Il voto delle amministrative cambia i connotati delle coalizioni. Se a destra Fratelli d’Italia sembra aver conquistato il comando del centrodestra a scapito della Lega (che è superata dal partito di Giorgia Meloni quasi ovunque anche al Nord), a sinistra la missione impossibile resta quella di Enrico Letta: il “campo largo” che tenga insieme il M5s da una parte e Azione dall’altra. Vaste programme, disse quello. “La mia responsabilità non è solo avere un punto percentuale in più per il Pd – dice a DiMartedì Letta – ma costruire un’alleanza che regga, sia convincente, di gente convincente che si mette d’accordo sulle cose da fare“. Tradotto: “Se il mio partito fa un bellissimo risultato e poi ci troviamo Salvini o Meloni con una maggioranza di centrodestra alla fine il problema per il Paese è enorme”. Letta spiega che quando vedrà nelle prossime settimane Conte e Calenda chiederà loro di “spiegare la ragione perché quell’altro è il nemico assoluto“. Una prima risposta Giuseppe Conte e Carlo Calenda l’hanno già data. L’ex premier, alle prese con la peggiore crisi di consenso elettorale dopo il primo boom del 2013, prima dell’intervista di Letta aveva già chiuso a doppia mandata (almeno per oggi): “Se parliamo di apertura al civismo attivo noi siamo aperti. Se invece dobbiamo costruire le future sorti del fronte progressista con Italia Viva che non ho mai incontrato nei territori e non ho incontrato il suo simbolo o di Calenda che ha fatto operazioni mirate e molto astute, allora si fanno operazioni diverse. Ma ai cittadini non bisogna dire fesserie”. Il leader di Azione, da parte sua, aveva ribadito la strategia di cui parla da tempo: “Costruire un’offerta alternativa ai due poli. Riteniamo che la cosa migliore da fare sia costruire un’area terza, che vada da sola e che spacchi il bipopulismo” e che dopo il voto si allei “anche con il Pd, Forza Italia e la Lega, che spero rinsavisca e accompagni Salvini alla porta”. Per non parlare poi di Renzi, il cui partito Italia Viva – a differenza di Azione – ha sostenuto più di un candidato sindaco di centrodestra, come Flavio Tosi a Verona o Daniele Sinibaldi a Rieti. “Il Movimento 5 stelle non esiste più – ha detto Renzi – La lista ConTe a Rieti ha fatto meno dei 5 stelle e quindi non è un valore aggiunto”.
E dunque Letta come può mettere insieme queste posizioni dalle quali non trasuda certo stima e forse nemmeno tolleranza reciproca? “Ho diversi difetti ma un pregio, quello della pazienza. Credo che con pazienza questo lavoro si farà” garantisce il segretario democratico. Letta ricorda anche che “in alcune parti del Paese è già avvenuto” che le forze del possibile campo largo siano state insieme. A Verona, per dire: “Abbiamo sovvertito ogni pronostico e il nostro candidato Damiano Tommasi si gioca la partita con grandi speranze, siamo riusciti a mettere tutti insieme. Non è impossibile. Lo dico ai nostri potenziali alleati: il problema è che non dobbiamo stare lì con l’idea di mettere il veto uno sull’altro“.
Letta risponde a Calenda anche nel merito, cioè sull’esistenza del terzo polo che può fare la differenza. Le performance elettorali alle Comunali sono un po’ un’illusione ottica, è il ragionamento. “Non esiste oggi nel nostro sistema politico un centro che vale il 10-15 per cento alle amministrative, elegge sindaci e quindi fa la differenza. Non è così – dice il leader Pd – Nelle amministrative c’è sempre o il candidato nostro o quello del centrodestra. E sarà così anche alle elezioni politiche. Rispetto moltissimo quello che fanno Calenda e Renzi. Dico a loro, discutiamo, però questo è il quadro. Perché la mia responsabilità è di far vincere l’intera coalizione, non di avere io l’un per cento in più”.
Guardando ai prossimi 12 mesi, Calenda non esclude a priori il Pd – purché senza i 5 Stelle – e nemmeno Matteo Renzi, anche se i rapporti con l’ex premier sono ballerini da tempo. “Non ho ricevuto nessun messaggio da Renzi ieri”, aggiunge. Con entrambi i partiti però prevale la diffidenza. Nei confronti dei democratici, perché insistono sulla fedeltà a “un partito in stato comatoso” che, per Calenda, non molleranno alle politiche per cui il destino sembra già segnato. E rispetto a Renzi che “deve decidere se vuole fare un lavoro serio, o se invece, come credo, tenere le mani libere fino all’ultimo secondo, per poi fare accordi”. Ma in quel caso Azione non ci sta. Apre invece ai moderati di Forza Italia e la risposta di Silvio Berlusconi non si fa attendere. Il presidente di Forza Italia boccia in prospettiva le performance dei “centristi” di domenica: “Nonostante i risultati significativi, non sono riusciti a influenzare la scelta dei sindaci. Lo stesso avverrebbe a livello nazionale”. Ma tende lo stesso la mano invitandoli a unirsi a Forza Italia “per rafforzare la componente centrista del centrodestra”. Nel breve, il terzo polo dovrà scegliere chi sostenere ai ballottaggi. “A Parma sosterremo Michele Guerra“, annuncia Calenda puntando sul candidato del centrosinistra che con il 44%, ha staccato al primo turno Pietro Vignali sostenuto da Forza Italia e Lega e fermo al 21% (terzo è arrivato il candidato di Calenda Dario Costi col 13). Nelle altre città le trattative sono aperte e si deciderà in base ai programmi dei singoli. Al Pd, che attraverso il numero due Beppe Provenzano ricorda che “a tutti, con rispetto e senza spocchia, chiediamo più voti e meno veti”, Calenda ribatte: “Non metto veti, ma non possiamo snaturarci. Non possono chiederci di allearci ai 5s, sennò saremmo il Pd”.
Ma il senatore del Pd Andrea Marcucci, a sorpresa, spinge sull’acceleratore: “Serve un’alleanza che sia larga per davvero – dice a Globalist – I contraenti sono il Pd, Azione, Italia viva, la sinistra, la componente liberale di FI. Conte? Deciderà lui, io vedo molte sintonie con il ministro Di Maio”. Marcucci svela in qualche modo il lavoro che sottotraccia sta avanzando a piccoli passi, in Campania ad esempio. Dove pure il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi – personalità alla quale Conte è molto legato – si dice convinto “che non basti un’alleanza tra Pd e M5s ma sia necessaria un’apertura al centro”.