Nella città dell'entroterra marchigiano il prossimo 12 giugno i cittadini avranno tre scelte, Silvia Luconi, candidata del centrodestra e già vice-sindaco dell'attuale amministrazione, Massimo D'Este, a capo di una coalizione di centrosinistra e il civico Mauro Sclavi. Come raccontano i cittadini, però, prevale un sentimento di sfiducia: "Domenica? Non andrò alle urne o al massimo farò scheda nulla"
“A votare non ci andrò perché la sfiducia è molta”. Elena vive a Tolentino, in provincia di Macerata. Come molti suoi concittadini, dopo le scosse telluriche che sconvolsero le Marche tra agosto e ottobre 2016, ha dovuto lasciare di corsa la sua abitazione, iniziando il calvario da terremotata. Prima un trasferimento sulla costa marchigiana, con viaggi di 120 chilometri ogni giorno per poter vivere la “normalità” della vita precedente. Poi l’attesa di una casa “di emergenza”, arrivata lo scorso anno, a cinque anni dal sisma, quando l’emergenza doveva essere finita già da un po’. Lei, come molti altri, domenica 12 giugno, alle prossime elezioni amministrative, non andrà a votare: “O al massimo farò scheda nulla”. La fiducia nelle istituzioni è venuta meno, tanto che Elena preferisce non apparire con nome e cognome e dare un nome di fantasia: domina il terrore di “ritorsioni” per la casa faticosamente conquistata e per quell’assaggio di quotidianità che è tornata a vivere dopo anni difficili.
Tolentino, infatti, è l’unico paese di tutto il cratere del sisma del centro Italia ad aver scelto di non installare le cosiddette Sae, soluzioni abitative d’emergenza, casette in legno che di certo hanno fatto discutere ma che, almeno Elena, avrebbe preferito per poter restare in città senza essere sballottata da una casa all’altra, in affitto. “Oggi dico che abbiamo una casa ma in che condizioni? Noi paghiamo sostanzialmente un affitto, sono cifre importanti. In 70mq io pago 1600 euro di condominio all’anno, non ci avevano detto che avremmo avuto un condominio da pagare a cifre così alte”, spiega al Fatto.it. Al posto delle Sae, infatti, l’amministrazione guidata dal sindaco uscente, Giuseppe Pezzanesi, a capo di una colazione di centrodestra, ha scelto di costruire delle case in cemento che una volta terminata la ricostruzione rimarrebbero come alloggi popolari per la popolazione indigente, e di installare alcuni container, vista anche la difficoltà a trovare un affitto all’interno del centro abitato. “Scatole” che in questi anni sono state additate dai comitati nati dopo il sisma come “ghetto”, dove non esiste privacy e i bagni sono in comune. Prima della realizzazione delle abitazioni, promesse per il 2018 ma consegnate alcune tra il 2021 e il 2022 altre ancora da consegnare, chi ha fatto richiesta dell’alloggio ha dovuto o arrangiarsi con il Cas, il contributo di autonoma sistemazione, affrontando i prezzi speculatori degli affitti, oppure vivere nell’area container. Proprio questi ritardi, oggi, hanno fatto perdere fiducia ai cittadini in vista del voto.
Una scelta che oggi, però, la vice di Pezzanesi e candidata di centrodestra alle prossime amministrative, Silvia Luconi, rivendica con forza, ma che gli avversari, il candidato di centrosinistra Massimo D’Este e il civico Mauro Sclavi, pensano sia stata superata dai fatti. Oltre a una realizzazione a rilento di questi alloggi di edilizia pubblica considerati ancora emergenziali, nonostante siano passati già sei anni dalle scosse, Elena ci racconta di un’altra paura che la spinge all’astensionismo. “Quando ci hanno parlato di costruzioni di pietra al posto delle casette di legno ci hanno fatto capire che le Sae, prima o poi, andavano tolte – racconta al Fatto.it – Lui (Pezzanesi, in carica per due mandati consecutivi dal 2012, ndr) ha fatto molta pubblicità dicendoci che avremmo avuto ‘una casa per sempre’, ma quel sempre non c’è. Ogni giorno ci svegliamo con la domanda: ‘Fino a quando rimarremo?‘”. Essendo abitazioni emergenziali, infatti, la logica vuole che, una volta ricostruite le case andate distrutte con il sisma, questi alloggi restino come popolari. Ma di fatto, secondo Elena, è già così: “Conosco persone, terremotati, che hanno fatto richiesta di alloggio, ma le case sono state assegnate prima a persone che non hanno subito il sisma, ma hanno problemi economici”.
A pesare nel segreto dell’urna saranno anche le scelte fatte sull’area container, un agglomerato di “scatole” di alluminio dove tutt’oggi vivono alcuni terremotati ma che per lo più è abitato da “una fascia della comunità che si trova in situazioni veramente difficili”, ci spiega la candidata Luconi. “Nessuno è stato ‘deportato’ nell’area container – dice ancora – C’è stata una fascia di popolazione che già prima del terremoto si trovava in situazioni particolari e diciamo posticce, che non aveva la possibilità di scegliere una seconda casa perché già si trovavano in affitto. Erano senza fissa dimora in buona sostanza e si sono sistemati nell’area container, in attesa di prendere l’appartamento”.
Almeno fino a ottobre, però, nei container potrebbero finirci anche terremotati che finora non hanno mai vissuto lì ma che temporaneamente devono uscire dalle loro abitazioni per la ricostruzione post sisma. A deciderlo è una delibera di giunta datata 15 aprile che ha fatto parecchio discutere. Sì perché per poter usufruire dei container – che hanno bagni in comune, nessuna privacy e sala mensa – il comune ha chiesto di pagare un affitto con prezzi non proprio in linea con quelli marchigiani: 620 per una stanza singola e 1240 euro per una doppia “in vigenza di protocolli Covid”, oppure 483 euro per una singola e 966 per una doppia, “in caso di riduzione dei protocolli Covid”. Le cifre che la giunta ha giudicato “necessarie” per far fronte alle spese vive richieste dall’area container a carico dell’amministrazione, sono state ampiamente contestate in campagna elettorale. “Noi volevamo chiudere l’area, ma poi alcuni cittadini ci hanno chiesto di poterla usare e abbiamo deciso di non gravare sulla comunità – spiega al Fatto.it la candidata di centrodestra, vicesindaca nell’attuale amministrazione – Chi va lì deve portarsi solo i vestiti e non paga nient’altro. Si desume che quella cifra chiesta è pari alle spese vive che il Comune sostiene”. “Se avessimo avuto le Sae avremmo avuto la possibilità di offrire anche a pagamento una situazione dignitosa – commenta invece il candidato di centrosinistra, Massimo D’Este – Non c’è spazio per la privacy, servizi igienici in comunione, le stanze sono mega stanzoni. Legalmente non si può fare neanche il caffè. Proporre questo tipo di soluzione a quelle cifre la trovo una grossa forma di inciviltà. Penso che i cittadini non abbiano chiesto specificatamente i container ma soluzioni”.
“Vedremo se le scelte dell’amministrazione premieranno o no. Il voto del 12 è la prova del nove”. Ne è convinto il candidato Sclavi, a capo di una coalizione che riunisce tre liste: Tolentino Civica e Solidale, Tolentino Popolare e Riformisti Tolentino. “Noi avevamo una strada tracciata dallo Stato e dalla Protezione civile con appalti nazionali con una metodologia di costruzione delle casette che in una zona medio temperata sono andate molto bene. Per esempio all’Aquila non vogliono uscire dalle casette. A San Severino dove hanno fatto una scelta oculata, hanno messo i nuclei familiari che risiedevano in un plesso vicini, hanno dato la possibilità di avere le stesse situazioni vicinali – ci spiega Sclavi raggiunto al telefono – La scelta che ha fatto Pezzanesi, invece, è stata quella di un percorso inesplorato. Ha rifiutato le casette ha scelto di mettere persone nei container come situazione emergenziale costruendo case in cemento. Può sembrare una scelta lungimirante, ma a sei anni dall’evento abbiamo persone che stanno ancora nei container e in più abbiamo perso 2000 abitanti a Tolentino. Ai posteri l’ardua sentenza”. Da amministratore, dice, avrebbe preso decisioni diverse, “condividendo con la popolazione le scelte e dando un cronoprogramma”. Per non parlare degli affitti, fa notare Sclavi. “Nessuno li ha controllati e si è avuta in questi anni una perdita della legalità a 360 gradi. Dovevamo fare gli affitti concordati o in cedolare e così si poteva avere il Cas (contributo di autonoma sistemazione) in base alla richiesta di affitto. Qui invece si è avuto un supermercato per imprenditori e gli unici che ci hanno rimesso sono stati i terremotati”. Il riferimento è al prezzo degli affitti che, oltre a diventare praticamente introvabili a Tolentino, sono anche lievitati senza tener conto del reale contributo che il terremotato prende. Legge della domanda e dell’offerta che però, secondo il civico, andava regolamentata.
Secondo D’Este, candidato sostenuto da Partito democratico e da altre tre liste, Dipende da Noi, Civico 22 e Tolentino Rinasce (all’interno della quale sono troviamo alcuni nomi del Movimento 5 stelle locale che non corre con una sua lista), “la bolla speculativa” sta rallentando la ricostruzione. Ma di sicuro c’è che “l’area container è un bruttissimo biglietto da visita rispetto alla nostra appartenenza al senso civile e rispetto a una collettività che avrebbe meritato un’altra sistemazione”. “Avrei capito la strategia se le case fossero state consegnate in tempo – continua – Purtroppo però i progetti rimangono su carta. E la cosa grave è che parliamo di persone”.
Rivendicando le scelte dell’amministrazione di cui fa parte, invece, Luconi evidenzia: “Tolentino è un comune punto di riferimento per la gestione post sisma, con scelte diverse dagli altri. Ha preso una decisione importante di non volere le casette, che non rinnego, di risparmiare denaro pubblico e non deturpare l’ambiente con situazione posticce. Alla fine dell’emergenza daremo alla comunità delle case vere e oggi riusciamo a fare una dignità diversa ai terremotati”.
La situazione di sfiducia verso le istituzioni percepita tra chi ha subito il sisma, secondo la vicesindaca dipende dalla “ricostruzione” partita di fatto “solo lo scorso anno” con il nuovo commissario Giovanni Legnini. “È diventato un argomento di caccia politica – ci dice ancora – ed è stato usato anche da persone che probabilmente non conoscevano bene il sisma”. Al di là delle battaglie e della “caccia politica” che, inevitabilmente, arriva da tutte le coalizioni però, resta la sfiducia. “Tutti hanno marciato sul terremoto. Ho smesso anche di chiedermi cosa ci sia dietro”, continua Elena. Che ribadisce: “Nessuno di loro (i politici ndr) merita il mio appoggio. In questo tempo, il tempo in cui sono stata fuori casa, in 47 mq, in cui arrivavano bollette megagalattiche, io non sono potuta andare da nessuno e nessuno è venuto a chiedermi ‘come stai’, ‘di cosa hai bisogno’. Oggi però vengono a fare campagna elettorale”.