Gli incentivi offerti dallo Stato alle imprese per favorire le assunzioni contribuiscono a rendere più precario (e quindi povero) il mercato del lavoro italiano, che in aprile ha registrato il record storico di contratti a termine. Più di metà degli 1,1 milioni di posti creati lo scorso anno sfruttando la Decontribuzione Sud varata nel 2020, in particolare, sono a termine. In un altro 18% di casi si tratta addirittura di contratti stagionali. Non solo: il 46% è part time e tra le donne la percentuale sale al 66%. Anche l’Incentivo donne, che se richiesto per il 2021 e 2022 garantisce un esonero totale dai contributi, si è tradotto in contratti solo per il 45% a tempo indeterminato con ampia prevalenza di part time, mentre la maggiore dei nuovi contratti sono stati a termine (47%), in somministrazione (5%) e stagionali (2%). Mentre la maggioranza litiga su come intervenire per aumentare i soldi nelle tasche dei lavoratori dipendenti, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) fa presente che le agevolazioni pubbliche invece che contribuire a risolvere il problema dei bassi salari lo perpetuano. “Per ridare dignità al lavoro gli incentivi dovrebbero premiare quelle imprese che scommettono sul futuro e non sulla precarietà”, è il commento del presidente Sebastiano Fadda. “È necessaria una profonda riflessione sulla strategia competitiva che molte imprese applicano da anni, basata sulla compressione del costo del lavoro attraverso l’accentuazione di una flessibilità spuria“.
Dal policy brief appena pubblicato emerge che nel 2021, l’anno del rimbalzone del pil dopo il crollo causato dalla pandemia, il 24% delle nuove attivazioni contrattuali per un totale di 1,7 milioni è stato sostenuto da incentivi. Il contributo di gran lunga maggiore alla nuova occupazione l’ha dato Decontribuzione Sud, che prevede un esonero del 30% fino a fine 2025 sui contributi a carico dei datori di lavoro che assumono nel Mezzogiorno (la percentuale, in base alla legge di Bilancio per il 2021, scenderà poi al 20% nel 2026 e 2027 e al 10% per 2028 e 2029): 1,1 milioni di contratti. Seguono l’apprendistato, che fa storia a sé visto che dà accesso a una qualifica professionale, l’Incentivo donne e l’esonero giovani che si applica solo alle assunzioni stabili. Il problema è che – escludendo apprendistato e esonero giovani – gli altri “non hanno corretto, ma riprodotto, il quadro e le relative criticità presenti nelle assunzioni non agevolate. Ci riferiamo alla prevalenza del lavoro a termine e dell’orario ridotto”, scrivono i ricercatori dell’istituto.
Il 55% dei posti creati da Decontribuzione Sud è a tempo determinato contro il 16% di quelli stabili. Il 18% è stato invece assunto come stagionale, e la quota sale al 23% tra le donne che pure rappresentano solo il 34% degli assunti con questo incentivo. A peggiorare la situazione c’è il fatto che nel 2021 la quota di part time femminile nelle assunzioni con incentivo è stata del 60% contro il 33% maschile, per una media del 44%, mentre in quelle non agevolate è il 48% contro il 26% maschile: insomma gli aiuti pubblici sembrano alimentare ulteriormente il fenomeno del tempo parziale involontario imposto a lavoratrici che (soprattutto nel comparto dei servizi)vorrebbero essere impegnate più ore per guadagnare di più. In questo modo si allarga ovviamente anche il divario di reddito rispetto agli uomini. Nessuna inversione di tendenza, aggiunge l’Inapp, “viene offerta dagli incentivi rivolti esclusivamente all’assunzione di donne”: sono infatti a part time il 63% dei contratti attivati con l’Incentivo donne introdotto nel 2012 (50% di sgravio) e il 69% di quelli che godono dell’estensione al 100% introdotta con la legge di Bilancio per il 2021.
Incrociando i dati sul part time con quelli sui contratti a termine, emerge infine “come e quanto gli incentivi abbiano contribuito ad una occupazione caratterizzata da un duplice fattore di debolezza“. Perché sui 613.786 contratti a termine assistiti da Decontribuzione Sud il 52% è a part time e per le donne la percentuale è addirittura dell’80%. Allo stesso modo 8 su 10 tra i contratti a termine agevolati con Incentivo donna sono part time. Risultato: l’incentivo “continua a intrappolare i target più fragili nel mercato del lavoro (come le donne) in impieghi a termine, ad orario ridotto e conseguentemente a minore redditività”. Il suggerimento dell’istituto è di riassegnare alle agevolazioni “il ruolo più adeguato nel complesso di una più generale politica di sostegno all’occupazione. Primo, assegnando al versante delle politiche industriali e strategiche il vero ruolo di player nello sviluppo occupazionale e non alle probabili convenienze economiche e fiscali delle imprese in specifiche congiunture. Secondo, assegnare all’incentivo la funzione di strumento correttivo delle dinamiche di reclutamento ordinarie, che giustifichi una spesa pubblica di stimolo al raggiungimento di una finalità più alta e importante della creazione di nuova occupazione tout court”.