C’è un libro che Roberto Lagalla dovrebbe leggere. Ora che l’ex rettore è riuscito a vincere le elezioni al primo turno, può trovare un momento per staccare e recuperare le energie dopo una campagna elettorale segnata da polemiche e veleni. Prima di mettersi a lavoro per tradurre in realtà l’idea che il centrodestra ha di Palermo, speriamo che il nuovo primo cittadino possa fermarsi qualche ora a riposare. E magari dare una lettura a Nessuno escluso, il romanzo scritto dalla giornalista Sandra Rizza.
Sembra ambientato a Palermo, ma potrebbe essere pure Roma o Milano. E sembra ricordare certi fatti di cronaca giudiziaria dei primi anni Duemila, quelli che colpirono alcuni fedelissimi di Totò Cuffaro, allora potentissimo governatore della Sicilia. Lagalla se ne ricorderà perché di Cuffaro è stato assessore alla Sanità. Poi ha proseguito la sua carriera diventando rettore dell’università e quindi tornando di nuovo al governo della Regione, questa volta come assessore alla Formazione professionale di Nello Musumeci. Insomma: quando il nuovo sindaco di Palermo si vanta di avere un passato da amministratore di alto livello ha ragione. Ha attraversato varie stagioni ed è sempre riuscito a tenersi lontano dalle polemiche e soprattutto dalle inchieste della magistratura su mafia e politica, che hanno segnato l’ultimo ventennio politico, in Sicilia e non solo.
Certo si potrebbe aprire un ragionamento sul fatto che negli ultimi 15 anni Lagalla ha guidato settori – la Sanità, la Formazione professionale, l’Università di Palermo – che non sono esattamente le eccellenze di primo livello di cui i siciliani vanno particolarmente fieri. Qui però non vogliamo discutere sulle sue capacità amministrative, sul suo lunghissimo curriculum e sulle sue indiscutibili qualità, morali e professionali. Qui ci limitiamo a dare al nuovo sindaco un innocuo consiglio di lettura. D’altra parte anche se non ha riferimenti specifici, Nessuno escluso è comunque scritto da una giornalista che è nata e cresciuta a Palermo e che ha dedicato gran parte della sua carriera a raccontare il capoluogo siciliano. Potremmo definirlo un romanzo psicologico sul concorso esterno a Cosa nostra se non fosse che una definizione simile rischia di mettere in fuga i possibili lettori.
La storia, in realtà, è più o meno semplice: c’è un uomo facoltoso, di bell’aspetto e ottimo carattere, che sembra avere tutto. Una famiglia da Mulino Bianco, un lavoro da primario in ospedale, una barca a vela, una carriera politica in ascesa. Solo che poi lo arrestano: lo accusano di aver chiesto sostegno elettorale a Cosa nostra, di essersi messo a disposizione, addirittura di aver curato un importante boss latitante. La procura gli contesta il concorso esterno, la politica comincia un pressing a tutto campo per far derubricare quell’accusa in favoreggiamento: addirittura in Parlamento si mette in campo un progetto a larghe intese per eliminare quel fastidioso reato inventato da Giovanni Falcone. Il confine tra cose che sono realmente successe, quelle che potevano accadere e altre che rischiano ancora di succedere è molto sottile.
A colpire del romanzo di Rizza, però, è qualcosa di diverso dalla semplice trama: è una sensazione che ti rimane addosso mentre vai avanti con la lettura. Una sensazione che potremmo definire di inquietudine, ma questa definizione non basta a rendere l’idea. Dopo un primo momento di sorpresa e sconforto, il medico colluso acquisisce una sicurezza inquietante: nega i rapporti coi mafiosi ma senza troppa convinzione. Di sicuro non li rinnega. Chi gli sta attorno comincia quasi subito ad abituarsi all’idea di avere un padre, un marito, un collega e un amico, accusato di fatti di mafia. Cose che in fin dei conti possono capitare. Che colpa ne ha lui se ha un cugino mafioso? Come avrebbe potuto prendere i voti alle elezioni rifiutando d’incontrare questo e quello? È reato parlare con qualcuno solo perché questo qualcuno nella sua vita ha sbagliato e magari sta continuando a sbagliare? E può un medico rifiutarsi di curare qualcuno solo perché è un boss latitante?
Alla fine il reato più grave che sembra aver commesso il personaggio inventato da Sandra Rizza è quello di aver tradito la moglie: e infatti è l’unico sbaglio per il quale porge scuse che sembrano sincere. Tutto il resto, invece, passa in secondo piano: attorno al medico colluso c’è una sorta di corsa al perdono e alla riabilitazione. La figlia primogenita, presenza fissa delle carovane antimafia, è la prima a rimuovere ogni sentimento negativo pur di ricostruire un rapporto col genitore. Piano piano è quello che fanno tutti gli altri: l’altro figlio, la moglie, i colleghi, persino il suocero, ex senatore di sinistra che un tempo era intransigente nemico dei mafiosi e dei loro amici.
Il libro di Rizza, in pratica, racconta come dopo la fase emergenziale degli anni 90 – quelli delle stragi – una fetta non piccola della borghesia siciliana e italiana ha smesso di porsi limiti: a un certo punto ha rimosso i paletti, tutti i paletti, in nome di un non meglio specificato interesse superiore. Una zona grigia, non per forza collusa in prima persona, diciamo pure neutra, ma opaca: un territorio di confine in cui alla fine, in nome del potere e del quieto vivere, si perdona tutto a tutti. Si chiudono gli occhi e si stringono mani, ci si bacia sulle guance e si tira avanti a campare. Se non è la mafia, è un’inchiesta per corruzione o magari neppure quella: le cose succedono anche quando nessuna procura ci indaga sopra.
Chi scrive non ha potuto fare a meno di leggere Nessuno escluso tenendo un occhio fisso sulla campagna elettorale palermitana. Ecco perché oggi Lagalla una lettura al libro di Rizza potrebbe pure dargliela. Non perché lo riguardi particolarmente, ci mancherebbe altro: della statura morale del neo sindaco non abbiamo alcun dubbio. Questo romanzo, però, racconta una parte della città che ora Lagalla dovrà governare. Dei due candidati di centrodestra arrestati con l’accusa di aver chiesto i voti a esponenti di Cosa nostra tanto si è detto e tanto si è scritto. E altrettanto copiosa è stata la produzione pubblicistica sugli endorsement incassati dal nuovo sindaco: quello di Cuffaro, l’ex governatore che in sostegno di Lagalla ha formato una lista della Nuova Democrazia Cristiana. E poi quello di Marcello Dell’Utri, che ha scontato una pena per concorso esterno e che – contrariamente a Cuffaro – non ha mai ammesso di avere sbagliato. E quindi non ha mai pensato di dover rinnegare quello che le sentenze della magistratura gli contestano di avere commesso.
A Palermo lo storico braccio destro di Silvio Berlusconi non ha presentato candidati suoi al Consiglio comunale e dice di aver parlato solo a titolo personale. Ma ha avuto fortuna: quando Dell’Utri ha auspicato la vittoria di Lagalla, quest’ultimo era solo uno dei cinque candidati del centrodestra a raccogliere la successione di Leoluca Orlando. Poi, però, l’ex rettore è riuscito nell’impresa di compattare sul suo nome tutta la coalizione. Dell’Utri, ospite del cinematografico hotel delle Palme, ha commentato con una fulminante battuta delle sue: “Ma che ci posso fare se mi danno retta anche i media?”.
Ora, è il caso di sottolineare che Cuffaro e Dell’Utri hanno scontato la loro pena e dunque hanno tutto il diritto di dire come la pensano sulle elezioni. Il problema è quando le loro opinioni – le opinioni di due condannati per legami con Cosa nostra – diventano potentissimi endorsement. Un potere che sono gli altri a riconoscergli. Non è possibile affermare se alla fine Lagalla ha vinto grazie al sostegno di Cuffaro e Dell’Utri o nonostante il loro appoggio. Le dichiarazioni dei due, infatti, hanno provocato polemiche roventi che hanno sovrastato ogni altro tema in campagna elettorale. E più volte Lagalla è stato chiamato a prendere le distanze da quei due endorsement. Il neo sindaco lo ha fatto, ma senza troppa decisione. Ha comunque ricordato di avere un rapporto “antico” con l’ex governatore mentre per quanto riguarda Dell’Utri si è limitato a constatare di essere stato “oggetto passivo di una attestazione personale di considerazione da parte sua”.
Quindi, in definitiva, ha archiviato la questione: “Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri non sono ispiratori della mia candidatura, quindi non ritengo che debba dire altro”. Insomma Lagalla avrebbe potuto dire che i voti di Cuffaro e Dell’Utri lui non li vuole. E invece non solo non si è esposto in questo modo così netto ma quei voti alla fine li ha avuti. Ed è anche così che è diventato sindaco: col sostegno di tutti i partiti della coalizione, pure quello di Cuffaro. Nessuno escluso. Guardacaso è il titolo del libro che ci permettiamo di suggerirgli. Speriamo abbia modo di leggerlo.