Molto più di una sconfitta: il crollo generale, anche dove si sperava che “l’effetto Conte” avrebbe limitato le perdite. Il Movimento 5 stelle esce dalle elezioni amministrative con le ossa rotte quasi ovunque e con la consapevolezza che ora la strada si fa per davvero in salita. Il dato più eclatante è quello di Palermo: qui non solo il candidato dell’alleanza giallorossa perde al primo turno, ma la lista M5s si ferma al 6,45%. E se la Sicilia avrebbe dovuto essere la roccaforte di voti, la situazione è ancora più drammatica nelle altre città che sono andate al voto. L’analisi dei dati delle città più popolose è impietosa: il Movimento ottiene il 4,4% a Genova; il 4,3% a Taranto; il 4,2% a Messina; il 2% a La Spezia; l’1,56% a Catanzaro; l’1,3% a Padova; l’1,8% a Pistoia; l’1,22% a Lodi; lo 0,71% a L’Aquila; il 2% a Piacenza. A Rieti c’è stato un esperimento di lista Conte: si è bloccata allo 0,86%. Tra le pochissime eccezioni: Nola, dove il M5s prende il 12%. In generale risultati che lasciano poche speranze, tanto che oggi sembra credibile anche la profezia del nemico giurato Matteo Renzi sull’addio al simbolo “prima delle Politiche”. Presto per dirlo, ma per sopravvivere allo choc sarà necessaria una vera e propria scossa dall’alto. Intanto i vertici 5 stelle ripetono quello che per tanti anni è stato il ritornello: “Alle amministrative siamo sempre andati male” e di “funerali prima del tempo” “ce ne hanno fatti tanti”. Vero. Ma per superare la batosta, questa volta, ci vorrà molto più del Maalox evocato in passato da Beppe Grillo: dopo nove anni in Parlamento, la scusa dello scarso radicamento sui territori non può più bastare. Da Conte è arrivata una prima (debole) ammissione: “I dati non ci soddisfano”, ha detto il leader, “non possiamo accettare giustificazioni di comodo”. E poi cosa farà? I “big” M5s si trincerano dietro il silenzio, ma off the record commentano: “È un bagno di sangue”.

La botta di Palermo e il crollo generale da Genova a Taranto – Il risultato siciliano è quello che fa più male di tutti: l’Isola è stata laboratorio del Movimento 5 stelle per anni e l’impressione, confermata dai sondaggi, è sempre stata che lì ci fosse uno zoccolo duro di sostenitori da cui Giuseppe Conte avrebbe potuto ripartire. Non a caso il leader M5s è stato in prima linea nella campagna elettorale del candidato giallorosso Franco Miceli: l’ex premier è il padre del reddito di cittadinanza e in Sicilia, la Regione fra quelle che più ne beneficia, è stato accolto con grande calore. Ma niente di tutto questo si è tradotto nelle urne: il 6,45% della lista, se i primi dati saranno confermati, è un risultato peggiore di qualsiasi aspettativa e sotto anche ad Azione di Calenda che prende l’8%. Cinque anni fa il M5s alle Comunali presentò un suo candidato e la lista prese il 13 per cento delle preferenze. Un paragone improprio, ma da tenere in considerazione, è con le politiche del 2018: il Movimento a Palermo prese quasi tutto con oltre il 44% dei consensi. Un bacino di consensi che oggi sembra completamente prosciugato.

Ma le cose non vanno meglio in altre zone d’Italia. Prendiamo Genova, città del fondatore M5s Beppe Grillo: qui il Movimento oggi si ferma al 4,4%, superato leggermente anche dalla lista Europa Verde-Sansa (5%) e con gli ex M5s di Alternativa (rappresentanti dal senatore Mattia Crucioli) che prendono il 3,5%. Nel 2017, scorsa tornata amministrative, i 5 stelle presero il 18%. In Liguria i 5 stelle vanno malissimo anche a La Spezia (2%), superati pure da Sinistra italiana-Europa Verde (7%). A Padova, dove il centrosinistra vince al primo turno con un sindaco civico, i grillini si fermano alla soglia dell’1,3 per cento. A Catanzaro, altra terra di accordo con i dem, il M5s fa il 2,77 ed è superato da vari gruppi di civiche. Molto preoccupante anche il risultato di Taranto: prende il 4,3%, mentre il Pd quasi il 20. Senza dimenticare che nelle due città dove il centrosinistra sta rivendicando un buon risultato o almeno il vantaggio (Parma e Verona), i 5 stelle neanche si sono presentati con una propria lista e sono di fatto inesistenti. Infine, osservata speciale è la Campania dove tradizionalmente il M5s (e Luigi Di Maio) va forte. C’è il buon risultato di Nola, ma anche quello che “imbarazza” alcuni di Somma Vesuviana (Napoli): qui il M5s sosteneva il sindaco uscente con altre 6 liste tra cui “Somma al Centro per i giovani”, nata dal partito “Noi Di Centro” fondato dall’ex ministro della Giustizia e leader Udeur Clemente Mastella. Nello schieramento opposto, il Pd.

Conte: “Non mi nascondo”. E annuncia (un’altra) riorganizzazione – Il quadro è desolante per un Movimento che è prima forza in Parlamento e si prepara alla corsa delle politiche. In mattinata il vicepresidente M5s Riccardo Ricciardi ha tentato di addolcire la realtà: “Ho sentito tantissimi funerali dopo le amministrative”, ha detto, “e poi alle politiche succedeva quello che è successo. Siamo sereni, il percorso di rinnovamento messo in atto dal presidente Conte darà i suoi risultati nel prossimo futuro”. Ma nel pomeriggio è stato lo stesso Conte a presentarsi davanti ai giornalisti per ammettere che qualcosa non ha funzionato: “I dati che emergono dalle amministrative non ci soddisfano”, ha detto. “Non possiamo cercare giustificazioni di comodo. Ma c’è dato che mi fa male ed è quello dell’astensionismo”. E ancora: “Le amministrative sono state sempre state un tabù per M5s, a parte qualche tornata come a Torino e Roma. Però non sono qui per nascondermi dietro questa costante storica per il Movimento”. Per cercare di salvare il salvabile, Conte ha annunciato che lancerà un “percorso di completamento dell’azione politica e di organizzazione interna anche per quanto riguarda le articolazioni territoriali”. Perché, ha aggiunto, il risultato delle amministrative dipende anche dai ritardi su questa organizzazione sui territori, “un rallentamento dovuto anche a vicende esogene e a resistenze interne. Anche per le elezioni del Quirinale che oggettivamente ci hanno rallentato nel percorso”.

Che fine farà l’alleanza giallorossa? – Ma la ormai fantomatica riorganizzazione sui territori non è l’unico problema per Giuseppe Conte. I prossimi mesi saranno decisivi anche per il futuro dell’alleanza giallorossa in vista delle politiche. E ormai l’impressione è che il simbolo M5s, in molte circostanze, sia un peso non solo per il Partito democratico, ma soprattutto per lo stesso presidente M5s. Quasi come un vero e proprio brand che non funziona più: i 5 stelle escono da cinque anni di governo e difficile, se non impossibile, essere riconosciuti come una forza “nuova”. Conte oggi ha ribadito che non metterà in discussione l’asse col Pd: “Non ho mai detto che abbiamo un’alleanza strategica”, ha detto, “ma parlo sempre di dialogo, profondo e proficuo, con il Pd e Articolo 1: non ho mai voluto forzare perché ritengo che questo percorso debba darsi dei tempi, delle tappe. Esamineremo il risultato elettorale, ma per il futuro un’azione congiunta non può essere compromessa da questa tornata elettorale per il semplice motivo che il M5s sui territori ancora deve organizzarsi”. Insomma, per ora non vuole cambiare l’orizzonte d’azione. Eppure la batosta non passerà indisturbata: nelle prossime settimane c’è da pensare alle primarie per le Regionali in Sicilia, al nodo spinosissimo del secondo mandato e soprattutto Conte dovrà rimettere in carreggiata un progetto politico che sembra (questa volta per davvero) aver esaurito le sue energie.

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