Memoria corta. Tra il 1941 e il 1945 gli Stati Uniti hanno fornito un aiuto colossale e decisivo all’Armata Rossa grazie ad un meccanismo escogitato da Roosevelt, la legge affitti e prestiti che consentiva di fornire grandi quantità di armamenti senza esigere l’immediato pagamento (Lend Lease Act). Sfruttando questo strumento finanziario, gli Usa inviarono ai sovietici 14mila (!) aerei, 409526 veicoli di cui 43728 jeep, 3510 mezzi anfibi, 12161 blindati da combattimento, 136190 pezzi d’artiglieria leggera, 325784 tonnellate d’esplosivi, 205 torpedini, 140 cacciatorpediniere, 28 fregate. Inoltre consegnarono 35800 postazioni radio, 3400 km di cavi marini, 1823 km di cavi sottomarini, un milione e mezzo di km di cavi telegrafici.
L’aiuto fu sostanziale anche a livello tecnologico poiché Washington si preoccupò di mandare tecnici, ingegneri, esperti radio, istruttori. Per agevolare gli spostamenti dalla Siberia alla Russia europea, l’America provvede alla consegna di oltre 2000 locomotive e più di 10mila vagoni, essenziali per il trasporto truppe ed armi. Ma i soldati devono mangiare e la Casa Bianca ordina alle proprie fabbriche alimentari di preparare 5 milioni di tonnellate di razioni militari. Ci si preoccupa di dare anche 55 milioni di metri di tessuto di cotone, 49 milioni di metri di tessuto di lana, 14 milioni di paia di scarponi. Nel novembre del 1942 Roosevelt invia pure un’intera fabbrica completa per produrre e riparare pneumatici.
A guerra finita, i rapporti tra Mosca e Washington si deteriorano in fretta. Stalin non vuol far sapere ai russi quanto importante sia stato l’aiuto materiale del Paese più capitalista del mondo. L’Unione Sovietica si dimostra ingrata, bisognerà attendere Krusciov perché fosse ammesso che senza quegli aiuti – giunti nel momento più drammatico per l’Urss, costretta a ripiegare dinanzi alle forze naziste – i sovietici non avrebbero vinto la guerra (lo scriverà nelle sue “Memorie”). Degli 11,3 miliardi di dollari anticipati per le forniture (ossia 170 attuali), Washington non chiederà che 1,3 miliardi spalmati in trent’anni. Nonostante questa proposta assai generosa, Mosca trova il conto salato e non paga.
Per riavere indietro le unità navali prestate, gli Usa dovranno aspettare dieci anni. Solo il 18 ottobre 1972 l’Urss rimborserà il 6 per cento del debito, una cifra pari solo all’1,3 per cento reale, tenuto conto dell’erosione monetaria, dopo ventisette anni. Lo stesso maresciallo Zukov, il comandante in capo che Stalin non vedeva di buon occhio perché troppo popolare, dirà al telefono nel 1963 che senza i materiali americani “noi non avremmo vinto la guerra”. L’affermazione è documentata: il Kgb, infatti, spiava Zukov e ne intercettava le conversazioni. Quando, dopo il crollo dell’Urss, parte degli archivi della Lubianka, la famigerata sede dei servizi segreti, furono desecretati, vennero alla luce il dossier su Zukov. Solo nel 2004 qualcuno allestì un Museo degli Alleati e del Lend Lease. Dicono, tuttavia, che attualmente il museo sarebbe stato chiuso.
Quasi mezzo secolo di propaganda sovietica ha diffuso tra i russi una narrazione ufficiale che affonda le sue suggestioni nella mitologia di una Grande Guerra Patriottica vinta con lo spaventoso sacrificio dei combattenti russi, senza il quale il nazifascismo non sarebbe stato sconfitto. In effetti, quindici milioni di soldati perirono nella guerra (e dieci milioni di civili), una spaventosa ecatombe che ha compromesso la demografia nazionale. Washington lo riconobbe e chiese solo un rimborso di 1,3 miliardi di dollari, spalmati lungo l’arco di trent’anni: circa il dieci per cento di quanto gli Stati Uniti avevano speso per sostenere l’Armata Rossa. Negli ultimi anni questo argomento è tornato tabù, come ai tempi di Stalin e dell’Urss: la storia riscritta da Putin si condensa in queste dieci parole: “Il popolo sovietico ha liberato l’Europa dalla peste bruna” (dal discorso del 9 maggio 2021, in verità sottolineato in molte altre occasioni pubbliche, ndr.). Che l’abbia fatto anche con l’aiuto americano, è opportunamente omesso. Specie oggi. L’Urss aggredita fu rifornita di armi, munizioni e viveri dagli Usa. Che ora fanno lo stesso con l’Ucraina…
Leonardo Coen
Giornalista e scrittore
Mondo - 12 Giugno 2022
Memoria corta: quando l’Urss aggredita fu rifornita di armi, munizioni e viveri dagli Usa
Memoria corta. Tra il 1941 e il 1945 gli Stati Uniti hanno fornito un aiuto colossale e decisivo all’Armata Rossa grazie ad un meccanismo escogitato da Roosevelt, la legge affitti e prestiti che consentiva di fornire grandi quantità di armamenti senza esigere l’immediato pagamento (Lend Lease Act). Sfruttando questo strumento finanziario, gli Usa inviarono ai sovietici 14mila (!) aerei, 409526 veicoli di cui 43728 jeep, 3510 mezzi anfibi, 12161 blindati da combattimento, 136190 pezzi d’artiglieria leggera, 325784 tonnellate d’esplosivi, 205 torpedini, 140 cacciatorpediniere, 28 fregate. Inoltre consegnarono 35800 postazioni radio, 3400 km di cavi marini, 1823 km di cavi sottomarini, un milione e mezzo di km di cavi telegrafici.
L’aiuto fu sostanziale anche a livello tecnologico poiché Washington si preoccupò di mandare tecnici, ingegneri, esperti radio, istruttori. Per agevolare gli spostamenti dalla Siberia alla Russia europea, l’America provvede alla consegna di oltre 2000 locomotive e più di 10mila vagoni, essenziali per il trasporto truppe ed armi. Ma i soldati devono mangiare e la Casa Bianca ordina alle proprie fabbriche alimentari di preparare 5 milioni di tonnellate di razioni militari. Ci si preoccupa di dare anche 55 milioni di metri di tessuto di cotone, 49 milioni di metri di tessuto di lana, 14 milioni di paia di scarponi. Nel novembre del 1942 Roosevelt invia pure un’intera fabbrica completa per produrre e riparare pneumatici.
A guerra finita, i rapporti tra Mosca e Washington si deteriorano in fretta. Stalin non vuol far sapere ai russi quanto importante sia stato l’aiuto materiale del Paese più capitalista del mondo. L’Unione Sovietica si dimostra ingrata, bisognerà attendere Krusciov perché fosse ammesso che senza quegli aiuti – giunti nel momento più drammatico per l’Urss, costretta a ripiegare dinanzi alle forze naziste – i sovietici non avrebbero vinto la guerra (lo scriverà nelle sue “Memorie”). Degli 11,3 miliardi di dollari anticipati per le forniture (ossia 170 attuali), Washington non chiederà che 1,3 miliardi spalmati in trent’anni. Nonostante questa proposta assai generosa, Mosca trova il conto salato e non paga.
Per riavere indietro le unità navali prestate, gli Usa dovranno aspettare dieci anni. Solo il 18 ottobre 1972 l’Urss rimborserà il 6 per cento del debito, una cifra pari solo all’1,3 per cento reale, tenuto conto dell’erosione monetaria, dopo ventisette anni. Lo stesso maresciallo Zukov, il comandante in capo che Stalin non vedeva di buon occhio perché troppo popolare, dirà al telefono nel 1963 che senza i materiali americani “noi non avremmo vinto la guerra”. L’affermazione è documentata: il Kgb, infatti, spiava Zukov e ne intercettava le conversazioni. Quando, dopo il crollo dell’Urss, parte degli archivi della Lubianka, la famigerata sede dei servizi segreti, furono desecretati, vennero alla luce il dossier su Zukov. Solo nel 2004 qualcuno allestì un Museo degli Alleati e del Lend Lease. Dicono, tuttavia, che attualmente il museo sarebbe stato chiuso.
Quasi mezzo secolo di propaganda sovietica ha diffuso tra i russi una narrazione ufficiale che affonda le sue suggestioni nella mitologia di una Grande Guerra Patriottica vinta con lo spaventoso sacrificio dei combattenti russi, senza il quale il nazifascismo non sarebbe stato sconfitto. In effetti, quindici milioni di soldati perirono nella guerra (e dieci milioni di civili), una spaventosa ecatombe che ha compromesso la demografia nazionale. Washington lo riconobbe e chiese solo un rimborso di 1,3 miliardi di dollari, spalmati lungo l’arco di trent’anni: circa il dieci per cento di quanto gli Stati Uniti avevano speso per sostenere l’Armata Rossa. Negli ultimi anni questo argomento è tornato tabù, come ai tempi di Stalin e dell’Urss: la storia riscritta da Putin si condensa in queste dieci parole: “Il popolo sovietico ha liberato l’Europa dalla peste bruna” (dal discorso del 9 maggio 2021, in verità sottolineato in molte altre occasioni pubbliche, ndr.). Che l’abbia fatto anche con l’aiuto americano, è opportunamente omesso. Specie oggi. L’Urss aggredita fu rifornita di armi, munizioni e viveri dagli Usa. Che ora fanno lo stesso con l’Ucraina…
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Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "Il Jobs Act è una legge che ha creato oltre un milione di posti di lavoro, più della metà a tempo indeterminato, e che ha introdotto tutele fondamentali come l’eliminazione delle dimissioni in bianco. La decisione della Corte Costituzionale che dà il via al referendum relativo al Jobs Act ci trova quindi pronti: spiegheremo ai cittadini quanto sarebbe sbagliato cancellare queste conquiste che creano posti di lavoro, sviluppo e tutele". Lo scrive sui social il senatore Enrico Borghi, capogruppo al Senato di Italia Viva.
"Quanto al referendum sull’autonomia, accettiamo il verdetto della Consulta che dopo la precedente pronuncia sulla legge Calderoli appariva pressoché scontata. Ogni modifica sull’autonomia differenziata passerà dal Parlamento, e lì ci faremo trovare pronti e determinati".
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "Le mie più sentite congratulazioni al presidente Trump per l’inizio del suo secondo mandato. Il popolo americano ha fatto una scelta chiara, che riflette l’impegno per la crescita economica, la sicurezza e la sovranità nazionale”. Lo scrive su X il Co-Presidente del gruppo dei conservatori al Parlamento europeo, Nicola Procaccini dí Fratelli d’Italia.
“Noi dell'Ecr condividiamo molte delle priorità delineate dal presidente Trump: contrastare l'immigrazione clandestina, garantire comunità più sicure, tagliare le tasse e la burocrazia e ripristinare la competitività economica. Queste non sono solo priorità americane, ma anche europee”.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "La Sardegna, con il nostro ricorso accolto dalla Corte lo scorso novembre, ha difeso la sua specialità e contrastato una legge iniqua. Una legge che la Corte stessa, ascoltando le preoccupazioni delle Regioni promotrici, ha già demolito e svuotato perché ci toglieva risorse e ci condannava a restare indietro. Se il capogruppo della Lega Veneta ha dichiarato recentemente che il Veneto vale più della Sardegna, per farci capire cosa si intende per differenziata, noi invece continueremo a difendere con le unghie e con i denti le risorse e le opportunità che le spettano”. Così la presidente della Regione Sardegna Alessandra Todde.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - “Sul referendum sulla cittadinanza daremo battaglia nel nome dell’estensione dei diritti e per superare una legislazione particolarmente arretrata. Si tratta di un referendum promosso da un vasto arco di soggetti, tra cui numerose associazioni dei nuovi cittadini, persone a cui per troppo tempo è stata tolta la voce. Lotteremo al loro fianco”. Così in una nota Pierfrancesco Majorino della segreteria del Partito Democratico, responsabile Immigrazione.
Washington, 20 gen (Adnkronos) - Non è stato un blitz come quello di Mar a lago, rivelatosi determinante per la liberazione di Cecilia Sala, ma una intera giornata quella che Giorgia Meloni ha dedicato, per la seconda volta in un mese, a Donald Trump. La premier non è voluta mancare all'inauguration day del presidente americano, sottolineando quanto sia importante "dare una testimonianza della volontà di continuare e rafforzare" la relazione Italia-Usa.
E questa "testimonianza" la premier l'ha data plasticamente già di primo mattino, quando insieme alla famiglia Trump, a quella del vice presidente Vance e pochi altri, ha preso parte alla messa di 'benedizione' del neo commander in chief alla chiesa episcopale di st John, proprio di fronte alla Casa Bianca. Poi il trasferimento alla Rotonda del Campidoglio, a Capitol hill, per il giuramento spostato al chiuso a causa dell'ondata di gelo che ha stretto Washington. Con lei, oltre ai diplomatici, la fida Patrizia Scurti in delegazione.
Meloni siede sotto lo sguardo della statua di Abramo Lincoln, nei posti riservati ai capi di Stato e di governo invitati da Trump. Una sparuta elite che comprende la presidente del Consiglio (unica leader Ue) e, tra i pochi altri, il presidente argentino Javier Milei, con cui Meloni chiacchiera a lungo inquadrati più volte dalle telecamere di Fox news, che non ha perso una battuta della giornata-evento.
(Adnkronos) - A pochi passi, i 'big tech Ceo' che Trump ha voluto come ospiti vip della cerimonia e che l'hanno sostenuto nel suo cammino di ritorno alla sala ovale: Tim Cook, Jeff Bezos, Sandor Picahi, Sam Altman, Mark Zuckenberg e ovviamente Elon Musk. Sui social, è il capo delegazione di FdI-Ecr all'Europarlamento Carlo Fidanza, a Washington con un piccola pattuglia di parlamentari italiani ospiti dei Repubblicani Usa, a dare il senso politico della 'foto di Capitol hill' della Meloni: "La nostra presidente è ormai riconosciuta da tutti come l’interlocutrice privilegiata di Trump in Europa".
Nella sua valutazione del Trump day, Meloni al mattino è più ecumenica: "Penso sia molto, molto importante per una nazione come l’Italia che ha rapporti estremamente solidi con gli Stati Uniti dare una testimonianza della volontà di continuare e se mai rafforzare quella relazione in un tempo nel quale le sfide sono globali e interconnesse", spiega prima di lasciare l'albergo.
Più tardi su X augura buon lavoro a Trump e assicura: "Sono certa che l’amicizia tra le nostre Nazioni e i valori che ci uniscono continueranno a rafforzare la collaborazione tra Italia e Usa", per poi sottolineare: "L’Italia sarà sempre impegnata nel consolidare il dialogo tra Stati Uniti ed Europa, quale pilastro essenziale per la stabilità e la crescita delle nostre comunità".
(Adnkronos) - Per il ministro dell'Ue Tommaso Foti, la missione di Meloni a Washington "conferma il ruolo cruciale che, nel prossimo futuro, la nostra Nazione intende giocare nelle relazioni transatlantiche, ponendosi come ponte strategico tra Europa e America".
In questo contesto, e anche per il rigido protocollo che governa l'insediamento del presidente americano, si stempera anche l'attesa per un faccia a faccia Meloni-Trump, prima auspicato e poi annunciato alla vigilia anche da Fidanza. "Non era previsto, non era il contesto e non ci sarà problema a farlo in futuro", è il senso del ragionamento dell'entourage della premier. Così, direttamente lasciando ad un certo punto le lunghe celebrazioni, Meloni può salutare e tornare subito in Italia.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "La decisione della Consulta che ha sancito l’ inammissibilità del referendum abrogativo sull’autonomia conferma che la riforma scritta dal ministro Calderoli è, come sapevamo, coerente e corretta nel rispetto delle previsioni costituzionali. Per cui avanti con l’iter della riforma e con i negoziati con le regioni che hanno già richiesto le prime materie ‘non Lep’, come la Lombardia. Avanti tutta con l’autonomia!”. Lo dichiara il segretario regionale della Lega Lombarda Salvini Premier e presidente dei senatori della Lega Salvini Premier, senatore Massimiliano Romeo.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "La Corte Costituzionale, dichiarando inammissibile il referendum sull’autonomia, perché ‘l’oggetto e la finalità del quesito sono poco chiari’, ha bocciato l’opposizione. D’altra parte, cosa ci si può aspettare da una sinistra incapace anche di scrivere i quesiti da sottoporre ai cittadini per una consultazione popolare? Per quanto ci riguarda, noi andiamo avanti con il percorso riformatore, nell’interesse dell’Italia”. Così la senatrice di Forza Italia e vice presidente del Senato, Licia Ronzulli.