I dati ci dicono che i consumi di gas nel nostro Paese hanno avuto un andamento altalenante, dal massimo storico di 86 miliardi e 265 milioni di metri cubi del 2005 ai quasi 62 miliardi del 2014 per poi attestarsi su poco più di 70 miliardi di metri cubi nel 2020, pari ai livelli di inizio secolo; le previsioni del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) valutano – dopo un picco previsto al 2027 motivato dal totale abbandono del carbone (“phase out” che comunque comporterà un recupero temporaneo di solo 4-5 miliardi di mc sul consumo 2020) – un fabbisogno al 2030 di circa 60 miliardi di metri cubi contro un aumento al 30% delle energie da fonti rinnovabili. La stessa Snam stima il consumo di gas al 2030 in 62,3 miliardi di metri cubi (Scenario National Trend Italia), ben 24 miliardi in meno rispetto al picco massimo di consumi del 2005.

C’è tuttavia da tener presente che, rispetto al 2005, nel nostro Paese si è avuto un aumento dei gasdotti, del numero di centrali e della potenza installata per spingere il gas lungo la rete, per cui le infrastrutture oggi esistenti potrebbero assicurare il trasporto e la distribuzione di oltre 100 miliardi di metri cubi l’anno, risultando addirittura già ora sovradimensionate rispetto ai nostri fabbisogni.

A fronte di tutto ciò, il mese scorso la Presidenza del Consiglio dei ministri ha convocato la riunione per decidere il via libera al gasdotto Sulmona-Foligno, parte integrante del progetto “Linea Adriatica” che a dispetto del suo nome passa lungo l’Appennino attraversando le aree più altamente sismiche del nostro Paese, le stesse che sono già state tragicamente colpite dai terremoti dell’Aquila del 2009 e di Umbria, Marche, Abruzzo e Lazio del 2016-17. Il rappresentante del governo ha affermato che il metanodotto sarebbe strategico per far fronte alla necessità di reperire nuovi fonti di rifornimento di metano, da sostituire a quelle della Russia, come conseguenza della guerra in Ucraina.

La Snam ha sostenuto che il metanodotto assicurerebbe l’erogazione del gas nei momenti di picco massimo giornaliero che si verificano in inverno, tuttavia la stessa Snam ha attestato che, in occasione del picco massimo verificatosi negli ultimi vent’anni, ed esattamente il 6 febbraio 2012, tutte le utenze erano state regolarmente servite; inoltre dai Piani Snam risulta che quel picco, in futuro, non sarà più raggiunto. Il presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha ammesso che non esiste lo studio sismico sul tracciato – commissionato dal Ministero dello Sviluppo Economico fin dal 2018 – portando a considerare interlocutoria la riunione e a convocarne prossimamente una seconda.

Il tracciato del metanodotto non solo attraversa territori tra i più sismici del nostro Paese ma interessa, in modo diretto o indiretto, Parchi nazionali, Parchi e Riserve regionali, oltre a numerosi Siti di Interesse Comunitario della Rete europea Natura 2000 e terreni vincolati dall’uso civico, i quali svolgono una importante funzione di tutela ambientale. La realizzazione del metanodotto causerebbe in molti casi una profonda alterazione degli habitat e degli equilibri naturali. Attraversando vaste aree boscate l’interramento del gasdotto “Linea Adriatica” richiederebbe l’abbattimento e l’eradicazione di almeno cinque milioni di alberi, senza considerare quelli da eliminare per consentire l’apertura di nuove piste accessorie di montagna per l’effettuazione dei lavori.

Quello della “Linea Adriatica” della Snam è un progetto che appartiene al passato, un passato basato sull’uso delle fonti fossili e rispetto al quale dobbiamo urgentemente voltare pagina perché, come ha detto recentemente il segretario generale dell’Onu António Guterres, “il mondo è sull’orlo dell’abisso”. Una vera transizione, ecologica o meno che sia, non può realizzarsi attraverso i consueti meccanismi legati al profitto, al consumo di suolo, al mancato rispetto della natura e dell’ambiente del quale facciamo parte, al rifiuto di tenere in considerazione le istanze di chi ha una visione diversa del progresso; interi territori con convinzione lottano per difendere la propria sicurezza, la propria salute, l’integrità dell’ambiente e degli habitat naturali, la qualità della vita, in una parola il proprio futuro ma anche quello del pianeta.

Condividiamo le parole di Don Ciotti: “Una transizione senza conversione è cambiamento solo esteriore, un farsi condurre altrove rimanendo gli stessi di prima”.

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