologo Edwin Sutherland: il comportamento criminale viene appreso dall’interazione con altri (all’interno di gruppi, specifici ambienti o tra persone legate tra loro), mediante un processo di comunicazione. Le origini del gesto dell’attentatore di Berlino vanno ricercate nel web o nel carcere dove si costruiscono nuovi processi di socializzazione, all’interno dei quali l’individuo finisce per accogliere una sorta di nuovi valori. Infine il ruolo di “attivatore” giocato dagli eventi ad alta intensità come attentati di gruppi terroristici organizzati, che in relazione al numero di vittime provocato stimola soggetti autonomi ad agire con atti emulativi troppo spesso difficili da stroncare sul nascere.