In questo doppio test elettorale, dai referendum anti-pm alle Amministrative in meno di mille comuni, stavolta a pesare sono le sconfitte e non le vittorie. Ovviamente il primo sulla lista dei “suonati” è Matteo Salvini. Alla sberla referendaria, ieri pomeriggio si è aggiunta la mazzata della sua Lega nazionale, che finisce quasi sempre dietro gli odiati cugini dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Persino nel Veneto, ossia Zaialand, dove il salvinismo arretra a Verona e Padova. Ed è per questo che la domanda che rimbomba nei Palazzi è soprattutto questa: “Salvini sarà ancora il leader della Lega alle elezioni politiche del 2023?”.

Il quesito rimanda all’annunciato processo interno da parte dei filogovernativi Giancarlo Giorgetti e il citato Luca Zaia. Il primo, però, non c’era neanche, oggi, alla riunione convocata da Salvini in via Bellerio. Segno che i tempi saranno lunghi, se davvero dovesse esserci un regime change nella Lega. In ogni caso il Capitano che esce malconcio da questo 12 giugno nerissimo sembra non avere più la forza per imporre ai suoi ministri un Papeete bis contro il governo Draghi. Salvini non tramuta più in voti le sue battaglie e i suoi comizi e nella Lega l’opposizione moderata sta finanche rispolverando l’autonomia e il federalismo per tornare al partito bossiano.

Conoscere il destino del leader leghista, infine, è decisivo anche per capire se il centrodestra tornerà unito per le Politiche. Molto dipende dal sistema elettorale (un conto è l’attuale Rosatellum, un altro l’introduzione del proporzionale puro che proprio Salvini non vuole) e al momento la destra ha una sola certezza: la leadership di una Meloni filoatlantista e più moderata rispetto al passato fasciosovranista.

Il secondo sconfitto, ma con molte attenuanti, è Giuseppe Conte. Certo, la tradizione “amministrativa” dei 5S non è mai stata luccicante, ma il primo boom grillino fu proprio alle Comunali del 2012 (Parma in particolare). Oggi la fase è cambiata e il M5S vive una fase di transizione e di ricostruzione affidata all’ex premier defenestrato da un’operazione di sistema. I Cinque Stelle, in questa tornata elettorale, sono andati a rimorchio dei candidati sindaci del Pd e le loro liste non sono andate bene (a Palermo, poco più del 6 per cento). Ora Conte dovrà proseguire la sua traversata nel deserto (anche identitaria) e al netto dei nodi interni (regola dei due mandati in primis) la questione primaria è l’alleanza con il Pd, cui è legata anche la permanenza in questo governo, non solo l’orizzonte delle Politiche del 2023. I risultati del 12 giugno hanno rilanciato il peso interdittivo del redivivo centro con tanti padri (Calenda e Renzi, soprattutto) e il campo largo vagheggiato da Enrico Letta appare come una vera e propria cruna dell’ago. Tenere insieme tutti nel 2023 sarà impossibile.

Salvini e Conte, due sconfitte diverse ma simili alla luce di quella che potrebbe essere l’evoluzione dei percorsi interni di Lega e Cinque Stelle. In ballo non c’è solo la sopravvivenza del governo Draghi, ma anche il futuro dei giallorosa e della formula classica del centrodestra.

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