Roberto Ceravolo è ingegnere gestionale e ha 35 anni. Ha vissuto a Baltimora, New York e Charleston: "Ora però non voglio stare a più di due ore di volo dalla mia Pizzo. La mia esperienza Usa è stata una sfida professionale e umana”
“Sono andato via dall’Italia nell’agosto del 2016. Accettavo un’opportunità di tre mesi a New York. Volevo uscire dalla comfort zone europea. Era una sfida, volevo crescere”. Ingegnere, 35 anni, Roberto Ceravolo è originario della Calabria. Gli Usa per lui sono diventati una seconda casa: “Si lavora meno e meglio”, sorride. Da due anni è tornato a Pizzo di Calabria, dove lavora in smart working per la sua azienda.
Laurea triennale in Ingegneria Gestionale nel 2011, laurea magistrale, sempre in ingegneria, nel 2015, Roberto ha iniziato subito a lavorare in una grande azienda automobilistica italiana. Poi, la decisione di accettare un’offerta di lavoro arrivata dagli Stati Uniti. “Dovevo restare tre mesi, sono rimasto tre anni”, ricorda. Il giorno della partenza c’era “eccitazione, i soliti problemi con i visti, la paura e la voglia di tentare un lavoro fuori dall’Europa: c’era davanti a me uno Stato con tutte le sue complessità, dalla salute alla sicurezza. È stata una sfida professionale e umana”.
Roberto ha vissuta tra Baltimora, New York e Charleston. “Gli Usa sono un posto dove mi sono sentito a casa, a mio avviso la diversità è considerata una ricchezza e New York è quasi come se fosse la capitale del mondo”, dice al fatto.it. Sveglia la mattina presto, metro da Brooklyn a Manhattan, in ufficio fino alle 18: “Molti colleghi erano expat e di solito si andava a prendere una birra prima di tornare a casa”. Nei week end si viveva la città, tra eventi culturali, concerti, musei, teatri. “Ci sono talmente tante cose da fare o da vedere che tre anni non bastano”.
Le differenze tra i due Paesi rispetto al mondo del lavoro sono sostanziali. “A New York si hanno molte più opportunità, è vero, ma solo se si è cittadini americani o si è in possesso della green card con il visto permanente”, spiega Roberto. Negli Usa, “secondo la mia esperienza”, si lavora “meno e meglio, soprattutto in team. In America se lavori fino a tardi “sei considerato inefficiente”, sorride. Gli italiani, secondo Roberto, vengono accolti e trattati con molto rispetto dalle aziende americane, grazie al grande bagaglio culturale che portano. Gli manca l’atmosfera “quella che solo gli Stati Uniti sanno regalare: è come vivere costantemente all’interno di un film”. Un esempio è Baltimora “lì si respirava la vera America”, a New York Roberto ha trovato una comunità di studenti e ricercatori internazionali, mentre Charleston gli ha ricordato il “Sud Italia”.
Per Roberto, però, l’Italia rimane il Paese più bello al mondo: “Il mio rapporto con il Paese d’origine è meraviglioso, nonostante tutti i suoi difetti. Adoro la mia cittadina”. Nel 2018, dopo la morte di un caro parente cui era molto legato, Roberto ha deciso di tornare. “Da allora i miei valori sono cambiati. Preferisco stare a massimo 2 ore di volo dalla mia Pizzo. Avrei vissuto altri 5 o 6 anni negli Usa senza questo aspetto. Anche se a lungo andare penso che l’Italia dal punto di vista lavorativo sia migliore”. Dal 2019, così, Roberto ha accettato un’offerta da un’azienda italiana, dove oggi ricopre il ruolo di strategic commercial manager: “Mi occupo di piani marketing e commerciali”, spiega. Roberto è rientrato sfruttando anche la misura del governo che agevola il rientro dei ‘Cervelli in fuga’ e garantisce un miglior trattamento economico.
Oggi lavora tra Milano e Pizzo di Calabria, in smart working all’80% (ottenendo, tra l’altro, una promozione), perché i risultati “ci sono anche se si lavora a distanza”, aggiunge. Molti suoi colleghi, invece, si stanno “rassegnando a tornare in sede”. Per Roberto l’ufficio è invece “solo un posto dove si va a fare team building, quando ci si deve necessariamente confrontarsi con gli altri. Se si lavora per obiettivi e si hanno gli strumenti giusti si può lavorare ovunque”, spiega. Futuro? Continuando lo smart working a Pizzo, oppure spostandosi in un’altra città italiana, Roma, o Napoli. O magari nel lungo termine aprire una propria azienda. Tornare negli Stati Uniti è un’opzione, certo, ma solo per un periodo di tempo limitato. Non per tutta la vita. “Il mio futuro è meravigliosamente incerto? Non ho mai avuto certezze nella mia vita – conclude – e a volte va bene così”.