Lo ricordo bene quel venerdì notte. Era il 21 gennaio di 17 anni fa. In un anonimo appartamento di un edificio nel quartiere di Secondigliano, area a nord di Napoli, conosciuto come il ‘Terzo Mondo’, fortino del clan dei Di Lauro, viene scovato dai carabinieri del Comando provinciale di Napoli il boss latitante Cosimo Di Lauro. La notizia corre veloce. Una manciata di minuti e, seguendo il bagliore delle luci dei lampeggianti delle gazzelle, localizziamo il luogo. La tensione è fortissima, tanto da giustificare l’invio di un intero battaglione e la militarizzazione del rione.

Cosimo Di Lauro era il ‘grande burattinaio’ che approfittando della latitanza del papà Ciro ‘o Milionario aveva avviato una gigantesca epurazione interna del narco clan di famiglia. Uno ‘svecchiamento dei quadri’ che indusse come reazione la nascita di un altro clan: gli scissionisti. La conseguenza fu l’esplosione di una feroce e sanguinaria guerra di camorra all’ombra delle Vele di Scampia, dei quartieri confinanti e dei comuni limitrofi. Un conflitto che lascerà sul selciato centinaia di morti ammazzati e tra loro anche persone che nulla avevano a che fare con l’illogicità delle dinamiche della camorra: vittime innocenti come Antonio Landieri, Gelsomina Verde, Attilio Romanò, Carmela Attrice.

Cosimo Di Lauro, quella notte, era guardato a vista da dozzine di carabinieri. L’edificio ben presto venne circondato da militari in assetto antisommossa. Pochi minuti e scoppia una clamorosa rivolta. Nonostante l’ora tarda, si riversano in strada oltre duecento persone. Sono per lo più donne. Grida, bestemmie, lancio di oggetti, addirittura qualcuno da un balcone getta un lavandino di ceramica che solo per un caso non ammazza nessuno. Scene apocalittiche. Ne sono testimone diretto. Una donna, incinta di otto mesi, spalleggiata da altre persone partecipa nel rovesciare su di un lato una Fiat Uno dei carabinieri. Paonazza in volto, le vene del collo che sembrano voler esplodere, il corpo sofferente, nessun riguardo per quel grembo di vita, si accascia e piange disperata. Rivolta al giovane carabiniere con il mitra spianato, gli grida: “Adesso fate lo Stato, portate via Cosimino. E noi come viviamo?”.

Sono trascorsi 17 anni e quelle parole non le ho dimenticate. Anzi quelle parole sono ancora attuali e raccontano ordinarie storie di povertà, di sopravvivenza, di disperazione, di contraddizioni e di responsabilità. Lo Stato ha vinto, la stagione delle faide è terminata: centinaia di arresti e condanne all’ergastolo.

Cosimo Di Lauro è morto stamattina all’età di 49 anni in una cella del carcere di Milano Opera. Era detenuto al 41 bis e condannato al carcere a vita. Suo padre e parte dei suoi fratelli resteranno anche loro chiusi per il resto dei loro giorni in un penitenziario. Gli esiti dell’autopsia accerteranno e sveleranno le cause dell’improvvisa morte. Cosimo Di Lauro, da quanto si è appreso, pare soffrisse da anni di ansia, disturbi mentali e comportamenti bizzarri. Cosa è cambiato in 17 anni a Napoli e nell’ampia e instabile area metropolitana della città?

Forse le cose sono anche peggiorate. C’è sicuramente una risposta di qualità e quantità della magistratura, degli investigatori e delle forze dell’ordine nel perseguire i reati delle camorre. I capi apicali delle organizzazioni criminali sono quasi tutti in carcere. I clan storici sono per lo più disarticolati. I patrimoni economici e i beni immobili sono sequestrati e molti confiscati. Non siamo all’anno zero. Allora la domanda: perché la camorra continua ad essere un elemento condizionante della vita di un’intera comunità? Perché la si percepisce e la si avverte come un potere spregiudicato esercitato su ampi pezzi di territorio dove vige il monopolio illegale della forza violenta? Perché tanti scelgono la carriera nel clan come unico orizzonte di vita possibile? Perché continuano a crescere tanti Cosimo Di Lauro destinati a vite brevi?

Sono certo che dopo 17 anni, se incontrassi nuovamente quella donna, molto probabilmente al nome di Cosimo Di Lauro sostituirebbe quello di un altro boss e mi direbbe: “Adesso fate lo Stato. E noi come viviamo?”

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