di Stefania Rotondo
Lo psicologo Rosenberg sosteneva che “le parole sono finestre, oppure muri”. E quando Churchill disse “gli imperi del futuro sono della mente e attraverso le parole si otterranno guadagni migliori che portando via le terre agli altri popoli”, sapeva quanto le parole fossero importanti. Esse hanno un peso nella vita come in geopolitica. Accarezzano, ma anche umiliano. Ma spesso la loro teatralità supplisce a una carenza di fondo: l’incapacità del dialogo. “Il destino del mondo dipende dai suoi statisti, e da coloro che ne sanno interpretare i cambiamenti”: queste le prime parole pronunciate da Trygve Halvdan Lie, primo segretario delle Nazioni Unite (1945). “Lo scopo della Nato è tenere dentro gli americani, fuori i russi e sotto i tedeschi“: queste, invece, quelle di Hastings Lionel Ismay, primo segretario generale della Nato (1949). Parole che daranno il peso specifico dell’una e dell’altra istituzione.
L’Onu e la Nato avevano in comune un obiettivo: il controllo del futuro assetto e ordine del mondo liberato. Ma mentre l’Onu si impegnò ad assicurare nell’Europa libera e unita, aperte le ‘finestre’ della pace, della democrazia e dei diritti dell’uomo, la Nato, ‘creatura’ della svendita a Yalta dell’Europa orientale a Stalin, eresse ‘un muro’. Dopo aver compreso la difficile gestione europea e l’accresciuta pericolosità dell’Urss, Usa, Canada e Europa occidentale depotenziarono l’Onu, promettendosi di intervenire in caso di un eventuale attacco dell’Urss.
Al muro eretto dal patto Atlantico, fu contrapposto allora il muro del patto di Varsavia. Scoppiò la guerra fredda, che divise il mondo per decenni in due blocchi. Poi la Russia smise di fare paura. La sua disgregazione, la caduta del muro di Berlino, la nascita dell’Unione Europea, l’adesione di alcuni ex Stati-Urss alla Nato e all’Ue, dettero impulso per far entrare la Russia nel Consiglio d’Europa e nel G8.
Nel 1999 il presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, dichiarò di essere stato avvicinato da Gorbačëv, “sta salendo uno al potere che non vi piacerà, ma è l’unico che potrà unire Russia ed Europa. Si chiama Vladimir Putin […] James Baker mi ha promesso che la Nato non avanzerà neanche di un centimetro”, gli disse. Nello stesso anno la Nato cambiò volto. Bombardò la Serbia, alleata storica della Russia, senza l’approvazione del Consiglio di sicurezza, e poi Afghanistan, Iraq e Libia, sotto la propulsione del motore-Washington. “Azioni unilaterali e illegittime, non hanno risolto alcun problema. Hanno provocato tragedie umane e creato centri di tensione”, le parole di Putin pronunciate nel 2007 dinanzi a una Merkel, presidente del consiglio dell’Unione Europea, attonita. Con la presidenza Obama, l’Europa smise di essere l’ossessione americana e il competitor geopolitico divenne la Cina. Usa e Russia firmarono il New Start e gli Usa rassicurarono Putin che Georgia e Ucraina non sarebbero mai entrate nella Nato.
Ma le divergenze su Libia e Siria, l’accordo di associazione tra Ue, Ucraina, Georgia e Moldava, la destituzione del presidente ucraino Janukovyč, l’espandersi della Russia in Africa e il suo rafforzato rapporto con Pechino, ci hanno portati all’incorporazione russa della Crimea, al conflitto nell’est dell’Ucraina, e il 24 febbraio di quest’anno all’invasione barbara e novecentesca di quest’ultima.
L’Occidente è arrivato impreparato all’appuntamento con la storia. Non vi è traccia di un attore diplomatico autorevole. Non lo è l’Onu, sempre più paralizzata dai veti russi e cinesi. Non lo è Biden, presidente di un paese ormai lacerato. Non lo è Xi Jinping, in dubbio se Mosca sia un affare o una fregatura. Tantomeno la Nato, strattonata dalla sua vecchia ‘americanizzazione’, e dalla necessaria seppur goffa ‘europeizzazione’. Ma soprattutto non lo è l’Ue, paralizzata da 27 veti. Tutti parlano di vittoria. Nessuno di pace.
Perfino il non pacifista Churchill ammise che “il bla bla diplomatico è sicuramente preferibile alla guerra’.