La dimostrazione che “non si può chiedere ai cittadini di esprimersi su materie squisitamente tecniche”, insomma “il quorum sarebbe stato alla portata” se tra i quesiti ci fossero stati legalizzazione della cannabis e fine vita. Non a caso, c’è chi indica Giuliano Amato come “il primo responsabile di questo fallimento”. Nel day after del flop epocale dei 5 referendum sulla giustizia – con l’affluenza appena sopra il 20%, mai così bassa nella storia, e boom di schede bianche nelle città in cui si votava alle comunali – molti pezzi della politica sottolineano come si evidenzi la necessità di rivedere temi e regole dell’istituto referendario. Mentre il leader del Movimento Cinque Giuseppe Conte propone un’altra lettura precisando come si siano allestiti i seggi per “votare cinque referendum presentati come la soluzione di tutti i mali della giustizia” ma che “in realtà nascondevano una vendetta della politica contro la magistratura”. I cittadini, sostiene, “l’hanno capito” e per questo hanno disertato le urne. Nessuna crisi del referendum, insomma, ma piuttosto quella di una “politica più attenta a tutelare se stessa che a dare risposte ai bisogni reali delle persone”. E c’è chi – come il senatore M5s Primo Di Nicola – allarga il campo chiedendo una nuova “fase costituente”.
La capogruppo di Leu al Senato, Loredana De Petris, la scarsa presenza ai seggi “impone un ripensamento sull’istituto referendario, che è prezioso e deve essere salvaguardato”. Chiedendo innanzitutto di usarli con “cautela e oculatezza”. In sostanza: “Non si può chiedere ai cittadini di esprimersi su materie squisitamente tecniche. Se la massa degli elettori non è in grado di valutare e decidere a ragion veduta come votare è naturale che diserti le urne. Ma per questa strada è lo stesso strumento referendario che finisce per essere delegittimato”. La capogruppo di Leu parla tuttavia di un “problema serio” anche per il quorum: “Non è possibile che i No possano avvalersi dell’astensione come se fosse un voto a favore della loro posizione. Il quorum deve quindi essere modificato e il referendum deve essere considerato valido se vota la metà più uno degli elettori che avevano votato nelle precedenti elezioni politiche”.
Affrontare la riforma del referendum è il tema centrale anche per il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni e il deputato di +Europa Riccardo Magi, che ha sostenuto il sì ai quesiti sulla giustizia. “Sono convinto che se all’appuntamento referendario gli italiani fossero stati chiamati a dire la loro su un fine vita dignitoso o sulla legalizzazione della cannabis, il quorum sarebbe stato alla portata. Invece si è voluto usare, da parte di Salvini, Renzi e Berlusconi, il referendum per una vendetta contro la magistratura. E alla fine sono stati sonoramente sconfitti”, dice Fratoianni sottolineando di “problema” legato allo strumento referendario. “Occorre modificare il quorum, se no i referendum continueranno a fallire, perché vincerà sempre il partito del non voto”, sostiene Magi a La Repubblica. Secondo Magi, negli ultimi trent’anni “nessun referendum ha raggiunto il quorum, eccetto nel 2011 quelli trainati dai quesiti su nucleare e acqua” e ritiene “opportuno” un intervento. E non manca di sottolineare il ruolo della Lega sull’astensione: “Salvini in una prima fase li ha cavalcati politicamente, poi li ha abbandonati”. Posizione simile per Silvio Viale, membro della Direzione nazionale dei Radicali italiani e consigliere comunale a Torino: “Una sconfitta annunciata e iniziata con l’eliminazione dei referendum più comprensibili su eutanasia, cannabis e responsabilità civile dei magistrati”. E attacca: “Il primo responsabile di questo fallimento è il presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato”.
“Se una prima lezione ci arriva dalla tornata elettorale è piuttosto allarmante e decreta la crisi pressoché definitiva di un caposaldo fondamentale della nostra architettura costituzionale: il referendum. Insieme alle difficoltà dei partiti, ormai incapaci non solo di dare un governo al paese ma anche di produrre alleanze credibili, anche quelle di questo prezioso strumento di democrazia diretta rappresenta un’altra stazione della dolorosa via crucis che certifica la crisi del nostro sistema politico”, riflette invece Di Nicola. “Certo, dei referendum si può rivedere il quorum per tentare di rivitalizzarlo, ma la verità è che – aggiunge – tra legge elettorale che non funziona, forma di governo superata, credibilità della giustizia ai minimi termini, sistema fiscale decotto e tanto altro, la politica del giorno per giorno di queste forze politiche non basta più”. Quindi la proposta: “L’Italia ha bisogno di una fase costituente in grado di restituire vigore a credibilità alle nostre istituzioni. Spero che gli spiriti liberi di questo Parlamento riescano a dare un segnale di vita nell’ultimo squarcio di legislatura. Con iniziative adeguate e la costruzione di un percorso per una grande riforma istituzionale in grado di ricostruire un rapporto fiduciario con i cittadini-elettori che, anche alla luce dell’allarmante astensionismo, è ormai ridotto ai minimi termini”.